La miseria del renzismo ed il debito greco, di Vittorio Bona

Lo sconforto di fronte al tipo di gestione del debito greco. Che cosa ha indotto il premier Renzi ad intervenire? L’antico sofisma che considera il   popolo responsabile di ciò che fa il governo.

Il dibattito in corso sulle sorti del debito greco genera in molti un senso di sconforto. Non soltanto in coloro che avvertono nel riflusso di nazionalismi e populismi contrapposti i pericoli di un’estensione del deficit di democrazia  presente fin dalle origini nell’impianto di diritto pubblico europeo che sorregge l’Unione. Il  senso di sconforto non risparmia neanche quanti con semplice  buonsenso prestano attenzione alle vicende che da anni tormentano il popolo greco mossi dal solo  desiderio di comprendere gli argomenti con cui si vorrebbe ulteriormente prolungarle. Di sicuro è tra costoro che si annoverano i più stupiti  dalla sorprendente dichiarazione con cui il nostro Presidente del Consiglio ha manifestato il proprio plauso per la  decisione presa dalla BCE di sospendere dall’11 febbraio l’ordinaria provvista di liquidità alle banche greche. Poiché sulle richieste avanzate dalla Grecia non si è ancora pronunciato l’euro gruppo, che in materia è  il vero decisore politico, correttezza avrebbe voluto che la BCE considerasse ancora aperta la trattativa avviata dal governo greco sulla revisione dei termini di pagamento del debito. Quale organo tecnico prudente ed imparziale avrebbe dovuto limitarsi a segnalare l’avvenuto incontro senza aggiungere altro se non rituali espressioni di mera cortesia nei confronti del Primo ministro greco.  Si farebbe torto alla lucidità di Draghi se si coprisse sotto la dicitura di una “decisione legittima”  un comunicato che sarebbe stato inteso da chiunque come un oggettivo indebolimento della posizione del governo greco. Ma che dire del Presidente del Consiglio Renzi, che  non richiesto da alcuno né investito da alcun dovere d’ufficio plaude a questo improvvido comunicato della BCE che ha fatto impennare al 18% gli interessi sui titoli greci? Dopo le strette di mano del giorno prima, finita la festa di un’ostentata amicizia, non ha tutta l’aria di una pugnalata alla schiena inferta alla Grecia?

E’ impossibile sapere cosa abbia indotto il Presidente Renzi a intervenire. Se pensava ai 40 miliardi di euro prestati dall’Italia alla Grecia attraverso il Fondo salva Stati, come qualcuno accorrendo in suo aiuto ha voluto suggerire, o se a spingerlo sia stata invece la scaltrezza di chi è solito rassicurare prima di colpire di soppiatto, per cui a muoverlo potrebbe essere stato l’intento di guadagnare la fiducia dei poteri forti che sono i veri arbitri del nostro debito; il giudizio deplorevole sulla sua dichiarazione non soltanto permane, ma si aggrava ulteriormente. Nell’un caso come nell’altro la presa di posizione non ha un fondamento. Né il credito dell’Italia potrà essere riscosso se la Grecia fallisse, né il debito del nostro Paese potrà essere mai assolto ove  perdurasse l’attuale regime europeo che consente o addirittura propizia il fallimento della Grecia.  Perché il venir meno dei timori per una caduta dell’euro in conseguenza degli effetti a domino innescati dal default greco, lungi da spegnere riaccende la propensione già manifestatasi in passato in alcuni ambienti europei a liberare l’euro dal cosiddetto anello debole perché, si dice, i legami tra i restanti paesi dell’eurozona ne risulterebbero rafforzati. Naturalmente è del tutto chiaro che ciò avverrebbe solo entro un regime di rigore ancora più stringente.

Sarebbe stato di gran lunga preferibile se prima di pronunciarsi su una questione così gravida di conseguenze anche per il nostro Paese, il Presidente del Consiglio avesse studiato attentamente il dossier della Grecia, e come posizioni creditizie inesigibili siano transitate dai conti delle banche a quelli dello Stato ampliando così a dismisura la platea dei debitori fino a ricomprendere una nazione intera. Per quanto le vicende della crisi greca possano essere ricostruite o argomentate diversamente, la conclusione non cambia: sei greco, paga! Non importa se non hai ricavato alcun vantaggio dalle malefatte di chi ha governato o se sei, com’è del tutto evidente, soltanto un bambino: sei greco? E allora paga, magari col digiuno e se non basta abituati alla fame.

Prima di sgomitare per occupare una posto in prima fila tra le cancellerie europee più intransigenti nel riscuotere i crediti ad ogni costo, anche a rischio di  stravolgere il diritto pubblico europeo in un tragico sberleffo alle sacrosante dichiarazioni dei diritti universali dell’uomo e delle genti, sarebbe stato di gran lunga preferibile se il Presidente Renzi avesse invitato il Parlamento a pronunciarsi sulla questione di fondo con cui il caso greco interpella la coscienza civile di noi tutti, persino dei più tiepidi europeisti. Fino a che punto è lecito riversare le colpe, i furti e le malversazioni dei governanti e di banche compiacenti su un’intera popolazione? Se ruberie e truffe sono passate inosservate non soltanto alle istituzioni europee ma anche all’attenzione degli organismi creditori più direttamente interessati, su quali strumenti di conoscenza più efficaci poteva mai contare il popolo greco al punto da considerarlo pienamente informato e dunque corresponsabile a pieno titolo degli sperperi compiuti?

Della vicenda greca ciò che più sconsola è l’idea di democrazia rappresentativa che è sottesa nel modo in cui di solito  il dibattito è affrontato. Si basa su un antico sofisma che considera responsabili  popolo e governo come un tutt’uno nei rapporti esterni in cui intervengono gli Stati. Non sempre però. In tempi assai più drammatici degli attuali la distinzione fu trovata attingendo agli insondabili e mai ben definiti principi informatori del diritto delle genti. L’istituzione di un tribunale speciale servì a dissociare un popolo vinto, prostrato e avvilito, dalle responsabilità proprie del governo nei crimini di guerra perpetrati dai nazisti e nello sterminio di intere popolazioni inermi, i cui individui erano colpevoli soltanto di essere nati ebrei. Sebbene discutibilissima in punta di diritto, non vi è giudizio storico che non veda in quella soluzione un’istituzione propiziatrice di pace e di fattiva riconciliazione tra popoli europei e non solo. Oggi non serve un nuovo tribunale. Basta il buon senso per capire che alle attuali condizioni la Grecia non  è in grado di far fronte al suo debito.  Occorre voltare pagina ritrovando il coraggio necessario a colmare il deficit di democrazia che assai prima della crisi greca e in misura di gran lunga maggiore del suo debito impoverisce le istituzioni europee confinandole al ruolo di un miserabile esattore.

 

Condividi su:

    Comments are closed.