Cristiani in terra d’islam. Beati i perseguitati, di Sandro Magister

“Sono lasciati soli e indifesi come gli ebrei”, denuncia un autorevole rabbino. Con l’illusione che ciò faciliti la pace con i musulmani. Il quadro della situazione descritto da un esperto gesuita israeliano. Segue l’articolo: L’AVVENIRE DEI CRISTIANI IN MEDIO ORIENTE, di David Neuhaus S.I.

ROMA, 20 gennaio 2015 – Del viaggio in Asia di papa Francesco resta nella memoria ciò che ha detto sui massacri di Parigi, quando ha mostrato di comprendere la reazione violenta di chi vede insultata e irrisa la propria fede: “Se un amico mi dice una parolaccia contro la mia mamma, gli arriva un pugno! È normale! È normale!”.

Queste sue parole hanno fatto il giro del mondo e sono suonate come musica per tanta parte del mondo musulmano, che solidarizza con l’assassinio degli empi disegnatori di “Charlie Hebdo”.

Nella stessa conferenza stampa, però, Francesco ha detto anche dell’altro: “Sempre, per me, il miglior modo di rispondere è la mitezza. Essere mite, umile come il pane, senza fare aggressione”.

E queste altre sue parole sono suonate come un comandamento per i cristiani in terra musulmana: porgere l’altra guancia, anche quando il nemico non solo li offende e irride, ma li uccide nel nome di Allah.

In un vibrante commento sul “Corriere della Sera” del 13 gennaio, un rabbino italiano dei più stimati, Giuseppe Laras, 79 anni, già amico fraterno del cardinale Carlo Maria Martini, ha messo in guardia dalla “strategia fallimentare” di chi crede di “facilitare una pace culturale e religiosa con l’islam politico” cominciando col “lasciar soli gli ebrei e lo Stato di Israele” e proseguendo lasciando indifesi i cristiani:

“È una strategia fallimentare che i cristiani arabi provarono con il panarabismo e l’antisionismo. Gli esiti sono ben noti. Dopo che quasi tutti i Paesi islamici si sono sbarazzati dei ‘loro’ ebrei, si sono concentrati con violenze e massacri sulle ben nutrite minoranze cristiane. È una storia che si ripropone e che va dal genocidio armeno (un secolo fa) ai cristiani copti di Egitto, ai cristiani etiopi e nigeriani, sino a Mosul. E molti Paesi europei, un’intera classe di intellettuali e molti cristiani di Occidente hanno le mani grondanti del sangue dei cristiani di Oriente, dato che sono stati disposti a sacrificarli sugli altari del pacifismo, dell’opportunità politica, di un malinteso concetto di tolleranza, della cultura benpensante e radical chic, della buona coscienza”.

Alla radice di questa abdicazione il rabbino Laras vede l’eclissi del giudeocristianesimo:

“La crisi che viviamo non è economica e demografica soltanto: è una crisi culturale e valoriale, legata alla crisi del cristianesimo e, in un certo senso, della conoscenza della Bibbia, il cardine dell’intera nostra cultura. Aveva ragione Carlo Marie Martini a dire che la Bibbia è il libro del futuro dell’Europa e dell’Occidente, ma non è stato ascoltato. Aveva ragione Benedetto XVI nella ben nota conferenza di Ratisbona, ma fu vittima del discredito mediatico e culturale. Il riportare la Bibbia a fondamento della cultura e dell’etica è un impegno religioso possibile, dalla fecondità straordinaria, condivisibile tra ebrei e cristiani”.

Ma torniamo ai cristiani in terra musulmana e in particolare nel Medio Oriente. Un autorevole e aggiornato inquadramento della loro drammatica condizione è apparso sul primo numero di quest’anno de “La Civiltà Cattolica”, la rivista dei gesuiti di Roma che è stampata con il previo controllo delle autorità vaticane.

L’autore è un ebreo israeliano convertito al cristianesimo ed entrato nella Compagnia di Gesù, David Neuhaus, vicario del patriarcato latino di Gerusalemme per i cattolici di lingua ebraica.

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L’AVVENIRE DEI CRISTIANI IN MEDIO ORIENTE

di David Neuhaus S.I.

Ogni discorso che si può fare oggi sulla situazione dei cristiani in Medio Oriente deve cominciare col prendere atto della paura che ha colpito quelle comunità al vedere le orribili scene diffuse a partire dall’Iraq e dalla Siria. […]

La paura è associata a un’espressione che viene facilmente sulle labbra di chi osserva la situazione presente: “la persecuzione dei cristiani”. Non c’è alcun dubbio che i cristiani vengano uccisi perché i loro carnefici musulmani estremisti li considerano infedeli, politeisti o spie dell’Occidente.

Eppure, come ha rilevato il Comitato Giustizia e Pace dell’assemblea degli ordinari cattolici di Terra Santa: “In nome della verità, noi dobbiamo sottolineare che i cristiani non sono le sole vittime di questa violenza e di questa ferocia. I musulmani laici, tutti quelli indicati come eretici, scismatici o semplicemente non allineati sono parimenti attaccati e uccisi”. […]

Paura di che cosa?

La paura è una cattiva consigliera. Per affrontarla e per vincerla, la si deve capire. I cristiani sono una porzione particolarmente vulnerabile del mondo arabo, perché un buon numero di loro si è sempre rifiutato di organizzarsi secondo linee confessionali, come partiti politici o milizie.

Per decenni, dalla fine dell’Ottocento, i più motivati tra loro dal punto di vista politico e sociale hanno speso le loro energie per sviluppare il nazionalismo arabo laico sotto le sue diverse forme. In questo progetto, hanno lavorato assieme a musulmani e a membri di altre comunità minoritarie con cui condividevano le stesse convinzioni.

Quello che normalmente è conosciuto con il nome di “risveglio arabo” è stato coronato da successo finché gli arabi hanno sviluppato il senso della propria identità, fondata sulla lingua e sulla cultura arabo-musulmana, nell’ambito di quella vasta regione del mondo che è stata il centro delle antiche civiltà che diedero al mondo l’ebraismo, il cristianesimo e l’islam.

Sull’onda della guerra arabo-israeliana del 1948, i regimi monarchici furono rovesciati da rivoluzioni nazionaliste in parecchie regioni del mondo arabo. In seguito, però, questi regimi, spesso sostenuti fermamente dall’esercito e dalla polizia, si sono trasformati in dittature, attuando brutali sistemi di repressione per soffocare ogni opposizione. Fra le vittime di questi regimi si trovavano membri di alcuni movimenti che cercavano di rafforzare l’identità musulmana e di sviluppare modelli di governo islamici e anti-occidentali.

Il documento del Comitato Giustizia e Pace, citato sopra, afferma: “Sotto questi regimi dittatoriali, i cristiani hanno vissuto in relativa sicurezza. Essi temevano che, nel caso in cui questa autorità forte fosse scomparsa, sarebbero prevalsi il caos e gruppi estremisti, i quali, impadronendosi del potere, avrebbero portato violenza e persecuzioni. Questo spiega perché alcuni cristiani tendevano a sostenere tali regimi. Al contrario, la lealtà nei confronti della propria fede e la preoccupazione per il bene del proprio Paese avrebbero dovuto forse spingerli a esprimersi prima, proclamando la verità e invocando le necessarie riforme verso una maggiore giustizia e un maggiore rispetto dei diritti umani, assieme a numerosi altri cristiani e musulmani che osarono prendere la parola”.

Sembra così che gli incubi peggiori dei cristiani siano diventati realtà quando i regimi dittatoriali relativamente laici furono sfidati dall’islam politico.

L’emergere di quest’ultimo ha suscitato una legittima paura nei cristiani, i quali, nel migliore dei casi, si sarebbero trovati emarginati all’interno di un sistema politico che avrebbe messo l’accento sull’identità confessionale e avrebbe definito la società in termini confessionali. Nel peggiore dei casi, invece, i cristiani sarebbero stati assassinati, cacciati dalle proprie case, privati dei propri diritti, costretti a subire estorsioni e umiliazioni. […]

La paura può essere superata nel momento in cui i cristiani entrano direttamente in contatto con i responsabili delle diverse correnti dell’islam, ma anche nel momento in cui li sfidano a riflettere sulle conseguenze delle loro ideologie e delle loro prospettive.

In effetti, diverse correnti islamiche hanno già cominciato a riflettere sulla sfida rappresentata dalla diversità confessionale e hanno già iniziato a dialogare con i cristiani.

La paura tende a far credere che tutti i musulmani difendano una sola prospettiva, nella quale i cristiani non avrebbero alcun posto. Superare la paura significa essere capaci di percepire la diversità all’interno di quel fenomeno complesso che è il risveglio islamico.

Superare la paura e l’isolamento

Il primo frutto della paura è la tendenza a isolarsi. Una tendenza visibile tra i cristiani del Medio Oriente è il loro isolarsi nei propri quartieri, nelle proprie istituzioni e nei propri circoli. Dopo aver rifiutato per decenni le tendenze isolazionistiche in campo politico, alcuni cristiani oggi vorrebbero avere i loro partiti politici.

I più estremisti propongono persino che l’identità cristiana escluda l’elemento arabo, la sua lingua e la sua cultura. Secondo tale prospettiva, i cristiani sarebbero aramaici in Siria, fenici in Libano, copti in Egitto, caldei in Iraq, aramei in Israele, ma soprattutto non arabi.

Superare la paura e quanto ne discende, cioè l’isolamento, presuppone che i cristiani escano dai ghetti che si sono imposti, in modo da scoprire tutti quelli che, nel mondo arabo in senso largo, sono similmente minacciati da prospettive islamiche monolitiche che mettono a rischio la composizione stessa della società mediorientale.

In primo luogo, si deve riconoscere che le prime vittime dell’estremismo islamico sono proprio quei musulmani che non sono d’accordo con il punto di vista degli estremisti. Questi ultimi hanno ucciso più musulmani che cristiani. Un maggior numero di musulmani è scappato per paura.

In secondo luogo, un pericolo anche maggiore di quello che colpisce i cristiani lo corrono altre minoranze, come gli yazidi, i drusi o gli alauiti, perché gli estremisti ritengono che la fede e le pratiche di costoro vadano oltre ciò che un musulmano può tollerare quanto a diversità religiosa.

In terzo luogo, le diverse correnti all’interno dell’islam politico non condividono una stessa visione delle relazioni da tenere con i non musulmani. In mezzo a queste correnti, i cristiani devono cercare quelli che sono disposti all’incontro e al dialogo. […]

Istituzioni e discorsi cristiani

Nell’esortazione “Ecclesia in Medio Oriente”, Benedetto XVI pone l’accento sul ruolo prioritario delle istituzioni cristiane nella missione in questa parte del mondo. […]

Centinaia di scuole, di università e di istituzioni per i poveri, per gli anziani e i disabili, di ospedali e di altre istituzioni che offrono educazione e servizi sociali e che appartengono alla Chiesa sono sparse per tutto il territorio del Medio Oriente.

In pratica, tutti questi istituti sono caratterizzati dalla loro dedizione e dai servizi che offrono alle comunità presso cui si trovano, e dall’apertura nei confronti di ogni persona e di tutti, musulmani e cristiani, come pure di altre minoranze. Queste istituzioni rivelano il volto di una presenza cristiana che vuole servire non soltanto i cristiani, ma anche la società nel suo insieme.

Tali istituzioni rappresentano un progresso molto significativo al di là della paura e dell’isolamento. Particolarmente importanti sono quelle che servono quasi esclusivamente popolazioni musulmane, mostrando il volto di una Chiesa che intende contribuire alla costruzione di una società fondata sulla convivialità e sul rispetto. Nella Striscia di Gaza, il 98 per cento degli studenti delle scuole cristiane sono musulmani.

D’altra parte, si può ricordare che, dopo le rivoluzioni del partito Baath in Iraq e in Siria, quasi tutte le istituzioni cristiane erano state nazionalizzate, e ciò ha comportato la scomparsa di questa forma di presenza cristiana nella società. È possibile che l’attuale catastrofe non sia priva di legami con questo fatto. […]

La fede contro la paura

Di fronte alle paure che i cristiani continueranno a provare finché il Medio Oriente sarà scosso dall’instabilità e dal caos, l’unico antidoto cristiano è la fede. I cristiani portano il nome del loro Maestro, che non ha promesso loro una vita facile. A chi lo seguiva, Cristo ha detto: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà” (Mc 8, 34-35). Queste parole hanno guidato generazioni di cristiani, che hanno dato la propria vita per testimoniare la propria fede nel Vangelo.

Si comprende facilmente perché molti preferiscano garantire ai propri figli un avvenire migliore in un mondo che appare più sicuro, in Europa, negli Stati Uniti o in Australia. Una diaspora dei cristiani mediorientali può persino fornire un sostegno a quanti decidono consapevolmente di restare, o a quelli che semplicemente non hanno i mezzi per partire.

Tuttavia, ci sono altri che, ispirati dal proprio coraggio, dalla propria determinazione e dalla propria fede, a dispetto di tutte le circostanze avverse, decidono di rimanere nella terra dei propri antenati, perché sanno che ne va della loro vocazione e della loro missione, e decidono di portare la testimonianza del Cristo nella terra su cui egli aveva camminato.

Sono questi i cristiani che, con il loro senso della missione, assicurano l’avvenire della Chiesa in Medio Oriente. Essi si sono rimboccati le maniche e non guardano indietro, non scappano. Non hanno paura; non accusano nemmeno; non si isolano dietro barriere confessionali; non si lasciano paralizzare dalla propria amarezza; piuttosto guardano avanti, cercando di riconoscere la strada che porta più lontano.

La fede è la sola via sicura, al di là della paura e dell’isolamento, che conduce verso l’apertura e il servizio, mettendosi alla ricerca di Cristo e camminando al seguito di Colui che è andato incontro a tutti, anche a quelli che erano più lontani. La fede è il sentimento profondamente radicato che la vittoria è già stata conquistata dalla risurrezione e che, quali che siano le croci incontrate lungo il cammino – l’estremismo, l’odio e il rifiuto –, le forze di morte sono state superate nella Croce del Cristo. In definitiva, è la vita che vince.

In Medio Oriente, in mezzo a cristiani duramente provati, il rinnovamento della fede passa sicuramente attraverso un senso più consolidato dell’unità cristiana che superi le divisioni confessionali del passato. A più riprese, papa Francesco ha posto l’accento sull’”ecumenismo del sangue”, come ha fatto nel suo discorso davanti al Santo Sepolcro di Gerusalemme, dove si trovava in compagnia di Bartolomeo, patriarca ecumenico di Costantinopoli. […]

Allo stesso modo, il rinnovamento della fede passa attraverso un impegno nel dialogo con i musulmani (e con gli ebrei nel territorio israelo-palestinese), nel richiamo autentico e onesto al rispetto reciproco e in un lavoro condiviso al fine di costruire una società libera dall’oppressione, dall’ignoranza e dalla paura. Questo rafforza anche la richiesta che ci sia uguaglianza fra i cittadini, godendo gli stessi diritti e assumendo gli stessi obblighi.

È questa la voce della fede che si può percepire nella dichiarazione della Commissione Giustizia e Pace, quando afferma: “Noi preghiamo per tutti, per coloro che uniscono i loro sforzi ai nostri e per coloro che oggi ci fanno del male, e persino per coloro che ci uccidono. […] La nostra sola protezione è nel Signore e, come lui, anche noi offriamo le nostre vite per chi ci perseguita, come pure per chi, insieme a noi, difende l’amore, la verità e la dignità”.

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La rivista dei gesuiti di Roma su cui è uscito l’articolo, in data 3 gennaio 2015:

> La Civiltà Cattolica

Sul gesuita David Neuhaus, autore dell’articolo, e sui cattolici di lingua ebraica affidati alla sua cura:

> In Israele germogliano i giudeocristiani

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L’articolo del rabbino Giuseppe Laras sul “Corriere della Sera” del 13 gennaio:

> La Bibbia messa ai margini e la crisi del cristianesimo

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La trascrizione della conferenza stampa del papa del 15 gennaio con il suo commento al fatti di Parigi (nel video dal minuto 32′ 37”):

> Papa Francesco ai giornalisti

Il programma e i discorsi del viaggio di papa Francesco in Sri Lanka e nelle Filippine:

> Viaggio apostolico 12-19 gennaio 2015

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