È indispensabile che venga spezzata la gabbia d’acciaio dei Trattati fondativi dell’Unione, i quali impongono l’unanimità per qualunque decisione di rilievo. L’Italia prenda un’iniziativa decisa in tal senso.
I libri, la mia vita. Impugno “Cronache dal sottosuolo” del compianto Antonello Satta e mi commuovo. Pilucco poi pagine de “I Gramsci a Sorgono” di Marco Marras e il pensiero vola soave alle vicende nascoste della nostra terra che solo attenti cultori delle lettere sono in grado di recintare e consegnare ai posteri. Sarà che mi accingo a partire per Londra e una certa nostalgia mi tradisce seppure la vita inglese mi soddisfi appieno. Mentre scorro l’introibo del libro di Satta, mi rendo conto di quanto la mia condizione interiore sia migrata dalla ricerca ossessiva delle categorie oggettive dell’esistenza occidentale, ovvero la famiglia, la carriera, il raggiungimento dei più disparati obiettivi perlopiù di natura materiale, a un più rilassato godimento delle radici e delle culture appunto- del sottosuolo- che le contornano ancorando le origini alla terra. Traggo più godimento a contornarmi di amici, nuovi e d’infanzia, con i quali riunirci in banchetti dedicati alla narrazione di vecchi ricordi o alla condivisione di altrettanti momenti di riflessione. Un connubio che restituisce centralità al mio senso più mite e devoto alla causa interiore. Noi sardi formiamo una nazione compatta. Seppur io ritenga che il sardismo sia uno psichismo e nasconda in seno i semi della sua stessa disfatta, colgo l’essenza unica della nostra natura che ci accomuna pure se siamo di Seulo o di Bitti. E siamo molto arditi, nonostante la corazza sia corrosa dall’indulgenza a stare ritti finché fa comodo. Lo Stato è un alleato cui noi sardi dovremmo guardare con quel principio cui dovremmo guardare ugualmente il mondo. Non siamo i migliori. Non in un assoluto privo di confronti o contatti. Siamo però mossi da istinti ben riposti che ci uniscono alla nostra cultura in maniera viscerale. Ed è proprio alla cultura, nelle varie declinazioni, che dovremmo puntare per arrivare a nuovi patti con i governanti. È di pochi giorni addietro la celebrazione della sentitissima festa campestre di San Mauro a Sorgono. Il battesimo delle feste in Barbagia. Il rito, cui partecipo con una religiosità assai intima, mi ha restituito il senso de su Connotu, dell’essere nel posto giusto, al netto delle contaminazioni di una civiltà che assale l’isola con le innovazioni senza lasciare il respiro ai retaggi e alle tradizioni portate avanti da pochi baluardi. Potremmo definirci la nazione del ballo sardo, della piazza, de sa gente. Ma so che agli irriducibili con le ginocchia rigide una tal definizione causerebbe crampi di risate. Io trovo invero stucchevole l’iperbole socioeconomica utilizzata per cercare di declinare il futuro della Sardegna a un destino simile alla gogna. Non ci accade nulla di misterioso, tranne che un capitalismo impetuoso ha sottoposto l’intera provincia italiana a un declino rovinoso senza apparente soluzione. E se tornassimo tutti a Biddafraigada? Così scrisse Satta. Perché l’educazione dei figli comporta appunto l’insegnamento dei giusti confini. Il mondo come lo avevamo interpretato, ha esteso i suoi limiti verso territori fuori dalla nostra portata. Un giorno scriverò della vita a Londra ripulita dal fascino della storia. Non faccio pauperismo dialettico. Ormai l’altrove è come casa, con le medesime prove sostenute entro regole appena differenti. Mi domando se tornerei. Ma non ho risposte. Anzi, lo farei. Ma finché sento di prendere un aereo perché ubbidisco alla ragione, mi sentirò un disterrau privilegiato. Che soffre il male minore in questo tempo muto. Seminare su Connotu per rientrare finalmente a casa. Andrea Mereu Operatore culturale a Londra
L’UNIONE SARDA, 9 giugno 2022
Questo testo è tratto dal recente libro di Pier Giorgio Pinna – già caporedattore de La Nuova Sardegna e corrispondente di ‘la repubblica’ - dal titolo “Virus & censure. Il contagio mediatico”, Editrice Mediando, Sassari, 2021.
Continua la terza parte, di cinque, che l’amico GIANFRANCO MURTAS ci ha messo a disposizione per ricordare la figura di MARCELLO TUVERI, importante figura della classe dirigente sarda del secondo dopoguerra, distintosi nei molteplici ambiti in cui ha prestato la sua opera: intellettuale, sindacalista, dirigente d’azienda, militante e dirigente, prima sardista (autonomista, in contrasto con Antonio Simon Mossa e la sua linea indipendentista-federalista) e poi repubblicano.
La scelta di papa Francesco premia il presule piemontese che ha svolto il proprio ministero episcopale nella sua città, Ivrea, ed in Sardegna, Iglesias e Cagliari. La Fondazione Sardinia ha avuto modo di apprezzare la sua sensibilità verso la cultura sarda nel comune percorso verso la traduzione in limba della liturgia eucaristica e nella sua applicazione in occasione della celebrazione solenne di ‘ sa Die de sa Sardigna’ (nella foto, del 2017). Presidente della CES, la Conferenza Episcopale Sarda, mons. Miglio ha molto spesso fatto da stimolo e da guida - con la sua convinzione che l’uso del sardo nella liturgia aiuta i sardi a parlare con Dio e aiuta Dio a parlare ai Sardi – nel percorso ancora non concluso. Siamo certi che sarà ancora con noi in vista del traguardo atteso della normale celebrazione eucaristica dei Sardi in sardo. Gratzias e augurios.
Segue lo stralcio di un articolo di Gianfranco Murtas sull’istituzione cardinalizia e la sua applicazione al clero sardo. Con aspetti della biografia del neo-cardinale.