Il dialogo tra tutti è utile e necessario.

Mario Cubeddu, alla destra della foto, interviene al convegno di Seneghe il 3 giugno 2011

 

Cari amici,

avevo intenzione anche io di dire qualcosa sull’incontro del 3 giugno. E’ arrivato l’intervento di Antonio Buluggiu, ho visto la risposta di Mario Puddu. Io riparto da come ho vissuto quella serata e poi ritorno sul commento di quello che ne è stato detto. Ho apprezzato tutti gli interventi, che aprono spazi e contatti con molte realtà e molte persone. Il gruppo è ricco, interessante, una cosa nuova in Sardegna. Certo, bisogna chiarirsi le idee su quello che si vuole fare. Fino a ieri, però, non ci si conosceva neanche. Ci sono molte, forse troppe, aspettative. E tanti punti di vista diversi. Siamo tutti d’accordo nel rispettarli tutti, se siamo d’accordo sui presupposti e su dove vogliamo arrivare.                                                                           La prima scossa me l’ha data Gavino Sale. Che aveva anche ragione, per come ho vissuto le sue parole. Va bene parlare di indignados, diceva, ma state tenendo conto della mobilitazione sociale presente in Sardegna, dai pastori ai lavoratori autonomi infuriati con Equitalia? Gavino dava subito un significato eccessivo alla cosa, l’Italia che guarda alla Sardegna come modello, ma aveva anche ragione. So benissimo che la mia esperienza è settoriale, limitata. Come quella di tutti i cosiddetti “intellettuali”.  Siamo quasi tutti insegnanti o ex insegnanti, mi pare. La cosa è importante e positiva. Chi più degli insegnanti è in grado di collegare la cultura alle famiglie, ai giovani, alla società?                                                                      Ho parlato di Gavino perché gli altri interventi erano sostanzialmente analitici e prendevano in considerazione i 5 temi proposti alla discussione. Analizzando i problemi attuali, mettendo in evidenza le emergenze più drammatiche. Anche Antonio Buluggiu ha gettato il sasso nello stagno in quel pomeriggio, e non solo nell’intervento. Ponendo già la questione: e noi intellettuali cosa facciamo? Su un distacco dall’impegno nella realtà sarda degli intellettuali proponeva sue considerazioni tempo fa Michela Murgia. Buluggiu a sua volta scrive: “Quale è il compito di un intellettuale in questa situazione? Quello di cercare un compromesso? Non credo. La ricerca del compromesso è compito del politico, non dell’intellettuale.” La situazione a cui fa riferimento è quella della presenza in campo a Seneghe, e in generale nella Sardegna di oggi, di diverse tendenze politico-ideali che esprimono una cultura autonomista opposta a una cultura soveranista. Tra le due tendenze non ci può essere incontro, ognuno deve andare per la sua strada.  All’immagine degli intellettuali indipendentisti che formano il loro circolo per fare un’analisi scientifica della realtà dopo un taglio netto dagli autonomisti e da quelli dalla doppia o tripla anima, sarda-italiana-europea, si potrebbe contrapporre un luogo di confronto, di verifica, di discussione. Nicola Migheli ha parlato di questo nuovo fenomeno della gente di sinistra con simpatie indipendentiste. Perché non provare ad andare a vedere se il percorso è utile, se si può trovare un terreno comune? Le questioni nazionali (come chiama la questione sarda un indipendentista non nazionalista?) sono complesse e difficili.                                                                                                                             Non sono d’accordo con Buluggiu sul rapporto tra politica e cultura. Intanto invertirei i termini quando mette a confronto i compiti della politica con quelli degli intellettuali. Questo intellettuale custode della fede pura e immacolata è diverso dal portatore di dubbi e spirito critico dell’intellettuale che piace a me. L’intellettuale si “compromette” per forza col mondo e con gli uomini, altrimenti non capirebbe nulla. A evitare i compromessi dovrebbe essere invece la politica. Una politica indipendentista, che punti a superare la dipendenza della Sardegna può contare solo sulla conquista della fiducia e della credibilità. E queste le può ottenere solo con la coerenza. A me interessa soprattutto una cosa: quali sono i valori presenti nella coscienza della maggior parte dei sardi? Siamo proprio sicuri che la coscienza indipendentista sia così diffusa? E se non lo è, come si fa a portare la maggior parte dei sardi su questo terreno? Serve la nazionale dei sardi, miss Sardegna, oppure la mobilitazione di tipo sindacale di singoli settori della nostra società su cui si riesce ad esercitare un’egemonia? Compiti della politica, credo. Gli intellettuali devono provare a sperimentare, a mettere in pratica prima che esista, la nazione sarda. Devono provare ad agire come se fossero già liberi. Costruendo strutture culturali dignitose, non subalterne, non elitarie o astratte, capace di dialogare con i sardi di oggi rispettandone idee e sentimenti e allo stesso tempo provando a portarli su un nuovo terreno, quello della non dipendenza mentale, culturale, spirituale. E politica, naturalmente.

 

 

 

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