Dipendenza, crediti e debiti della nostra comunità: una riflessione a cent’anni dal Congresso dei Sardi in Roma, Relazione di Federico Francioni

Relazione introduttiva al convegno svoltosi presso l’Università di Sassari, il 27 novembre 2014 (nella foto sotto: da sinistra, Omar Chessa, Paolo Fois, Salvatore Cubeddu, Vanni Lobrano). Sommario della relazione: Isterrida – La denuncia di Enrico Carboni Boy nel 1914 – Una dipendenza di tipo coloniale – La Sardegna non è in debito, bensì in credito con lo Stato italiano – Pro l’agabbare: su dèpidu ecològicu.


Isterrida. Est importante faeddare galu de su Primu Cungressu de sos Sardos  in Roma (Castel Sant’Angelo, maju de su 1914): lu amus già fatu su 27 de Santuaini de s’annu coladu in s’Universidade de Tàtari cun Sarvadore Cubeddu, Serafina Mascia (presidente de sa Fasi), Paulu Pulina, Omar Chessa, Paulu Fois, Giuanne Lobrano. Sunt interbènnidos puru su retore de s’Universidade matessi Mastino, Gianni Carbini (in rapresentàntzia de su sìndigu de Tàtari Nigola Sanna) e Giuanne Frantziscu Ganau, presidente de su Cunsìgiu rejonale. Devimus prusaprestu ammentare chi, giai in su 1881, fiat istadu ammanigiadu un’aboju de sos Sardos presentes in Roma; nde aiat faeddadu in unu libereddu suo Sarvadore Pirisi Siotto, deputadu nugoresu. Sos documentos de su 1914 si podent legere in custu giassu nostru: www.fondazionesardinia.eu.

In sos papiros de su 1914 agatamus chi su Comitadu d’onore fiat cumpostu dae pessonalidades  comente Gratzia Deledda, Sarvadore Farina, Ettore Pais, istòricu de gabbale, istudiosu de Roma antiga e senadore. A s’origine de de su Cungressu b’at s’impignu de Frantziscu Cocco Ortu (1842-1929) chi fiat istadu sutasegretàriu e ministru e chi -  in su 1897, 1902, 1906 e 1907 – aiat dadu unu cuntributu fundamentale pro cudda chi a pustis est istada cramada s’ispetzialidade, la specialità. Tzertu, Cocco Ortu fiat istadu acusadu paritzas bortas d’essere capu de clientelas, ma bisòngiat puru agiùnghere chi, in su dibàtidu a pustis de su Cungressu, fiat reconnota s’importàntzia de sos temas e de sos problemas tratados in cudda ocasione. Est pretzisu puru pònnere in craru chi a Roma, in Castel Sant’Angelo, fiant arribbadas puru sas adesiones de òmines polìticos  de s’opositzione, mescamente de sa manca, de sa sinistra sarda: pensamus a Filippo Garavetti (de su grupu raighinale-republicanu de Tàtari) e a su sotzialista Giuseppe Cavallera.

Intre sos problemas tratados in Castel Sant’Angelo, deo chèrgio fàghere riferimentu – comente apo fatu in sa relata mia pro s’atopu del su 27 de Santuaini in Tàtari (già ammentadu) – a sos problemas de sas tassas.

La denuncia di Enrico Carboni Boy nel 1914. Sul prelievo fiscale, sulle somme riscosse dallo Stato in Sardegna, relativamente all’esazione effettuata in altre regioni, si soffermava, durante il Congresso romano, l’avvocato, docente e deputato Enrico Carboni Boy. La precisa denuncia delle politiche governative, quale emergeva nell’assise del 1914, sarà poi ricordata da Antonio Gramsci nei Quaderni del carcere. Leggendo le pagine di Carboni Boy, che figurano negli Atti del Congresso, è possibile scorgere quei decisivi passaggi della storia isolana che caratterizzarono l’Ottocento e che man mano costituirono gli elementi distintivi di quella che Giovanni Battista Tuveri chiamò – per primo – la ”questione sarda”. Ma per ricostruire storicamente l’emergere di certe problematiche torna utile fare riferimento a scritti non molto conosciuti, in parte dimenticati, come quello dell’avvocato e deputato Gavino Fara (del 1869) e a un saggio di Pasquale Cugia su Questione meridionale e isolana (che compare nel 1903), fino ad arrivare alla lucida, precisa denuncia di determinate condizioni socioeconomiche, contenuta nella relazione che l’on. Ignazio Pirastu fece per la Commissione parlamentare d’inchiesta sul banditismo, nota dal nome del suo presidente Giuseppe Medici.

Vediamo, in estrema sintesi, i passaggi e le svolte determinanti nella storia isolana dell’Ottocento: i fortissimi oneri accollati ai Comuni – dagli anni quaranta dello stesso secolo  in poi – per il pagamento del riscatto dal giogo feudale, un peso che impoverisce le nostre comunità, destinato ad ostacolare gli investimenti in agricoltura, l’accumulazione originaria ed un successivo decollo industriale; le imprecisioni e gli abusi commessi nella compilazione del catasto; l’imposta fondiaria; l’imposizione, in tempi strozzati, del sistema metrico decimale, che provoca il fallimento di vari esercizi commerciali; la tassa sul macinato, famigerata anche per il modo in cui si esigeva nella nostra isola; lo sfruttamento delle miniere e delle saline, nonché la distruzione del manto boschivo (pensiamo ai dati forniti da Giovanni Maria Lei Spano di Ploaghe, in un libro del 1922, ormai classico);  infine, la guerra doganale con la Francia, voluta dai governi di Francesco Crispi, che priva i prodotti tradizionali di vantaggiosi sbocchi di mercato e la pressoché coeva, gravissima crisi bancaria del 1887: sarebbe interessante al riguardo un parallelo (un minimo problematico e critico) fra quella svolta e le vicende degli anni novanta del secolo scorso, contraddistinte dalla perdita pressoché totale di autonomia degli istituti creditizi sardi (per non parlare di quelli meridionali). Un nodo cruciale su cui a lungo è calato un rigoroso velo di silenzio e su cui tuttora vengono mantenute ed osservate – a tutti i livelli – significative reticenze.

Nella sua breve ma succosa relazione, Carboni Boy afferma innanzitutto che quanto lo Stato preleva in una determinata regione dovrebbe essere commisurato alla ricchezza effettiva della popolazione di quel territorio, «per modo che – proseguiva il deputato – […] sotto l’apparente giustizia dell’eguaglianza formale […] non sia spogliazione del necessario, balzello paralizzante ogni forza produttiva e di risparmio degli uni, onere lieve e risibile per gli altri» (si veda la pag. 143 degli Atti).

Lo stesso parlamentare portava dati precisi sui gravami fiscali incombenti sulla Sardegna, tali da condizionare le prospettive future: il Piemonte era partecipe della contribuzione nazionale nella proporzione di lire 3,78 per ogni singolo abitante; la Liguria per l. 1,35; la Lombardia per l. 4,36; il Veneto per  l. 3,18; l’ Emilia Romagna per  l. 4,52; la Toscana per l. 2,66; la Sardegna per l. 3,53; alte, anche superiori alla Sardegna, le cifre riguardanti Campania, Puglia e Basilicata; minore, anche in confronto alla nostra isola, il contributo della Sicilia. La Sardegna dunque – era la conclusione al riguardo di Carboni Boy – concorreva su base annuale alle spese dello Stato in misura proporzionatamente superiore a quella di regioni dotate di ben altre potenzialità, risorse socioeconomiche e di reddito.

Lo stesso deputato forniva altre, significative cifre riguardanti non solo quanto il governo riscuoteva, per ogni regione, dal singolo abitante, ma anche quanto spendeva in suo favore: da tali dati discendeva con precisione la sperequazione consumata a carico della Sardegna. Per il parlamentare, lo Stato centrale aveva contribuito in misura decisiva ad inceppare il “rifiorimento” (questo il termine utilizzato, ripreso evidentemente dal dibattito settecentesco) ed il “movimento ascensionale” – così egli scriveva – della nostra economia .

Certamente altri meccanismi e fattori contribuivano a questo “inceppamento”: i secolari problemi demografici (spopolamento e sottopopolamento); la malaria, per combattere la quale mancavano, aggiungeva Carboni Boy, la profilassi ed i piani di bonifica. Dal 1903 al 1912 erano stati ben 8.274 i morti di malaria, 872 all’anno, su una popolazione complessiva di circa 830.000 abitanti (si vedano al riguardo le relazioni di Giovanni Loriga e del dott. Ferralis di Pavia). Alla malaria vanno aggiunte malattie gravi, come la lebbra (nuovi casi si erano verificati nei primi anni del Novecento) ed il tracoma, oggetto anch’esse di relazioni nel Congresso di Castel Sant’Angelo; sul tracoma sarà almeno il caso di ricordare che molti giovani coscritti cercavano il contagio per contrarre questa malattia degli occhi ed evitare così il servizio di leva. Più di una riflessione dovrebbe essere dedicata a Sardigna malaida, “bella da morire”, con specifico riferimento anche ai più recenti guasti arrecati all’ambiente, secondo le circostanziate denunce  di Vincenzo Migaleddu e di altri.

Si pensi inoltre alla distruzione delle foreste, cui si è fatto riferimento: si può ricordare, fra le tante, la distruzione del manto boschivo di Austis, operata dal conte Pietro Beltrami, legato a Camillo Benso, conte di Cavour. Altri fattori negativi erano costituiti dalla frammentazione eccessiva della proprietà fondiaria, nonché dagli abusi commessi nella composizione del catasto (ne abbiamo già fatto cenno): esso era in grado di produrre perniciosi effetti, riconosciuti nel 1864 dal ministro Magliani, denunciati da un altro parlamentare isolano, l’imprenditore agricolo Michele Carboni (1821-1889), ricordato dallo stesso Carboni Boy. Va sottolineato anche il peso dell’imposta fondiaria che doveva fornire un gettito prestabilito, determinato a priori ed in stridente contrasto con la realtà e le dinamiche socioeconomiche locali.  Carboni Boy parla di “errato e strabiliante principio tributario”, in base al quale «si impartirono ordini perentori ai compilatori del nuovo catasto, i quali dovevano elevare  la rendita sui terreni, in modo da raggiungere la somma dell’imposta a priori determinata, anche quando fosse in aperto contrasto con la realtà».

Interessante l’osservazione del Carboni Boy secondo il quale speculatori e responsabili del saccheggio delle nostre risorse naturali – cosa di cui l’erario, fra l’altro, si avvantaggiava poco o nulla – e tanti altri, insieme a loro, correvano poi la penisola diffamando gli abitanti della Sardegna, qualificati come “inetti, queruli e infingardi”. Anche a questo proposito vanno ricordate le polemiche annotazioni di Gramsci contro Alfredo Niceforo e Paolo Orano.

Carboni Boy inoltre pone in risalto il problema dell’insularità, che tante volte Paolo Fois ha affrontato, dal suo specifico punto di vista di studioso di Diritto internazionale, in relazione ai principi ed alle problematiche dell’Unione Europea. Carboni Boy dal suo canto si riferiva a  tariffe di navigazione proibitive, in grado di aggravare i già elevati costi connessi, per l’appunto, all’insularità.

Per un carico di imposte e sovraimposte, si accentuarono gli oneri soprattutto per i medi e piccoli proprietari; venute meno le rendite, diventata la terra un onere, ebbe inizio la devoluzione, cioè il passaggio, al demanio statale,  dei fondi gravati da un carico cui non si poteva far fronte. Attenzione ai dati seguenti, citati da Carboni Boy, già noti, su cui però è sempre indispensabile riflettere: dal 1885 al 1897 si ebbero in Sardegna 52.060 espropri, mentre nel resto dello Stato, durante lo stesso arco di tempo, «le espropriazioni ammontarono a 53.167». Un dato che avrebbe impressionato la storiografia del Novecento, nell’ambito della quale vogliamo ricordare almeno la storia economica d’Italia di uno studioso importante come Gino Luzzatto.

Carboni Boy quasi si identifica nel punto di vista, da lui stesso esplicitato, di un “noi agricoltori”; ma, al di là di un ceto di proprietari terrieri, che si sente particolarmente colpito da un prelievo fiscale destinato ad avvantaggiare l’industria, non è difficile scorgere sullo sfondo delle sue pagine soprattutto le articolate denunce di Francesco Saverio Nitti che, proprio all’alba del Novecento, documentava – nella sua classica opera Nord e Sud – i meccanismi (fiscali e non), attraverso i quali dal Mezzogiorno, ed anche dalla nostra isola, era stata spostata ricchezza in grado di permettere l’avvio del decollo industriale del Settentrione. Tutto quantitativamente documentato e tutto puntualmente dimenticato, trascurato, o affrontato in modo assai superficiale, anche in tempi recentissimi, dal sociologo e statistico Luca Ricolfi, dell’Università di Torino, che, con accenti leghisti, ha avuto la sfrontatezza di riferirsi ad un Nord letteralmente saccheggiato e spolpato dal Meridione. Il che non deve certo impedire di trascurare il peso di clientelismi, assistenzialismi, parassitismi e sprechi che ancor oggi condizionano pesantemente la vita della Sardegna e delle regioni del Meridione d’Italia.

Una dipendenza di tipo coloniale. Come altri esponenti politici e studiosi della questione sarda, Carboni Boy conclude che l’isola è stata considerata dallo Stato come “colonia”,  sostantivo di fronte al quale vari docenti, soprattutto accademici, storcono la bocca (oppure il naso), commentando, di solito, che si tratta di “terzomondismo” (termine da loro negativamente inteso). Dal mio punto di vista, invece, penso che si debba fare riferimento sia alle categorie dello stesso Gramsci (il quale, com’è noto, distingue rigorosamente tre sezioni del Mezzogiorno: Napoletano, Sicilia e Sardegna), sia all’elaborazione del compianto storico franco-americano John Day, grande amico della nostra terra. Egli ha coniato per l’isola l’espressione “laboratorio di storia coloniale”: tale essa è stata, secondo Day, dal Medioevo in poi. Tuttavia bisogna precisare che Gramsci e Day hanno escluso una equiparazione della dipendenza sarda a quella di colonie latinoamericane, africane ed asiatiche, classicamente intese. No, la Sardegna si configura come particolare tipo di colonia, interna all’Europa (ho cercato di approfondire questo nodo nell’articolo De cale tipu est sa dipendènztia econòmica de sa Sardigna in s’Otighentos? nella rivista bilingue “Camineras”, n. 2, maggio 2011, pp. 61-99).

Un limite notevole del Congresso dei Sardi in Roma è rappresentato dalla mancanza di relazioni, analisi ed interventi su quell’aurorale rivoluzione industriale che, fra Ottocento e Novecento, prese piede anche in Sardegna e che è stata documentata dalle lucide ed accurate opere di Sandro Ruju.

Infine un ultimo punto, certo non per importanza, riguarda la completa assenza, negli atti del Congresso, di qualsiasi riferimento alla lingua sarda: qui il discorso dovrebbe farsi più ampio ed approfondito.

In definitiva, tornando ai passaggi più significativi della relazione di Carboni Boy, va posta risolutamente una domanda.

La Sardegna non è in debito bensì in credito con lo Stato italiano. Pensiamo al gettito fiscale imposto alla Sardegna dallo Stato italiano, così come emerge nelle puntuali denunce e nei dati forniti con estrema chiarezza non solo dai già ricordati Fara, Tuveri e Lei Spano, ma anche e soprattutto dall’economista Giuseppe Todde; compariamo tali numeri con quelli che vennero citati da Gramsci nel suo unico discorso alla Camera dei deputati (16 maggio 1925), che venne continuamente interrotto da Benito Mussolini. Ebbene, emergerà con chiarezza che Gramsci ha arrotondato non in eccesso, ma per difetto, i 500 milioni di lire estorti nell’arco di tempo 1869/70-1914 alla nostra isola. La cifra in realtà fu ben superiore. Cose del passato, potrebbero commentare coloro che accettano supinamente argomentazioni come quelle addotte dal già citato Ricolfi, teorico di un presunto sacco del Nord ad opera del Mezzogiorno, Sardegna compresa. No, niente affatto, non stiamo parlando solo dell’Ottocento e  dei primi del Novecento: i 15.000 sardi mandati al macello nelle trincee della prima guerra mondiale costituiscono un debito spaventoso, immane, che lo Stato italiano, anche qualora lo volesse, non  potrà pagare mai! E finiamola, una volta per tutte, con la retorica patriottarda che, nel centenario del conflitto, continuano a propinarci per occultare la spaventosa carneficina dei popoli voluta dai gruppi dominanti di tutta Europa!

Infine, non stiamo facendo riferimento al passato, se appena pensiamo all’enorme debito ecologico contratto dallo Stato e dal capitalismo monopolistico italiano con la nostra comunità.

Pro l’agabbare: su dèpidu ecològicu. Si pensamus a sa deuda de tipu ecològicu, est a nàrrere a su dannu a s’ambiente – pro fàghere solu un’esempru – fatu a sa Sardigna dae sa petrolchimica; si ammentamus su chi ant iscritu economistas e giornalistas alternativos e prenos de coràgiu (penso mescamente a Giuseppe De Marzo, chi at presentadu unu libru suo in Tàtari semper subra sa deuda ecologica, ecological dept, in inglesu), podimus nàrrere, pro l’agabbare chi, fatende puru riferimentu a su chi fiat bessidu a campu in su Cungressu de su 1914, sa terra nostra at accumuladu – atintzione! – non unu  dèpidu, ma unu creditu mannu meda cun s’Istadu italianu.

 

 

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