La lotta alla povertà e per il lavoro nelle aree interne della Sardegna: una priorità per la politica e le istituzioni, di Mario Medde.
In alcuni siti web, meritori anche sul versante della socializzazione delle idee e per la resistenza alla omologazione verso i centri di potere, si è riproposto il dibattito sul destino delle aree interne e dei comuni minori dell’Isola. E’ un problema che ciclicamente si ripresenta, che viene da molto lontano, e cionondimeno va affrontato con le soluzioni adatte ai tempi che viviamo.
Va sottolineato che nei programmi elettorali, e, cosa più importante, negli atti programmatici e di governo della Regione non c’è traccia dell’irrisolto e ormai storico problema delle aree interne dell’Isola. Una rimozione incomprensibile, se non alla luce di un dibattito, salvo le pochissime eccezioni di cui parlavamo, povero sia sul versante politico che culturale.
Ma non si è di fronte semplicemente a una carenza di analisi e proposte da parte della politica e della gran parte degli intellettuali sardi; è un vuoto politico e strategico sul che fare per la Sardegna, e dunque su uno degli aspetti più critici e drammatici della questione sarda. E’ l’iniziativa politica, legislativa e anche la capacità attuativa che manca, e che si riflette in una realtà regionale dove l’emergenza è ormai incancrenita e condiziona negativamente le necessarie e strutturali risposte ai problemi dello sviluppo e del lavoro.
Così come è impensabile rilanciare l’economia italiana senza affrontare alcuni problemi del meridione, è altrettanto impossibile attuare nell’Isola serie politiche di sviluppo senza un progetto per le aree interne.
Infatti, il calo demografico, la ripresa dell’emigrazione, in primo luogo dei giovani diplomati e laureati, l’aumento della disoccupazione, l’invecchiamento della popolazione, la riduzione di servizi primari e fondamentali quali quelli della formazione e istruzione, le difficoltà senza precedenti dell’allevamento e della pastorizia, la crisi del modello industriale, l’insoluta questione dei trasporti, della mobilità e delle infrastrutture, la riduzione del reddito prodotto, ripropongono, ancora una volta, e in forme a volte nuove ma sempre più preoccupanti, l’antico problema delle aree interne.
L’immagine, ormai diventata usuale e senso comune, nel descrivere questa situazione, è quella dell’effetto ciambella; concentrazione demografica e sviluppo nelle coste, cui fa riscontro una sorta di “buco” nelle zone interne dell’Isola. Uno squilibrio che pesa non poco negli assetti economici e nel governo del territorio, e che si riverbera negativamente anche sulla competitività dell’intero sistema regionale.
Ciclicamente, lo sviluppo più armonico delle aree interne, si ripropone all’attenzione della politica e delle istituzioni, senza però trovare le adeguate risposte. Così come per il Meridione, anche per le zone interne, langue il dibattito culturale e politico sulle strategie e sugli strumenti utili ad affrontare questo problema, che è insieme economico, sociale, culturale e finanziario. D’altronde, le stesse leadership quando si affermano tendono ad emigrare, allocandosi nei centri dove si concretizza la vera mediazione politica e del potere. Si condiziona così e si riduce la rilevanza della rappresentanza politica e territoriale; la centralità si sposta dai bisogni del territorio alle mediazioni necessarie per il proprio “cursus honorum”. Il problema delle leadership non è certo secondario rispetto a chi e come si rappresenta un’area e alla stessa crisi della politica.
Si è di fronte a una questione che non va parametrata sul versante dei costi, oppure omologata ad altre che registrano le difficoltà derivanti dall’attuale crisi; certo, tutte le comunità sono da difendere e rafforzare come un patrimonio storico, culturale e ambientale, e come il luogo entro il quale vivono e si realizzano i progetti individuali e collettivi delle persone. I paesi delle zone interne, però, molti ormai in via di tendenziale estinzione, rappresentano l’unico presidio insostituibile di aree dove l’antropizzazione è il frutto di vicende che hanno arricchito l’Isola e contribuito a determinare in modo decisivo l’identità dei sardi.
Il ritorno alla terra da parte dei giovani non ci sarà mai, se non come momentaneo ed eccezionale sopravvivenza per fuggire dalla disoccupazione e dalla fame. A meno che non si creino le necessarie condizioni di reddito dignitoso, di commercializzazione dei prodotti fuori dall’Isola,di remunerazione della produzione, di infrastrutturazioni adeguate all’abbattimento dei costi. In tutti i casi valutando quali sono gli spazi possibili per un allargamento del settore terra (in senso lato), a fronte di un’esigenza improcrastinabile di politiche e strumenti per aumentare il reddito, del tutto inadeguato, di quanti già vi operano.
Anche l’incremento del numero degli abitanti nei comuni minori, e nelle aree interne, è conseguenza di politiche e misure intersettoriali.
Si tratta infatti di promuovere le condizioni di radicamento dei giovani in queste realtà, di promuovere la continuità delle attività esistenti e l’attrattività di nuove, con il mantenimento e rafforzamento dei servizi primari delle comunità, indispensabili, come il lavoro, perchè la gente resti e si sviluppi l’aumento della popolazione (asili, scuole, strutture di socializzazione, del tempo libero e dello sport, biblioteche, infrastrutturazioni immateriali ), con il sostegno alle attività produttive e artigianali, alla piccola industria, soprattutto quella legata alle risorse del territorio e alla innovazione tecnologica, con la conservazione, valorizzazione e fruizione dei beni culturali e ambientali in funzione di un loro godimento e dell’attività turistica e ricettiva, che valorizzi anche l’ospitalità dei centri antichi e rafforzi l’economia agropastorale.
In questa direzione diventa però indispensabile utilizzare la leva fiscale e tariffaria per ridurre le tasse sul lavoro, rendere appetibile il territorio e creare maggiore ricchezza. Sono dunque necessari nuovi strumenti e misure che, selettivamente e non a pioggia, promuovano le condizioni di maggiore radicamento nelle aree interne, bloccando lo spopolamento e l’emigrazione. Certo, è bene ripartire senza sottovalutare né le difficoltà di scenario, cioè di quanto l’attuale crisi pesa sulla vita di tutti e sulle stesse decisioni della politica e delle istituzioni, né l’urgenza di produrre cambiamenti a partire dalle priorità del lavoro e dello sviluppo territoriale.
Circa la crisi dell’Isola è bene sottolinearne gli aspetti strutturali e purtroppo di lungo periodo. Si è di fronte, infatti, a un costante e continuo impoverimento della Sardegna. Gli indicatori più importanti ne registrano un ulteriore declino, sia sul versante economico e sociale che su quello della qualità della proposta politica e istituzionale. La ricchezza che si produce è in forte calo e del tutto inadeguata a garantire, soprattutto alle categorie più deboli, una sua più equa distribuzione e maggiori e migliori opportunità di lavoro. Le aziende non riescono ad essere competitive sul mercato, non solo per la più generale crisi economica e finanziaria ma anche per le diseconomie esterne al processo produttivo, e da tempo irrisolte (viabilità e trasporti interni ed esterni, costo dell’energia, inadeguatezza della pubblica amministrazione e dei servizi alle imprese, criticità nella filiera scuola, università e ricerca, mancato riconoscimento della continuità territoriale).
Non meno preoccupante, per l’incidenza che ha sulle politiche, regionali e territoriali, economiche e sociali, è la crisi del “sogno” europeo. L’Europa dei popoli e delle regioni è rimossa non solo dagli stati, ma anche dalle coscienze delle leadership e dallo stato comatoso della pratica regionalista, che è defluita verso il peggiore modello statalista. La guida tedesca della politica economica e finanziaria in Europa, altra questione che incide pesantemente sulle politiche regionali e territoriali, evolve in una direzione in cui si restringono sempre di più gli spazi di un’Unione realmente democratica e capace di progressiva integrazione.
Cionondimeno è necessario tenere alta l’idea e la volontà e capacità attuativa del “sogno dei sardi”; un progetto e una mobilitazione, in tutte le sedi politiche, sociali e istituzionali, per il riconoscimento dello status di insularità e, anche attraverso questo, conquistare gli spazi di sovranità necessari a concretizzare un autogoverno che promuova maggiore sviluppo e lavoro. Il presupposto è duplice: leadership all’altezza della sfida e una reale autonomia finanziaria; per quanto possibile, ovviamente, in un mondo dove l’integrazione economica e il sistema finanziario la rende difficile, ma non impossibile, anche a molti stati.
È dunque pure in questi drammatici scenari che bisogna collocare e leggere l’impegno per ridare voce, centralità e rappresentanza, nell’ambito della più generale questione Sardegna, al rilancio dello sviluppo delle aree interne dell’Isola.
Mario Medde
dell’Associazione Carta di Zuri
Norbello 19 settembre 2014