Il Partito dei Sardi e la riforma dello Statuto. Realismo della sovranità, ambizione d’indipendenza
di Franciscu Sedda
1.
Questa legislatura è forse la prima nella storia autonomistica della Sardegna che non è iniziata proclamando che si sarebbe riscritto lo Statuto. É un buon segno. Visto che le altre volte alle solenni dichiarazioni non è mai seguito nulla di concreto e gli alti ideali riformisti sono finiti gambizzati dalle logiche autonomiste in cui all’unità e alla sovranità dei sardi si antepone sempre la fedeltà allo schieramento italiano di riferimento e il timore reverenziale nei confronti dello Stato.
Il silenzio dunque come segno augurale. Come testimonianza della fine di un epoca di cui nessuno piangerà il trapasso. Lasciamo dunque che alla retorica dell’autonomia segua il realismo della sovranità. Che alle promesse a cui non credono neanche coloro che le fanno segua la prudenza concreta di chi sa che i grandi orizzonti si conquistano con sudore, fatica, diplomazia. E testarda caparbietà. L’autonomia sta finendo, l’autunno silenziosamente se ne va. La primavera quando arriva non si annuncia con le fanfare. Bisogna saper cogliere il cinguettio che inavvertito riempie l’aria.
2.
Per produrre una riforma mancata per sessanta anni dobbiamo capire dove stiamo. Dove sta il Partito dei Sardi? E la classe dirigente sarda? E i sardi? E l’Europa? E, in ultimo, dove sta l’Italia?
Il Partito de Sardi sta nella sua posizione: quella di chi vorrebbe vedere la Sardegna entrare a far parte dell’Europa da Stato, da Repubblica. Senza boria ma anche senza complessi. Senza orgogli inutili ma anche senza paure castranti.
Il Partito dei Sardi vorrebbe per i sardi una nuova costituzione che li faccia accedere ad un diverso e più alto livello di interdipendenza europea, mediterranea, planetaria. Il Partito dei Sardi vuole una vera Carta de Logu, che sia il nostro ritorno al futuro, quello in cui ci riappropriamo del nostro presente di nazione nel mondo.
3.
Lo si può fare già oggi? Teoricamente sì, praticamente è molto difficile.
In positivo gioca la situazione europea. Quando fino a un paio di anni fa si faceva notare che altri popoli, come gli scozzesi, i catalani e i baschi, si stavano avvicinando all’indipendenza i cinici sardi tiravano fuori che era impossibile. Gli statisti della domenica se ne uscivano con “ormai c’è l’Europa”. Gli esorcisti travestiti da politici o giuristi dicevano che “l’indipendenza non si può fare senza violenza”. Oggi, davanti al referendum negoziato fra Scozia e Gran Bretagna e a quello che la Catalogna sta pacificamente conquistando davanti alla Spagna, i falsi miti sono stati spazzati via, i feticci sono caduti. E i corvi non gracchiano più. Le macumbe italo-autonomiste si infrangono davanti alla realtà: l’indipendenza si può fare, proprio perché c’è l’Europa, proprio perché esiste un principio che si chiama democratico, per cui una collettività storica ha diritto di scegliere cosa fare della sua vita.
Oggi è chiaro che il diritto dei popoli a decidere del proprio futuro è solo materia di volontà e capacità.
4.
A nostro parziale favore gioca anche la posizione dei sardi divenuti più consapevoli dei propri diritti ma anche più avvertiti che senza una decisa presa di responsabilità non arriverà in Sardegna nessun cambiamento. Anche il sardo meno coraggioso sa che non c’è nessuno che verrà a salvarci. Anche il sardo meno attento sa che la Sardegna di oggi non ha i poteri necessari ad esercitare le nuove responsabilità che vogliamo prenderci e che ci servono per cambiare il nostro destino e scrivere una nuova storia.
Questa maturazione, certo contraddittoria, sicuramente ancora troppo legata alle crisi dell’Italia piuttosto che a una nostra intima decisione, si ritrova nello studio fatto dalle Università di Cagliari e di Edimburgo. Molto meno, purtroppo, nelle urne. In cui non si ritrovano, quantomeno non in modo chiaro ed evidente, quel 90% di adesioni all’idea di sovranità, in particolare fiscale, e quel 40% di consensi a favore dell’idea di indipendenza. Eppure anche qui qualcosa si è mosso. Grazie al nuovo indipendentismo che noi rappresentiamo l’idea di sovranità è diventata parte centrale del programma e dell’azione del nuovo governo. L’indipendentismo non è più tabù. E nemmeno pura testimonianza. Con il Partito dei Sardi l’indipendentismo diviene presa di responsabilità e azione di trasformazione della realtà.
Il Partito dei Sardi, con le sue proposte concrete, forti, credibili mira a colmare il divario fra la sentimento dominante e il consenso elettorale a favore dell’autodeterminazione.
Perché senza il il consenso dei sardi non solo non c’è indipendenza e nuova costituzione ma nemmeno la possibilità di scrivere in tempi brevi un nuovo Statuto che ci faccia avanzare lungo il sentiero dell’autodeterminazione.
5.
La classe dirigente sarda dov’è? Si potrebbe dire che sta indietro rispetto ai sardi, rispetto ai loro sentimenti e aspirazioni. Forse è così. Ma la verità è che alla fine i popoli si specchiano nelle proprie classi dirigenti. Se si va a chiedere ai sardi quanto sia importante cambiare lo Statuto non è improbabile che dichiarino che le priorità sono altre. Senza rendersi conto che i temi del lavoro, dell’occupazione, della ricchezza sono intimamente legati ai poteri della Sardegna. E l’aumento di potere della Sardegna passa per la scrittura di una nuova carta.
Quello che è vero è che una parte della classe dirigente sarda è troppo attendista. Per non dire paurosa e conservatrice. Il risultato è che gioca sempre in difesa. Il problema per molti politici sardi è capire prima di tutto cosa farà l’Italia. Invece il punto è capire cosa vogliamo fare noi da sardi e per la Sardegna. Per alcuni diventa addirittura prioritario capire cosa ci lascerà fare l’Italia e quanto quello che faremo possa essere compatibile con ciò che l’Italia desidera. Così, bisogna dirlo chiaramente, non si va nessuna parte. E non solo perché questo atteggiamento è il contrario dell’indipendenza morale prima ancora che politica. Ma perché questo atteggiamento preclude la possibilità di alimentare il nostro grado di democrazia. Perché la democrazia è capacità di aprirsi al nuovo, alla diversità, alla sperimentazione. Una classe dirigente che frena i timidi segnali di apertura del proprio popolo, che ne reprime lo slancio verso una maggiore responsabilità e un maggiore protagonismo è una classe dirigente intimamente anti-democratica che merita di essere semplicemente superata e sostituita.
6.
L’Italia sta andando in modo chiaro verso un nuovo centralismo. Addirittura si paventa l’abolizione di qualunque rapporto pattizio fra la Sardegna e lo Stato e la presenza di “clausole di supremazia” che consentiranno allo Stato di risolvere sempre a suo favore i contenziosi che dovessero sorgere rispetto ai diritti e agli interessi dei territori.
Bene. Questo toglie ogni alibi anche ai meno coraggiosi. Serve uno scatto in avanti dei sardi.
Se il nuovo statuto non sarà una dichiarazione di indipendenza dovrà essere quantomeno una dichiarazione di sovranità. Non siamo del resto tutti d’accordo che alla Sardegna serve sovranità?
7.
Per il Partito dei Sardi è evidente che tutto ciò che non sia la scrittura della Costituzione del nuovo Stato sardo non può che venir considerato come avanzamento graduale verso quell’esito.
Guardiamo lo Statuto d’autonomia scritto nel 1948. C’è a malapena, ma non prima dell’articolo 15, il riferimento al popolo sardo. Nessun riferimento alla diversità culturale della Sardegna, né alla cultura né alla lingua sarda, tanto meno alla sovranità dei sardi o alla nazione sarda.
Ogni nuovo Statuto non potrà che essere un avanzamento. Dovrà esserlo. Meno di così si muore. Un poco di più si inizia a respirare. Un po’ di coraggio e potremmo iniziare a vivere.
8.
L’inserimento della sovranità dei sardi è dunque il minimo a cui un nuovo Statuto deve ambire. Sovranità come principio e sovranità come declinazione pratica della difesa degli interessi e dei diritti dei sardi in ogni campo, culturale, sociale, economico. Partiamo da qui. Concordiamo su questo e siamo già in cammino.
Dato questo terreno di base noi del Partito dei Sardi lavoreremo di concerto con tutti i sardi di buona volontà e ci batteremo con tutti gli altri perché la Sardegna sia definita come nazione e l’autodeterminazione sia un diritto innegabile dei sardi.
1. La Sardegna è una nazione.
2. Il popolo sardo, conformemente al principio democratico, ha diritto ad esercitare l’autodeterminazione per decidere quale forma istituzionale dare alla propria esistenza.
Lo Stato italiano non accetterà mai un pronunciamento di questo tipo anche se fosse inquadrato dentro la Costituzione italiana? Non è un problema nostro. Il nostro problema è arrivare al punto in cui i sardi, come popolo e attraverso i loro rappresentanti, condividano questo pronunciamento.
Quando nel 2004 la Catalogna arrivò a un pronunciamento di questo tipo con un consenso del 90% del suo Parlamento era chiaro che qualunque cosa avesse fatto la Spagna – che infatti “tagliò” il testo dello statuto – una nuova fase della storia catalana era iniziata.
Noi siamo qui per spingere tutti a essere protagonisti di un nuovo inizio.
9.
Se si vuole produrre un grande cambiamento contenuto e metodo dovrebbero andare insieme. Il Partito dei Sardi ha sempre detto di essere per una Assemblea Costituente del popolo sardo eletta in forma proporzionale. Non può che essere così per chi ha grandi ambizioni per il proprio popolo. Per chi lo vuole rendere protagonista. Per chi non ha paura di renderlo tale.
Si tratta di una questione di principio ma anche di strategia politica. Il coinvolgimento popolare è fondamentale per legittimare la nuova carta della Sardegna, per darle forza davanti allo Stato, qualunque cosa lo Stato decida di fare.
Altri non vogliono correre il rischio dell’Assemblea Costituente. Chi per motivi politici, chi per motivi di procedura. Bene, purché si tenga il coinvolgimento dei sardi come principio guida, ci si confronti e si decida in tempi brevi. In un mondo che corre 60 anni per riformare uno Statuto sono una follia. E lo sono ancora di più in una terra che quando era indipendente la sua Carta de Logu, la sua Costituzione, la riformò dopo 16 anni. Eravamo verso la fine del 1300. Evidentemente non è la tecnologia o la globalizzazione che conta. È lo spirito d’indipendenza che fa la differenza.
Franciscu Sedda
Segretario Nazionale Partito dei Sardi