Per il referendum di ottobre: con il no, riprendere in mano la bandiera di una nuova Autonomia contro il centralismo statale, di Pietro Soddu.

Dall’intervento di Pietro Soddu fatto in occasione della presentazione del libro di Salvatore Mura “Pianificare la modernizzazione. Istituzioni e classe politica in Sardegna (1959-1969)”, a Macomer, il 6 maggio 2016. Le istituzioni sarde alla vigilia dell’arrivo di Matteo Renzi per siglare il patto con Pigliaru.

Nei precedenti incontri ai quali ho partecipato per presentare il libro di Salvatore Mura mi sono soffermato, come quasi tutti gli oratori, sui profili economici e in particolare sull’industrializzazione e sui suoi effetti. Questa volta invece parlerò dei profili istituzionali del progetto di modernizzazione della Società sarda, normalmente chiamato “Piano di Rinascita”, profili che sono stati quasi sempre trascurati o sottovalutati nei dibattiti e forse anche nel libro.

Mi spingono a farlo il silenzio dei responsabili sulla crisi della politica regionale e la preoccupazione per gli effetti negativi che possono derivare dal cosiddetto “patto per la Sardegna” (che il Presidente del Consiglio del Ministri ha detto di voler firmare entro maggio) e, più ancora, dal referendum costituzionale previsto per il prossimo autunno sull’autogoverno e sul sistema autonomistico nel suo complesso.

Si tratta di questioni rimaste finora un po’ in ombra e sicuramente sottovalutate, non solo da un’opinione pubblica disorientata e confusa ma dai responsabili politici della Regione, che non sembrano preoccupati dei rischi che corre il potere autonomistico con l’entrata in vigore di una Costituzione dal sapore fortemente centralistico e, prima ancora, per la procedura adottata per la scelta dei contenuti e per l’approvazione del cosiddetto patto per la Sardegna che confermano la debolezza del potere autonomistico e l’emarginazione di tutti gli altri soggetti politici, sociali e culturali presenti nell’isola.

I metodi e i contenuti in atto o annunciati contrastano fortemente con la storia dell’Autonomia sarda e con le esperienze della Rinascita, che hanno visto in primo piano non tanto le specifiche scelte settoriali (industria, agricoltura, turismo, scuola, formazione professionale, ecc. ), ma piuttosto la battaglia tra Stato e Regione per l’attribuzione del potere di elaborare e gestire il piano di sviluppo. In passato ha vinto la Regione e non il governo centrale. Oggi si ha la netta sensazione che stia avvenendo il contrario.

È perciò sbagliato dimenticare che questo è stato il punto fondamentale, il passaggio più significativo della storia del Piano di Rinascita, e questo è ancora oggi il problema politico più importante.

I fatti che ho richiamato: il patto e il referendum, la politica regionale, le leggi adottate recentemente dimostrano quanto sia cambiato il clima politico e quanto si sia indebolito il sistema democratico.

L’Autonomia è a rischio e non sarà certo salvata con i proclami che abbiamo sentito sulla nascita di un nuovo Soggetto politico non meglio identificato che dovrebbe unire le varie isole del Mediterraneo. Il nuovo soggetto, se nasce, servirà a ben poco se viene meno, come tutto porta a temere, l’autogoverno e il potere di decidere in piena libertà il futuro dell’isola.

Dobbiamo perciò preoccuparci dell’attuale politica regionale, del patto governativo, ma ancor più della Riforma costituzionale che punta a creare una nuova Repubblica, largamente presidenziale e meno autonomistica, così come del resto viene confermato ogni giorno dal capo del governo, che ribadisce in ogni occasione la linea centralista e il potere del governo centrale su tutto. Ciò dovrebbe far riflettere e spingere tutti a prendere posizione nella campagna referendaria, anche per evitare che si trasformi in un plebiscito a favore o contro il governo.

I cittadini elettori sardi, come tutti gli altri elettori, sono in parte a favore e in parte contro il governo in carica e il suo capo. Ma il problema non è di sapere il numero degli uni e degli altri ma di lavorare per la salvaguardia della qualità del nostro autogoverno e per il suo rafforzamento nel futuro. E questo problema non si risolve con un si o con un no, ma mettendo in campo una forte rivendicazione che può cominciare a esprimersi nella campagna referendaria e come qualcuno dice anche nel voto.

Nonostante le scontate obiezioni, c’è infatti chi pensa che sarebbe sbagliato non utilizzare il referendum per esprimere una forte rivendicazione popolare in direzione dell’allargamento e del rafforzamento dei poteri in senso autonomistico, federale o indipendentista (a seconda delle posizioni delle varie forze politiche e delle preferenze dei singoli elettori) e contrastare comunque la riduzione del ruolo dell’Autonomia, utilizzando la campagna referendaria ma anche il voto esprimendosi invece che con un si o con un no, con una parola che richiami il federalismo, l’indipendenza, la sovranità o l’autogoverno a seconda delle preferenze e che dica chiaro e forte che i sardi non si rassegnano a essere dominati interamente dal potere centrale.

Anche per chi come me non condivide il principio di Machiavelli che “il fine giustifica i mezzi”, non è facile respingere del tutto la suggestione di un voto finalizzato a rompere l’attuale rassegnata stagnazione e segnare l’inizio di una nuova stagione politica rivolta alla costruzione di una democrazia più moderna, più partecipata, più rispettosa della sovranità popolare e più libera di decidere il proprio futuro.

 

 

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