La società dell’ostentazione, di Paul Krugman
Il punto di vista dei progressisti e dei conservatori sulla povertà e sulla ricchezza.
I liberali parlano di circostanze; i conservatori parlano di carattere.
Questa differenza di atteggiamento è particolarmente evidente quando l’argomento di cui si parla è la persistenza della povertà in una nazione ricca. I liberali si concentrano sulla stagnazione dei salari reali e sulla scomparsa dei posti di lavoro che offrono redditi da classe media, così come sulla costante insicurezza che viene dal non avere beni o posti di lavoro stabili. Per i conservatori, invece, è solo una questione di non metterci abbastanza impegno. Il presidente della Camera, John Boehner, dice che tra la gente si è diffusa l’idea che “in realtà non c’è bisogno di lavorare.” Mitt Romney rimprovera agli americani a basso reddito di non essere disposti ad “assumersi responsabilità personali.” Anche quando dichiara di preoccuparsi davvero dei poveri, il deputato repubblicano Paul Ryan attribuisce il persistere della povertà al fatto che i poveri “non sono abituati a essere produttivi”.
Cerchiamo, però, di essere onesti: ci sono anche conservatori che sono disposti a censurare i ricchi. Anzi, di recente buona parte della stampa conservatrice affronta il tema di un’élite americana che non lavora, che ha perso la serietà e la moderazione che pure un tempo aveva. Peggy Noonan parla di “élite decadenti”, che fanno battute su come si fanno i soldi a danno della povera gente. Charles Murray, che nel libro “Coming Apart” racconta quella che chiama la decadenza dei valori della classe operaia bianca, denuncia anche l’atteggiamento “sconveniente” dei più ricchi, il loro sontuoso stile di vita e le case grandiose in cui vivono.
Ma c’è stato davvero quest’aumento esplosivo nell’ostentazione delle ricchezze? E, se c’è stato, riflette un declino morale o un semplice cambiamento di circostanze?
Ho appena riletto un interessante articolo intitolato “Come vivono i top manager”, originariamente pubblicato su Fortune nel 1955 e ristampato un paio di anni fa. È un ritratto dell’élite americana di due generazioni fa, dal quale si scopre che la vita dell’élite di quella generazione era molto più sobria, più decorosa, se volete, di quella dei Padroni dell’Universo di oggi.
“Un importante manager di oggi”, diceva l’articolo, “è probabile che abbia una casa senza pretese e relativamente piccola, forse sette camere e due bagni e mezzo”, possieda due autovetture e “se la cavi con uno o due collaboratori domestici”. Non c’era ostentazione anche per altri aspetti: in quell’élite “le relazioni extraconiugali non sono tanto importanti da discuterne”. In realtà, sono sicuro che ce ne fossero, ma la gente non le ostentava. L’élite del 1955 almeno fingeva di dare buoni esempi di comportamento responsabile.
Ma prima di lamentarsi di standard che declinano, c’è qualcosa che bisognerebbe sapere: nella celebrazione della sobria, modesta élite d’affari americana, Fortune ha descritto questa sobrietà e modestia come qualcosa di nuovo, evidenziando come le case modeste e i motoscafi del 1955 contrastassero con i palazzi e gli yacht di una generazione precedente. E perché l’élite non ostentava la propria ricchezza come in passato? Perché non poteva più permettersi di vivere in quel modo. Il grande yacht, ci diceva Fortune, “è affondato nel mare della tassazione progressiva.”
Ma da allora quel mare si è ritirato. Sono tornati gli yacht giganti e le case enormi. In posti come Greenwich, nel Connecticut, alcuni delle “ville fuori misura” che Fortune aveva descritto come reliquie del passato sono stati sostituite con ville ancora più grandi.
E non c’è alcun mistero su ciò che è cambiato rispetto ai buoni vecchi tempi di un’élite che sapeva contenersi. Basta seguire il flusso del denaro. Oggi ci sono di nuovo un’estrema disparità di reddito e un basso livello di tassazione per i redditi alti. Ad esempio, nel 1955 i 400 americani a più alto reddito pagavano più della metà dei loro redditi in tasse federali, oggi ne pagano meno di un quinto. E, inevitabilmente, il ritorno della grande ricchezza poco tassata ha portato il ritorno all’ostentazione tipica della Belle Époque.
C’è qualche possibilità che esortazioni morali, appelli a dare esempi migliori, possano indurre i ricchi a non ostentare così tanto? No, nessuna.
Non è solo perché chi può permettersi di vivere nel lusso tende naturalmente all’ostentazione. Come Thorstein Veblen ci ha spiegato molto tempo fa, in una società fortemente diseguale i ricchi si sentono obbligati a “consumi vistosi”, a spendere in maniera molto evidente per dimostrare la loro ricchezza. E la moderna scienza sociale conferma quest’intuizione. Ad esempio, i ricercatori della Federal Reserve hanno dimostrato che le persone che vivono in quartieri con grandi disuguaglianze sono più propense ad acquistare auto di lusso rispetto a quelle che vivono in ambienti più omogenei. È chiaro che un’alta disuguaglianza genera nei ricchi il bisogno psicologico di spendere soldi in maniera da segnalare il proprio status sociale.
Il punto è che rimproverare i ricchi per la loro volgarità può essere meno offensivo che far lezioni di morale ai poveri esortandoli a rimediare alle proprie colpe, ma è altrettanto inutile. Essendo la natura umana quella che è, è sciocco aspettarsi umiltà da una élite privilegiata. Quindi, se si pensa che la nostra società ha bisogno di più umiltà, si dovrebbero sostenere politiche che consentano di ridurre i privilegi delle élite.
Traduzione di Gianni Mula