Nessuno e’ perfetto! di Michela Deriu
“E’ permesso? Vi è un posticino vuoto nel vostro elegante salottino dove possa nascondermi senza darvi molestia? Guardate, prendo poco spazio, sono sottile, sottile, quasi diafana, non mi ci si vedrà nemmeno. Son venuta a farvi una visita, è da un pezzo che lo desideravo, degli anni addirittura, ed è appunto per questo motivo che sono deperita, venni tanto gracilina; ma mi rimetterò subito in gamba se mi farete buona accoglienza……. ”
Questa vocina flebile, diafana , che con molta grazia, cerca benevolenza e asilo è una voce lontana nel tempo.
Lontana nel tempo, nello spazio, nell’evoluzione sociale. E’ la voce di Maria Manca Colombo che sul finire dell’ottocento intraprende un’operazione coraggiosa: quella di stampare un periodico femminile che come protagonista ha appunto la donna.
Correva l’anno 1898 nel mese di luglio, a Cagliari nasceva ”La donna sarda”, uno dei primi giornali femminili della storia del giornalismo italiano.
La presentazione del giornale vale da sola più di ogni saggio storico. ”E’ permesso?” Questa richiesta è molto più di una normale istanza, è l’essenza stessa dell’esser femminina in quegli anni e non solo. La donna non entra d’autorità da nessuna parte, chiede permesso, con umiltà chiede un poco di spazio, quello che la bontà degli ascoltatori le vorrà lasciare. Nulla è dovuto, tutto è concesso, questa è la prima chiave di lettura che ci viene proposta.
Ma non facciamoci ingannare da questa dichiarata sottomissione. Siamo sul finire dell’ottocento, la donna non ha diritto di voto, è sconsigliata l’istruzione, è ovviamente esclusa dalle cariche amministrative e politiche. In Inghilterra in quegli anni nasce un movimento di donne che lottano per il diritto di voto. In Sardegna le donne della borghesia illuminata hanno deciso di formulare per iscritto la loro opinione. Nel bagaglio della nostra storia questo non è un dettaglio senza importanza.
Che siano donne agiate non vi è dubbio, i giornali erano un lusso, la signora Maria Manca chiede venti centesimi mensili, l’Unione Sarda costava cinque centesimi al giorno, altri periodici come Sardegna letteraria e artistica ne costavano dieci, ma il salario medio di un operaio era di tre lire e cinquanta il giorno. Leggere era veramente roba da ricchi..
Scorrendo tra righe ingiallite dal tempo salta subito agli occhi che a dispetto dell’umiltà con cui si chiede l’accesso al bel salottino, la voce del ”La donna sarda” è tutt’altro che una voce flebile e diafana che si occupa di fare quattro chiacchiere velate. All’interno del periodico gli scritti della Signora Manca sono sicuramente quelli che con maggiore diplomazia cercano un equilibrio tra la passione femminista e le più condivise aspirazioni femminili. Essere moglie e madre, questa è l’unica vocazione concessa alla donna in quei tempi. La signora Maria Manca con molta prudenza non vuole scardinare l’ordine costituito e tiene a garantire la sopravvivenza del giornale, ma le pagine della rivista ospitano altre voci che si levano con minore moderazione.
”La donna sarda” si avvale, in un primo momento, di sole collaborazioni femminili. Sono le signore acculturate che con poesiole, racconti e riflessioni riempiono le pagine del mensile. Voci di donne appagate del loro ruolo che si sentono lusingate nel vedere il loro nome assurgere agli allori della cronaca. Con molta ironia una di esse, la signora Ida Gessa Paoletti, si chiede appunto perché le donne scrivano. Nell’articolo si dà pure una risposta: le donne scrivono per civetteria, per far bella figura in società. Ed esorta le donne ”Di rifuggire dai soggetti vieti e puerili: chiari di luna, uccellini, fiorellini, bestioline e mille altre scioccherie da donnine isteriche” e le esorta a utilizzare lo spazio che possono ricoprire “con scritti sani, lo stile forte e virile che infonda la persuasione in chi legge.”
Questa audace affermazione viene però ritrattata sul finire dell’articolo col dire:
”Ed ora, vorrei darvi qualche buon consiglio ed intrattenermi ancora con voi, amabili mie compagne, ma i miei doveri domestici mi reclamano e devo lasciarvi ora sul più bello’
Gli articoli de ”La donna sarda “sono testimonianze di donne ben collocate nel loro periodo storico, il messaggio pare chiaro, è un piccolo coro di donne che dichiarano all’universo maschile: ”vogliamo scrivere qualche riga ma, state tranquilli, continueremo ad occuparci di voi’. ‘Solo una voce tra loro sembra affermare con chiarezza che l’ordine sociale stabilito non è più adeguato ai tempi. Tra queste collaboratrici, una fra tutte afferma senza mezzi termini indiscutibili principi, di profonda essenza femminista.
Scrive la sassarese Maria Xanta nel secondo numero de” La donna Sarda” dell’agosto 1898:
“In mezzo a tanto discutere e discutere calorosamente che si fa di riforme sociali, in questo fine di secolo, pochi sono i quali sieno intimamente persuasi della parte che deve avere la donna in tale importante bisogno”.
Meno persuasa di tutti la donna che non ha, generalmente parlando, alcuna coscienza né delle proprie forze né della propria missione.
E come dovrebbe averla?
Tutta la preoccupazione di quel che appellasi sesso forte pare rivolta a un solo scopo: ridurre la donna, come persona, alla minima espressione.
Comunemente gli uomini dicono ”Le nostre metà”. Ma è una frase garbata che non significa nulla; una forma banale di complimento, quando essi vogliono significare le donne in genere e una gentile ironia, diciamo pure una scherzosa ironia, quando alludono alla loro metà. Si, è la metà minore, la metà che lasciano a casa: dama ai suoi gingilli, alle sue toelette, ai suoi ricevimenti borghesi, alla pentola e al pollaio, al conto delle uova e al rammendo della biancheria…”
Sono parole forti di tono rivendicatorio molto diverso dal tono con il quale umilmente si chiede permesso per il solo fatto di esistere. La signora Maria Xanta non dice come la sua collega Ida Paoletti Gessa – scusate, scrivo due righe e torno al bucato – ma con chiarezza afferma che il bucato le sta stretto. Maria Xanta intraprende sulle pagine della donna sarda un’inequivocabile campagna per la parità dei sessi, con motivazioni che osano contrastare il Professor Lombroso e il Professor Sergi, scienziati che si ergono come baluardo inconfutabile della supremazia biologica dell’uomo sulla donna.
Da una conferenza del Professor Lombroso:
Al torace ampio dell’uomo, risponde la ricchezza e la venusta del seno femminile; alla sua muscolatura pronunciata, la rotondità, le morbidezze delle curve; nell’uno è il cranio ampio, dal cervello pesante e sviluppato, nell’altra quell’ampiezza è nel bacino, ma il cranio rimane piccolo.”
Cercando di tradurre dal linguaggio aulico del Lombroso, pare che l’esimio professore faccia una comparazione tra l’ampiezza del cranio maschile e la piccolezza del cranio femminile. La deduzione è questa: le piccole dimensioni del cranio femminile vengono compensate nella donna dall’ampiezza del bacino. Come a dire ciò che la natura riduce nel cervello lo compensa nel fondoschiena.
Non sono apprezzamenti lusinghieri e la Signora Maria Xanta cerca di confutarli in termini scientifici, che non comprendono tutte le donne purtroppo, ma solo gli spiriti eletti e per dar credito alle sue teorie richiama i principi della scienza e così scrive:
”La scienza non contende alla donna gli ardimenti del pensiero, le profonde e luminose concezioni poetiche. Lei può bensì produrre artisticamente opere immortali, le quali e superino quelle dell’uomo- anzi vincerà e supererà sempre l’uomo nelle costruzioni analitiche, alle quali il suo temperamento è disposto.
Nell’arte, insomma, ella trasporterà la sua serenità di osservazione, quella serenità provvidenziale che contempera e completa il carattere ardente dell’uomo, e grazie al quale non vi è più inferiorità tra i due sessi.
Ciascuno di essi ha la propria missione.”
Sono affermazioni audaci e chissà che discussioni accalorate avrà provocato nel bel salottino dove con umiltà si è chiesto permesso.
Cosa si sarà detto in famiglia, sorseggiando il caffè, tra le mura domestiche della borghesia della Sardegna di allora? Senza ricorrere alla chiaroveggenza, possiamo comodamente intuirlo con una certa fedeltà grazie ad un’altra voce giunta fino a noi. È la voce greve dell’ Unione Sarda che ogni giorno entra di diritto, ufficialmente invitata, nel salotto di famiglia, occupando il posto privilegiato. L’Unione è il giornale per definizione, formato da quattro fogli è, in quel tempo, una summa variegata di notizie che vanno dalla politica al pettegolezzo, dalla finanza al ritrovamento di orologi, fazzoletti e quant’altro si possa smarrire per opera di lettori distratti. Che fosse una voce al maschile è verosimile, non foss ‘altro per il tono canzonatorio con il quale il redattore di una curiosa rubrica intitolata “‘Di qua e di là” dipinge le stravaganti aspirazioni femminili che giungono dalle diverse parti del mondo.
Leggiamo dalle pagine dell’Unione dall’epoca a proposito della costituzione di un corpo pompieristico in quel di Svezia:
“Che le donne amassero il mondo e le sue pompe…lo sapevamo anche noi, ma in nessun angolo del globo lo hanno finora dimostrato con tanta evidenza come le ragazze di Nasso in Svezia, le quali per esaltare le pompe si sono addirittura costituite in corpo di…pompieri.”
Il redattore, che non firma gli articoli, prosegue con una certa ingenuità a decantare le mirabilie del leggiadro corpo pompieristico per poi concludere:
”Naturalmente dopo la costituzione del nuovo corpo pompieristico gli sguardi……incendiari dei giovanotti non hanno più presa, essendo tutte le pompiresse rivestite di panno inconbustibile, resistente a tutte le fiamme, comprese quello dell’amore.
I giovani innamorati devono quindi essere meno infiammabili nelle loro dichiarazioni.
Il dire, ad esempio ad una ragazza: ” il mio cuore… arde per tè” è pericoloso, poiché’ la ragazza pompieressa è obbligata dal regolamento ad afferrare subito il tubo di cautchou e di spegnere il troppo combustibile cuore del damo con un’abbondante innaffiatura.”
Questo succedeva in Svezia in Ispagna invece:
“Altro che le donne avvocati, o medici o pompieri! Adesso abbiamo – in Ispagna beninteso – anche le donne toreadoras.
Quelle belle e buone ragazze dagli occhi neri e vellutati, dagli sguardi profondi e sognatori, pieni di fascino, dall’andamento fiero e sensuale, hanno gettato alle ortiche l’artistico costume muliebre e si sono, ahimè! Trasformate in picadoras e matadoras.”
Il nostro redattore descrive con dovizia di particolari un’intera corrida popolata da picadoras, chulos e matadoras. Si conosce anche il nome della stupefacente toreadora, tale Providenta Almeda, che con abilità indiscussa avanza affronta l’infuriato animale e con la spada lo atterra.
La Signorina Almeda pare sia insuperabile nell’arte di martirizzare il toro, ma cosi conclude il cronista:
”Tutto bene, ma scommetto che con tutte queste graziose qualità non troverà un uomo che sia tanto…….matadoro di sposarla, la senorita Almeda.”
E questo è il punto:” Signore Avvocatesse, Dottoresse e pompieresse, di questo passo non troverete mai un marito! Morirete zitelle!” Sentenzia il giornalista.
Mentre l’Unione, continua ad elencare le tante stranezze di un lontano universo femminile, come quello delle Americhe, dove la Signora Elisabetta Cady Stanton ha in corso di pubblicazione una Bibbia per le donne nella quale si fa una revisione del sacro testo, in tutti i passi che riguardano la donna. Trattando Adamo da “gran poltrone”, le audaci affermazioni della professoressa Xanta generano un vespaio di polemiche anche oltre il Tirreno. Si scomoda a rispondere alle eccentriche idee della professoressa anche un giovane e brillante scrittore, appena ventenne già direttore del quotidiano l’Araldo di Corleone, Edgardo Rosa. Del lungo articolo con il quale ripete costantemente l’antica teoria secondo la quale la donna deve stare al suo posto e che una professoressa deve educare la donna’ a ben più alti ideali, che quello dell’avvocatura, o del moschetto o del potere politico.” È significativa la conclusione:
“Ma finiamola adunque una buona volta con queste stramberie. Resti la donna con la sua nobile ed eccelsa missione ne la famiglia: è quello il suo posto, in nome di Dio. Sia là ad onorar, a comandar le nazioni. Allevi ed ami l’infanzia, serva all’infermità, raddolcisca le afflizioni, calmi la collera, spenga gli odi, ingentilisca i costumi, e poi non si curi de lo applauso volgare della folla, delle precarie incensate del giornale, non si curi del voto politico, de la toga e della guerra, a ciò basteranno i suoi figli, emanazione del suo nobile e vigoroso spirito, rappresentanti de l’animo suo generoso.”
Anche altre collaboratrici de “La donna Sarda” dissentono dalle opinioni estreme della professoressa Xanta.
Ma la donna imperterrita continua nella sua crociata fino al pubblicare un articolo che ai nostri giorni verrebbe catalogato come una primitiva forma di denuncia per abusi sessuali.
Nell’articolo ‘La donna povera nelle miniere e nella società” Maria Xanta scrive del lavoro femminile, non come velleità borghese d’indossare il camice o la toga, bensì del massacrante lavoro delle donne povere costrette dalle difficoltà materiali. E che possono queste donne se nella loro strada incontrano chi vuol approfittare del loro bisogno?
”Ebbene la giovinetta che lavora sotto un libertino che la comanda o sorveglia, sia nelle risaie, come nei campi, nelle fabbriche, negli opifici delle miniere in ispecie, come non dovrebbe essere perdonata, se per aver corrisposto a false seducenti parole d’amore o per paura di perdere lo scarso pane, cede all’infame seduttore? Essa può cadere o per grande amore o per gran paura.”
E’ doveroso dirlo, gli scritti di Maria Xanta sono una summa dei principi femministi che verranno ripresi dalle donne molti anni dopo.
Ma chi era questa donna temeraria? E soprattutto con chi divideva il bel salottino dove certamente non chiedeva permesso?
Pare non ci siano altri scritti a suo nome. Una gran perdita per la letteratura sarda. E’ strano che una donna di tanto ingegno non abbia lasciato, come parrebbe nel suo stile, racconti e novelle. Negli articoli non si fa cenno al fatto che debba dividersi tra la penna e i fornelli. Fa affermazioni tali che metterebbero in imbarazzo il più liberale dei mariti. Firma solo col cognome di nascita. Ha una conoscenza tangibile del mondo e del mondo del lavoro .
E’ possibile questo per una donna di fine ottocento?
Il bello dello scrivere è che in letteratura tutto è possibile.
Ed è possibile perché si può fuggire dalla realtà.
Ci si sente esaltate nel leggere gli scritti di Maria Xanta, ma i conti tornano quando si scopre che dietro tanto ardore femminista si cela un uomo, l’intellettuale gallurese Andrea Pirodda.
Andrea Pirodda, pedagogo, insegnante, direttore e ispettore scolastico, ma anche letterato, poeta, prosatore e pubblicista è una figura complessa nel panorama della letteratura sarda e fu un grande amore di Grazia Deledda.
Il maestro di Aggius con il nome della madre, Maria Xanta appunto, ha impersonato il femminismo per eccellenza valido anche e soprattutto ai nostri giorni.
Deluse?
Un pò. Viviamo un tempo di grande riflusso storico e ideologico dove anziché andare avanti si procede a passo di gambero.
La donna è ancora, spesso, se vuol sopravvivere’, una creatura che sa molte cose, che ne intuisce molte altre, ma che deve fingere di ignorare quasi tutte, la sincerità è pressoché una colpa, e certamente un’imprudenza”.
Le riflessioni sulla donna del maestro Pirodda sono tutt’ora estremamente, purtroppo, attuali e coraggiose, per il resto……nessuno è perfetto.