Fra commento giornalistico e pagine memorialistiche. L’analisi e l’impressione. Fabio Maria Crivelli a cinque anni dalla scomparsa. Un contributo all’OPAC, di Gianfranco Murtas

Si è ricordato: questo 2014 quasi trascorso è stato l’anno sessantesimo dacché Fabio Maria Crivelli, giovane di neppure 33 anni, proveniente da quella importante testata romana che era allora Il Giornale d’Italia, venne da noi, a Cagliari, chiamato dalla famiglia Sorcinelli per dirigere L’Unione Sarda. Aveva cominciato, pochi mesi dopo un surreale ritorno agostano nella sua casa romana, nel quartiere Trieste, reduce da due anni di prigionia: una prigionia spalmata in dodici campi burgundi, terribili, fra Germania e Polonia. Perché s’era consegnato, pur di non aderire alla Repubblica Sociale di Mussolini e sparare addosso ai suoi connazionali. Come, mi sovviene adesso, fece Cesare Battisti, che nel 1914 – cento anni a questi giorni! – fu anche lui da noi a Cagliari (e prima a Sassari) per incontri ed un gran comizio pubblico, alla vigilia della guerra. Anche Battisti, accusato di alto tradimento e destinato alla forca austriaca nel luglio 1916, disse no alla chiamata immonda di essere fra i carnefici degli italiani. Chissà se la memoria dell’irredento trentino avrà fatto capolino nella mente del giovane di radici istriane, concittadino di un altro grande del mazzinianesimo italiano, di quelle terre di confine: dico di Nazario Sauro, martire anche lui della patria e della democrazia post-risorgimentale…

Prima digressione. Ricordo un altro giovane, Giovanni il Trentino, sceso a lavorare nella cava di mastro Gibellini, nel cuore della Barbagia, dopo aver disertato dall’esercito imperiale, nel 1915 o nel 1916. Prima isolato dalla diffidenza di coloro cui chiedeva lavoro, così lontano da quegli austriaci che, alla notizia della sua renitenza, s’eran vendicati sulla famiglia: sul padre internato a Katzenau, sulla sorella e la prima fidanzata recluse nel castello del Buon Consiglio. Sì, respinto dalla diffidenza e perfino temuto essere una spia, per il non aver voluto combattere, lui socialista internazionalista, contro i soldati di Francesco Giuseppe, poveri diavoli come lui… Poi, cercato e chiamato, operaio che conosceva molti mestieri e anche i suoi diritti, orgoglioso e capace, che dopo la grande guerra era potuto tornare nella sua terra con Margherita Nicola, la «donna in maschera» con indosso il costume «tintinnante  di bottoni d’argento»: la «Taliana» che da Nuoro risaliva per far famiglia, appunto, con lui a Baselga. Pagine di Maria Baldessari, lette ed ammirate da Bachisio Zizi…

Giovane di quasi 23 anni Crivelli, in guerra da due, all’indomani dell’8 settembre 1943 era stato condannato a conquistarsi ogni giorno la vita, fra fame, stenti e prepotenze, in una teoria di gironi infernali come anche fatichiamo a immaginarceli, secondo la traccia che abbiamo letto nelle sue annotazioni memorialistiche o per come, a voce, ce le aveva raccontate quando lo avevo messo in contatto con alcuni massoni sardi o non sardi (ma da noi residenti) che, suoi coetanei – classe 1921! –,  avevano combattuto la guerra di liberazione, rischiato la pelle per un ideale di libertà. Ma ce l’aveva fatta a salvare la pelle, a resistere, oltre le umiliazioni e la fatica, e  tornato a Roma, dai suoi, aveva ripreso in mano i libri per laurearsi e, due anni dopo, aveva anche fatto famiglia sua, intanto dirigendosi verso la professione che aveva coltivato da liceale e  matricola di giurisprudenza, spedendo articoli e novelle, soprattutto novelle, ai giornali minori, quando ancora s’era alla vigilia della guerra.

Il primo contatto era stato, a fine 1945, con Leonida Repaci. Ho trovato, pochi giorni fa, un librone al mercatino di piazza Sorcinelli (curiosa coincidenza nominalistica!) – “Repaci controluce”, edito da Ceschina nel 1963, un libro biografico e di testimonianze sulla persona, 670 pagine –, e gliel’ho dedicato, con il sentimento, a lui, a Fabio, ripensato in quel colloquio, timido e insieme azzardato, quella volta d’autunno, con il direttore di Epoca quotidiano, al tavolo di un bar all’aperto, nella capitale, con in mano un testo che era poi un articolo d’esordio – l’articolo dell’esordio! –, e che il direttore, senza neppure degnare d’uno sguardo l’offerente, altissimo e magrissimo, dopo averlo aggiustato qua e là e titolato, seduta stante aveva destinato alla pubblicazione l’indomani! Entrava nella professione, certamente precario, precarissimo, Fabio Maria Crivelli, neppure 25enne, tutto segnato ancora dall’esperienza dei campi nazisti.

C’era stato, in quell’avvio di carriera, anche Il Momento, dato che Epoca aveva dovuto presto cessare le pubblicazioni. Il Momento, politicamente moderatissimo al contrario di Epoca che guardava (col genio di Repaci letterato) al nuovo, aveva anche l’edizione serale rivelatasi infine capace di resistere più a lungo: Momento sera, che anche a Cagliari ricordiamo fino almeno agli anni ’60, perché circolava pure da noi, acquistato magari da qualche fedele romano venuto a vivere in Sardegna e se la combatteva, nell’edicola vespertina con il Corriere d’informazione, La Notte, Paese sera e Stampa sera…. A Il Momento, Crivelli era stato assegnato alla magra sezione esteri, chissà, forse per meriti di… permanenze polacche e tedesche! E da lì era poi passato, due anni dopo, dipendente semiautonomo da Santi Savarino (altra mitica figura del giornalismo d’un tempo), come caporedattore, a Il Giornale d’Italia. Dove ancor più, crescendo nelle responsabilità, doveva combinare la cucina di tutta la foliazione, fra menabò e titoli. Qui era diventato – in quanto ad abilità, dico – direttore o pari al direttore, che l’aveva a che fare tutti i giorni con la proprietà a debiti democristiani. Perché poi quel quotidiano era, di fatto, un multi quotidiano che esitava diverse edizioni territoriali di lato a quella nazionale, fra esse quella sarda. Già dal 1910 o dal 1912, mi pare, dall’indomani quasi della sua fondazione comunque. Alberto Bergamini, sulla scia della corrente liberale di Sonnino e Salandra, la destra di quella galassia liberal-notabilare allora dominata da Giovanni Giolitti, aveva lanciato una testata che era la più moderna, nonostante non fosse certo la più progressista, con una terza pagina che sarebbe arrivata, con gli anni, a regalare,  spazi generosi alla letteratura e al teatro… Come avveniva appunto ai tempi in cui Crivelli lavorava lì.

Fra l’altro – sia concessa questa nuova rapida digressione – ebbe una immediata presa, sul territorio isolano, quel giornale romano che offriva ovviamente un notiziario nazionale e internazionale più ampio di quanto potessero allora sia L’Unione Sarda che La Nuova Sardegna (benché anch’essi, con Raffa Garzia e poi Ascanio Forti e, a Sassari, con Medardo Riccio soprattutto, migliorarono sensibilmente, negli anni ’10, prima della guerra). Fra i suoi corrispondenti sardi anche il giovane Michele Saba, tempra di giornalista e di democratico fra le più cospicue di tutto il Novecento isolano! Di quelle pagine esiste in Biblioteca universitaria, a Cagliari, la raccolta in bobina di microfilm.

La pagina sarda era ritornata nella foliazione de Il Giornale d’Italia del secondo dopoguerra (anche di questa fase esiste in Biblioteca universitaria il documento, sono conservate perfino le annate cartacee rilegate). A scorrere le collezioni – dico 1951, 1952, 1953… – trovi, dico nella pagina sarda, le firme che poi saranno stabili nella rinnovata impaginazione de L’Unione Sarda a direzione Crivelli, cominciando da Nicola Valle e continuando poi nelle rubriche delle corrispondenze provinciali.

Non interessato a questo focus, ma più in generale ai “ponti” fra stampa nazionale e Sardegna, sta lavorando con ottimi risultati, da qualche tempo, un abile ricercatore, Andrea Corda, e spero possa presto andare, fra le priorità delle sue scartabellazioni, anche una indagine tutta volta a questa fetta documentaria della nostra recente storia civile, sulla pagina sarda de Il Giornale d’Italia nell’ottica delle firme che l’arricchivano nel prefascismo e l’avrebbero accompagnata negli anni della dittatura e dopo ancora, nella rinascita democratica. Appunto fino ai primi anni ’50.

Fin qui l’affaccio delle memorie, a rinnovare magari il proposito di scrivere un giorno una biografia di Fabio Maria Crivelli e del suo mondo di ideali e di lavoro. Ora vado ai documenti, e agli appunti già preparati per rinnovare – rimane questo il verbo giusto – l’omaggio alla testimonianza civile del direttore nel nuovo anniversario della scomparsa.  Ripenso agli incontri con noi, meridionali e isolani, di questo nordico italiano fattosi romano già nella seconda infanzia. Tutta la vita così, da adulto: prima Repaci calabrese, poi Savarino siciliano, infine noi sardi…

Ho l’obiettivo sempre di un regesto dei suoi scritti, e pian piano lo sto compilando. Oggi Fabio Maria Crivelli, direttore de L’Unione Sarda dal 1954 al 1976 e poi ancora fra il 1986 e il 1988, lo rivedo nella complessità della sua esperienza umana, non soltanto della sua cifra intellettuale e professionale, e lo onoro contribuendo per un poco proprio al repertorio di scrittura che dovrebbe coinvolgere, davvero in una fatica collettiva, tutti quelli che gli hanno voluto bene. Ciascuno infatti può sapere, e dovrebbe riferirne, di suoi interventi in testate – interventi non conosciuti dai più perché occasionali, e testate pure esse difficili da individuarsi subito, regionali o continentali.

E’ da cinque anni che lo abbiamo perduto. La notizia fece capolino in un taglio basso dell’ultima ora, sulla prima pagina de L’Unione Sarda domenicale che ci raggiunse mentre, in un salone del Massimo, eravamo raccolti a dare onore – alcuni di noi con una sua propria relazione a tema – un altro grande che ci aveva lasciati ormai da tempo: Francesco Alziator. Ecco un ulteriore bel capitolo del libro ideale sulla Cagliari sospesa fra storia, o storia municipale, e libera riflessione civile lungo un quarto di secolo fra quel certo 1954 dell’arrivo cagliaritano, dal porto di Civitavecchia, del direttore ed il doloroso 1977 della morte dello scrittore-cantore di Cagliari, nato alla Marina, cresciuto a Castello, fattosi residente per lunghi e prevalenti decenni a Stampace…

Personalità eccellente della vita pubblica cagliaritana per mezzo secolo, come partecipe o interprete dei fatti non soltanto cittadini o regionali, e come scrittore e autore teatrale. Autore rappresentato anche a Cagliari – al Massimo, il Massimo del tempo! , ma così fu anche a Sassari e a Nuoro, al Verdi e all’Eliseo – nell’ottobre 1960. Con grande successo, merito del testo e merito dei talenti della compagnia di Fosco Giacchetti. Ma già intanto presentato al grande pubblico nazionale – quello delle grandi città, da Milano a Firenze, da Roma a Napoli, da Torino a Genova  a  Bologna, anche al Casinò di Sanremo – da un’altra compagnia di gran nome del teatro italiano, quella nientemeno che di Ruggero Ruggeri. Lungo un anno intero, fra 1951 e 1952, al tempo dell’impiego a Il Giornale d’Italia.

Fra i miei propositi c’è anche quello di riaffidare quel copione a dei giovani universitari o di scuola superiore, per una messa in scena di speciale gusto da “dilettanti” – nel senso migliore del termine, come sempre diceva Spadolini, affascinato dalla virtuosità del dilettante volontario sovente più competente del graduato… L’ho fatto, un primo esperimento limitato ad un solo tempo dei tre originari, con i ragazzi del Mattei di Cagliari, bravissimi. Bisognerà tornarci.

Ripenso a Crivelli e alle stagioni della mutua frequentazione, squilibrata (o complementare?) per generazione, ma convergente per interessi, quella privata e quella fraternale, espressa nei vincoli empatici che ci avevano portato perfino a stabilire l’ora in cui, nell’avvio del 1987, quel certo giorno di calendario aveva segnato la prevalenza del suo essere sardo rispetto al suo essere istriano e romano, ma un sardo con tutte le ricchezze del suo essere, senza rinunce, istriano e romano, concittadino del repubblicano e massone Nazario Sauro (impiccato un mese dopo Battisti) ed amico di un genio come Vittorio Gassman. A discutere di Voltaire e Pascal, e delle avventure della guerra che aveva rubato gli anni a una generazione, dopo che la dittatura quella generazione aveva cresciuto con i suoi moduli privi dell’ossigeno della libertà critica. E a discutere – l’uno a spiegare, o forse soltanto a cercare di spiegare, l’altro a sforzarsi di capire – di come potesse capitare che un giovane della classe 1921, dopo essere stato allevato nella scuola e nel sistema civico di un regime totalitario, ed essere stato caricato di responsabilità estreme in una guerra scriteriata, potesse maturare la decisione di ribellarsi alla via facile e scontata del servizio prono ai potenti carnefici dell’Italia e dell’Europa intera.

Una scheda bibliografica come un fiore. Digitando sull’OPAC Sardegna ho trovato soltanto cinque titoli – fra monografie e spoglio – riferiti a Fabio Maria Crivelli. Paradossale per un autore come lui di testi giornalistici e drammaturgici, di superbe pagine di memorialistica di guerra, e di cronache, commenti ed analisi.

Ripenso a lui ora che siamo nel nuovo anniversario della morte, sopraggiunta quando l’età era ormai avanzata e il suo disincanto e molte sofferenze, quelle dichiarate e quelle sopportate nel silenzio, potevano essersi fatti dolce volano, perché «ormai tutto è compiuto».

Compatibilmente con quant’altro vada fatto e di cui ho detto, sto lavorando a ricostruire il suo profilo direttoriale, quanto meno per la parte che riguarda il primo decennio a L’Unione Sarda, fino alla svolta politica del centro-sinistra e ad un primo aggiustamento della linea del giornale. Ma resto colpito dalla rimozione, che è nei fatti, della sua personalità complessa e matura, multianime anche, nel giro di chi potrebbe invece spendersi per onorarla raccontandola, studiandola. Dico del suo giornale. Segno dei tempi.

Questo anno vorrei limitarmi a un contributo, modesto e limitato, ma necessario, al suo repertorio pubblicistico. Perché poi a quello dovrà ricorrersi per disegnarne un profilo il più possibile storicizzato, affrancato dagli stretti sentimenti dell’estensore.

E’ da dire che negli anni della sua direzione cagliaritana Crivelli scrisse pochissimo fuori del suo giornale. La media degli articoli – preferibilmente editoriali – ch’egli firmava, o siglava con le famose tre iniziali puntate, era ogni anno nell’ordine dei cinquanta, in alcuni anni perfino 100 e 120. Vi sono stati periodi in cui egli scriveva quasi tutti i giorni in prima pagina – sarà interessante coglierne le ragioni –, altri in cui si era autoderubricato dallo spazio eminente del fondo a quello interno, domenicale, di interlocutore dei lettori, entrando nel merito delle questioni sollevate dalla platea affezionata e fedele . Ma sempre su L’Unione Sarda. Fuori, poche eccezioni.

Ho trovato su Sardegna Economica – la rivista della Camera di Commercio di Cagliari – tre suoi articoli sul n. 3 del mensile, lungo il triennio 1968-1970. Articoli usciti pressoché in concomitanza con l’apertura della Fiera campionaria (poi internazionale) della Sardegna.  Eccoli qui di seguito richiamati: 1968, “La stampa nell’evoluzione sociale dell’Isola”; 1969, “Una porta sul mondo”; “La Sardegna e gli anni ‘70”.

Dai tre, ricavo soltanto una frase, traendola dall’articolo del 1968, perché tocca direttamente il suo giornale. Ecco il passo: «Dalle statistiche ufficiali dell’istituto Accertamento Diffusione (un rigoroso e autorevole ente nazionale) è stato nei mesi scorsi possibile rilevare che “L’Unione Sarda” è, fra tutti gli ottanta e più quotidiani che si stampano in Italia, quello che ha avuto, negli ultimi cinque anni, il maggior incremento percentuale in assoluto nella vendita delle copie. In un tempo in cui si dibattono gravosi problemi editoriali e in un momento in cui molti indici statistici hanno un suono amaro per molti settori della vita sarda, questo piccolo ma non trascurabile primato ci sembra degna conclusione di un discorso in cui si voleva sottolineare l’importanza della stampa sarda nel quadro complesso della vita isolana. Mi pare anche l’indice più sicuro di una direttiva che rimane costante e rigorosa per i nostri giornali: quella di essere non solo specchio fedele della realtà sarda di oggi ma validi e attivi strumenti al servizio della Sardegna di domani».

Motivi questi degni certamente di una ripresa, di un aggiornamento, di una revisione attualizzata…

Integro la presente rapida nota sui rari pezzi crivelliani usciti, fuori de L’Unione Sarda, negli anni della sua direzione, richiamandone alcuni altri apparsi invece dopo il suo ritiro, anzi il secondo ritiro (dato l’intervenuto richiamo in servizio avvenuto, a quasi dieci anni dal pensionamento, e per volontà dell’editore Nicola Grauso, in vista di accompagnare il rilancio anche tecnologico e grafico del giornale, nel marzo 1986). Qui siamo nel biennio abbondante 1989-1991. La testata – bellissima a mio parere, sul piano dei contenuti e della stessa grafica, impreziosita anche da suggestive sezioni fotografiche e riproduzioni di opere dei grandi pittori o scultori isolani –  è Nuova Esse-come-Sardegna a direzione Piercarlo Carta.

Passato per momenti anche dialettici, nell’interesse dei rispettivi giornali – essendo al tempo Carta responsabile di Tuttoquotidiano, ed a lungo, negli anni ’60, curatore abilissimo della pagina sarda de Il Giornale d’Italia di cui ho detto – ma anche per orientamenti politici maturati e strutturati nella metà degli anni ’70 che li portavano su sponde opposte della democrazia liberale, il rapporto fra i due direttori si era fatto, negli anni, cordiale e anche amichevolmente fattivo. Tanto che, nuovamente ritrattosi Crivelli negli ozi rurali di Sinnai, a lui giunse l’invito a collaborare a una nuova serie della rivista che Carta aveva lanciato con discreto successo tempo addietro: appunto Nuova Esse-come-Sardegna.

Questi sono dunque gli articoli a firma di Fabio Maria Crivelli apparsi su quel trimestrale (aggiungo fra parentesi i sottotitoli, in realtà un sommario diviso ogni volta in due o più tranche):

“Un giornalista e la ‘sua’ isola” (La scoperta della Sardegna è stata per me come un lungo e ininterrotto viaggio – I prossimi anni saranno certamente decisivi per le fortune di quest’isola), n. 1/gennaio-marzo 1989

“La grande città divorò il paese” (Malgrado le delusioni e gli incidenti passai qualche anno in una sorta di esaltazione – Gli spazi vuoti si sono riempiti, lunghe file di auto e camion hanno scacciato le pecore e i carri – Il progetto di una grande Cagliari minaccia l’identità di molti paesi), n. 2/aprile-giugno 1989

“I mesi prima della tragedia” (Nei primi mesi del 1940 si stavano già stampando le tessere per il razionamento del pane – I divieti spesso assurdi, la retorica, il malcostume dei gerarchi avevano già seminato il dubbio – A Cagliari, città vivace e animata, una grossa parte della flotta italiana era ancorata in porto – Gruppi di dimostranti in camicia nera insultarono i frequentatori del Caffè Genovese), n. 3/luglio-settembre 1989

“Il posto di guardia sul Terrapieno” (Il ricordo dei miei primi giorni a Cagliari ha valore solo per rievocare il cammino di una città – Un silenzio che era rotto solo dal frastuono delle rotative sferraglianti), n. 5/1°trimestre 1990

“Due ‘cronisti’ un po’ speciali (Antonio Ballero era un uomo incapace di sostare a lungo dietro un tavolino – Anche Francesco Alziator amava andare in giro per Cagliari alla ricerca di piccoli segreti), n. 6/2° trimestre 1990

“Il sindaco che odiava gli alberi” (Da dieci anni a questa parte si fa un gran parlare di una Cagliari a vocazione turistica – Una città sul mare, unica al mondo a non avere un lungomare frequentabile), n. 7/3° trimestre 1990

“Cagliari, dall’angiporto al lungomare” (L’occasione offerta dal Demanio non può essere ignorata dagli amministratori della città), n. 10/2° semestre 1991.

Sarebbe interessante ripassarli, questi contributi di grande giornalismo d’impressione, uno ad uno: ne emergerebbe, con uno spaccato generale della città nella sua progressiva emersione dai disastri della guerra, anche una serie di ritratti vivacissimi di alcune delle maggiori personalità cui fu affidata la guida amministrativa oppure soltanto – soltanto? – l’accompagnamento della pubblica opinione chiamata ad una responsabile militanza civica, secondo un costume purtroppo indebolitosi col tempo…

 

 

Condividi su:

    Comments are closed.