La Sardegna verso il baratro della Storia: sette punti per riprendere il cammino
di Salvatore Cubeddu
Dopo lo sfruttamento e l’abbandono in tutti gli ambiti della società, anche le nostri autonome istituzioni sono in pericolo. Gli interrogativi inderogabili delle nostre vacanze. L’agire collettivo come occasione di appassionata speranza.
Siamo pronti alle scelte che lo stato italiano farà calare sulla Sardegna come conseguenza delle sue riforme?
Non si è sentita una voce in Sardegna – tranne questa nostra (per quel che conta) – che abbia richiesto ‘almeno’ che i senatori fossero in numero uguale per ciascuna regione (come gli stati negli USA), così come peraltro era scritto nella prima stesura della proposta. Ora è in arrivo il grosso, un senato a composizione differenziata, con tematiche definite e identiche per tutte le regioni, le quali poi dovranno inserirle nei loro successivi statuti. Di fatto, anche per noi varrà l’uniformità istituzionale, la fine della specialità della Sardegna, un regionalismo colorato da un decentramento appena tollerato.
E’ il quarto grande mutamento istituzionale in 167 anni, considerando i due successivi alla prima (l’istituzionalizzazione del regime fascista, 1925) e alla seconda guerra mondiale (la costituzione e lo statuto del 1948), e la fase iniziale del regno d’Italia (1847). La freccia torna indietro, ha ragione chi parla di nuova fusione perfetta.
Difficile trovarsi preparati alla propria morte, subito uno riafferma le ragioni della vita. Difatti il Consiglio regionale nel suo insieme e la Giunta regionale riunita con le altre regioni italiane hanno confermato la specialità ed il valore pattizio del rapporto stato/specialità istituzionali. Ma se il governo denuncia che quella non è ‘vita’, e dichiara superato, inutile e non valido questo approccio? Quale risposta, quale resistenza sarebbe in grado di costringerlo a mutare gli orientamenti? Come difendere le nostre giuste ragioni?
E’ prevedibile che sentiremo quelli che ‘bisognava muoversi prima’, e saranno numerosi tra coloro che niente hanno fatto o che più hanno ostacolato l’innovazione istituzionale. Non è così. Dalla Sardegna sono arrivati al Parlamento tre elaborazioni di un nuovo statuto sardo: di F. Cossiga (2004), PG. Massidda (2008) e di A. Cabras (2010). Il Partito sardo aveva depositato un suo testo in Consiglio regionale già nel 1988. Documenti e nuovi principi sono stati elaborati anche dalle nostre associazioni. Nel 2003 la legge regionale sull’assemblea costituente aveva iniziato il suo percorso nelle commissioni parlamentari, dopo che furono interessati sia Ciampi che Berlusconi. E’ dalla crisi della prima autonomia (1978) che ogni legislatura regionale si propone di riscrivere la carta fondamentale della Sardegna quale strumento più adatto al proprio benessere e come espressione di una nuova consapevolezza identitaria dei Sardi. Questo interesse e questa consapevolezza non sono arrivate ad una definitiva elaborazione collettiva. Né ad una decisione. I grandi partiti politici, di allora e di oggi, hanno promesso volta a volta di ‘sardizzarsi’ – se e quando serviva per fronteggiare ondate sardiste o indipendentiste – ma niente hanno concluso nel produrre un nuova loro identità che li qualificasse come sardi. Come se a Roma loro fossero i più fedeli esponenti dei partiti, non prioritariamente i rappresentanti dei cittadini sardi. ‘Non partiti sardi’, ‘non istituzioni sarde’, quindi.
Ci potrà essere ora?
Fusione perfetta significa che in Sardegna comanda solo lo stato italiano. Che i sardi devono smetterla di pensarsi come un popolo tra gli altri nel mondo, che possano legittimamente utilizzare le proprie risorse per immaginare e costruire un proprio autonomo futuro. Che in casa nostra l’esercito italiano non avrà più problemi negli ampi territori occupati. Che l’Eni riempirà di cardi le nostre pianure irrigate. Che la Saras andrà avanti con le sue prospezioni nel sottosuolo. Che l’energia per l’Italia farà arrivare l’immondezza da ogni dove. Che …. in Sardegna diverrà possibile continuare a fare ciò che interessa e serve ai forestieri di turno.
Per restare liberi e diventare prosperi non restano risorse. Appunto. La Sardegna continuerà quale isola lontana dell’Italia, da utilizzare o da abbandonare, o tutt’ e due le cose insieme. Scordiamoci la lingua sarda o di poter decidere sui nostri nuraghi. E’ stato così finora, non senza nostre colpe. Continuerà, in termini peggiorativi. Come già risulta dal decreto-legge 91, del 25 giungo 2014, che innalza la soglia dell’inquinamento dopo il quale è obbligatorio risanare: la sanatoria per chi ha inquinato sfruttandoci.
Ma, ora, che cosa si fa?
Di fronte alle decisioni romane così veloci (un pregio, questo, tutto da dimostrare) il controllo del nostro tempo rappresenta, invece, per noi, la prima risorsa da difendere. Le riforme economiche che Renzi ha promesso all’Europa niente hanno a che vedere con i diritti dei sardi ad una loro nuova e libera costituzione, ai tempi necessari del loro riunirsi e del loro decidere. Come non possiamo accettare i tempi degli altri così non dobbiamo ridurre su loro richiesta l’ordine del giorno dei nostri diritti e delle nostre responsabilità.
Mentre il presidente del Consiglio e parte della società italiana hanno deciso di intervenire sulla costituzione italiana – di tutti gli italiani - è nostro interesse difendere in essa tutti gli spazi che ci servono e che ci vengono garantiti dal presente patto costituzionale. La pariteticità regionale della rappresentanza nel senato è la più urgente di queste richieste. L’inviolabilità del presente statuto – legata alla trattativa stato italiano / popolo sardo – è la più importante: essa dovrebbe tagliare fuori la Sardegna dalla grande parte dei mutamenti pensati per il continente. Ogni atto contrario ai nostri diritti ed interessi costituirebbe una decisione unilaterale da parte dello stato, da noi non riconoscibile. Da denunciare di fronte ai tribunali internazionali.
Alcune cose si stanno facendo e altre si possono fare.
1. Dobbiamo, intanto, conoscere meglio e sostenere le iniziative dei nostri parlamentari sardi. Per esempio: il senatore Cotti ha fornito – al seminario promosso nelle scorse settimane dalla Fondazione Sardinia, Carta di Zuri e Sardegnasoprattutto – precise informazioni sui lavori della commissione senatoriale; il senatore Uras ha presntato un subemendamento di salvaguardia dell’attuale Statuto ponendo la nostra specialità sarda come immodificabile senza un reale confronto tra Stato e Regione; informazione e battaglia parlamentare sono elementi essenziali! L’on. Pili ha avviato con Unidos la costituzione di comitati spontanei di opposizione. Se ne vorrebbe sapere di più. Conoscere, giudicare, agire: era la massima dei giovani cattolici utilizzata parecchi decenni orsono. I vari approcci potrebbero completarsi.
2. Proseguendo nel solco intrapreso dalla mozione sulla sovranità del Popolo sardo approvata dal Consiglio regionale il 24 febbraio 1999, dovrebbe venire ripresa la mozione n°. 46 (XIV Legislatura) dell’8 marzo 2010 – a firma di CONTU Felice – DEDONI – CUCCU, sulla formulazione di un ordine del giorno voto al Parlamento per la stipula di un nuovo patto costituzionale (così come previsto dall’articolo 51 dello Statuto sardo). Con esso si dichiara conclusa la fase iniziata nel 1847 e si pongono i nuovi termini del rapporto futuro tra la Sardegna e lo Stato italiano (vedi allegato A).
3. Il Consiglio regionale potrà riunirsi in seduta costituente accelerando la formulazione sia dello statuto che della legge statutaria, tenendo conto delle pressioni romane ma senza esserne subalterno. Di fronte al centralismo che avanza, il Consiglio è il più interessato ad avere dalla sua parte il popolo sardo. Definisca velocemente, quindi, le modalità partecipative che ne permettano il protagonismo, degli enti locali, delle associazioni, dei singoli cittadini. Finora, però, non è stata indicata una proposta migliore dell’assemblea costituente del popolo sardo.
4. Importantissimo risulta il ruolo storico dei rappresentanti istituzionali e politici sardi in questa delicatissima fase della nostra storia, identificabile solo in parte con quella degli italiani. Parlamentari, consiglieri regionali, sindaci, responsabili delle associazioni di interesse, i leaders delle istituzioni culturali e delle rappresentanze religiose. Tutti sono chiamati a prendere posizione in/per questa Sardegna in pericolo. Occorre andare oltre la pur doverosa loro consultazione, bisogna rendere tutti attivi e protagonisti.
5. Per ognuno di noi si offre un compito e si apre una responsabilità. L’informazione puntuale, motivata e approfondita è una di queste e potremmo assumerci noi delle responsabilità. Nel solco del positivo esempio di quanto il Gruppo di intervento giuridico opera nel campo ambientale, potrebbe risultare utile la promozione dell’Osservatorio sardo delle riforme istituzionali.
6. Ma solo i grandi media possono svolgere adeguatamente il ruolo di informazione e approfondimento costante dei termini concreti dell’evolversi delle questioni in campo. Non si può che fare appello al loro senso di appartenenza ed alla deontologia professionale.
7. Il cuore della risposta risiede nella capacità delle forze sociali, economiche e culturali di svolgere un loro compito coordinato, capace di approfondire e nel contempo unificare le tematiche difensive, rivendicative e progettuali che percorrono i paesi e le città sarde. Potrebbe convocarsi la convenzione dei sardi che, alla luce dell’analsi dell’evolversi della situazione, promuova iniziative, le più varie, che incidano nella difesa e nella promozione dei nostri diritti e responsabilità.
Basta solo richiamarlo: la prima a subire una sconfitta dalla vittoria del neocentralismo statale sarebbe la politica sardista in tutte le sue forme, dal blando autonomismo all’indipendentismo più intransigente, passando per il sovranismo.
Entriamo nell’estate e in molti attendono le meritate vacanze, ma altrettanti tra noi ritengono che al rientro ci si possa trovare con una Sardegna formalmente e sostanzialmente più asservita da decisioni assunte da chi ha fretta e non sa, o non vuole prendere atto, che ci sono attese e questioni che vengono ex antiquo. La questione nazionale sarda tra esse. Per noi, la principale.
Allegato A. (Si veda anche la documentazione completa pubblicata su questo sito in occasione dei due seminari dal titolo ‘Est s’ora, movè(m)us….”.
CONSIGLIO REGIONALE DELLA SARDEGNA
XIV LEGISLATURA
MOZIONE N. 46
MOZIONE CONTU Felice – DEDONI – CUCCU, sulla formulazione di un ordine del giorno voto al Parlamento per la stipula di un nuovo patto costituzionale (così come previsto dall’articolo 51 dello Statuto sardo).
IL CONSIGLIO REGIONALE
PREMESSO:
- che la mozione approvata da questo Consiglio il 24 febbraio 1999 afferma:
- “il diritto del popolo sardo di essere padrone del proprio futuro”;
- “il diritto e il dovere del Consiglio regionale di rappresentare l’intero popolo sardo, ai sensi dell’articolo 24 dello Statuto”;
- il diritto del popolo sardo a difendere e rafforzare l’autogoverno della Sardegna così come si evince dal patto costituzionale che ha avuto un suo primo riconoscimento nello Statuto del 1948;
CONSTATATO che:
- l’attuale regime di autonomia non ha realizzato completamente il suo significato più importante, quello dell’autogoverno e dello sviluppo economico, non risponde alle richieste dei nuovi problemi creati dai cambiamenti sociali, dalla unificazione europea, dalla globalizzazione, mortifica la volontà della Sardegna di attuare quelle scelte che ne garantiscano la prosperità e lo sviluppo, acuisce la conflittualità fra Stato e Regione quasi sempre a sfavore della Sardegna;
- la condizione di dipendenza, anziché ridursi, si é accresciuta nel sistema politico, finanziario, economico, culturale, educativo, sanitario, delle servitù militari, delle risorse energetiche, dei beni culturali e artistici, nonché nella presenza delle multinazionali operanti in Sardegna nella esclusione dalla rappresentanza nel Parlamento europeo;
CONSIDERATO che:
- l’identità storica, geografica, culturale e linguistica esige un’identità politica chiaramente definita e un forte autogoverno;
- mancano interventi risolutori da parte dello Stato nel campo sociale ed economico;
- la crescita di una coscienza e di una fede nel popolo sardo e nella nazione sarda, come valori capaci di innescare processi di cambiamento e di sviluppo, può essere progettata e attuata solo attraverso una piena sovranità attribuita alle istituzioni del popolo sardo,
riafferma
i principi di sovranità contenuti nella mozione approvata dal Consiglio regionale il 24 febbraio 1999, nonché le sue motivazioni storiche, culturali e politiche, con le quali è stata confermata solennemente “la sovranità del popolo sardo sulla Sardegna, sulle Isole adiacenti, sul suo mare territoriale e sulla relativa piattaforma marina”, riprendendosi la sovranità a suo tempo frettolosamente abbandonata nelle mani della monarchia sabauda in cambio della “fusione perfetta” con gli stati della terraferma,
dichiara
politicamente e istituzionalmente conclusa la vicenda storica susseguente alla rinuncia alla proprie sovrane istituzioni avvenuta nel lontano 29 novembre 1847 e solo parzialmente recuperata nello Statuto del 1948; e, pertanto,
disconosce
la petizione portata avanti dalle deputazioni delle tre maggiori città dell’Isola “rivolta alla impetrazione per la Sardegna della perfetta fusione con gli Stati R. di terraferma, come vero vincolo di fratellanza, in forza di qual fusione ed unità di interessi si otterrebbero le bramate utili concessioni..” (deliberazione del Consiglio generale di Cagliari del 19 novembre 1847); altresì,
denuncia
come non valida la concessione della “perfetta fusione” deliberata dal Re di Sardegna Carlo Alberto, con Regio Biglietto del 20 dicembre 1847, a cui non fece seguito alcuna consultazione popolare attraverso plebiscito – come avverrà negli altri stati italiani in vista dell’Unità del 1861 – in palese trasgressione con il dettato dei trattati internazionali di Londra del 1720 e, soprattutto, senza il voto dei tre Stamenti sardi, unico organo autorizzato a risolvere una simile questione internazionale; conseguentemente,
rivendica
il diritto di partecipare al processo di riforma:
- nel rispetto della sovranità popolare e della natura “nazionale” del suo popolo;
- nel contemporaneo riconoscimento di una più alta ed efficace forma di autogoverno della Sardegna;
- nella convinzione maturata anche in Italia secondo la quale il Paese è diventato uno Stato plurinazionale e pluriculturale nella sostanza, ma non ancora nella forma costituzionale;
- nella fiducia che il nuovo Patto costituzionale offrirà anche alla Sardegna la possibilità di convivere fraternamente con i popoli dell’Italia,
ribadisce, infine, nel rispetto della propria tradizione democratica,
- i valori di coesione economico-sociale e il modello di libertà, di democrazia, di benessere e di progresso tipici delle diverse nazioni presenti in Europa;
- l’amichevole collaborazione con le comunità e con gli Stati frontalieri del bacino Mediterraneo per il progresso degli interessi comuni,
dà avvio
alla elaborazione del nuovo Statuto-costituzione della Sardegna secondo le forme che la legittima rappresentanza del popolo sardo vorrà seguire,
chiede
al Parlamento la stipula di un nuovo Patto costituzionale, partecipando con pieno diritto e nel rispetto della rappresentanza del popolo sardo al processo di riforma e di revisione della Costituzione italiana.
Cagliari, 8 marzo 2010