Novas sardas de sa chida, settimanale on-line della Fondazione Sardinia, Anno III, n° 34, domenica 14 settembre 2014.
IN CUSTA CHIDA: notiziario settimanale della Sardegna.
Mancavano soltanto i cartelli con la scritta “Yankee go home”. Per il resto è stato un tuffo nel passato, di botto sembrava essere tornati in pieno Sessantotto sardo. Manifesti rossi con in nero lo slogan “No alle basi”. “Danziamo non bombardiamo”, “Uniti vinceremo”, “Non fate cadere in prescrizione il reato di disastro ambientale” gli appelli in decine di altre bandiere con le sigle di tutti i movimenti. Nord e centro Sardegna nelle prime linee del fronte anti-poligoni.
Di fronte al poligono, si è vista la più grande manifestazione contro le servitù militari degli ultimi decenni: settemila persone, secondo gli organizzatori, quattromila per le forze dell’ordine. Famiglie con bambini , militanti dei gruppi indipendentisti, esponenti di associazioni e partiti politici, insieme per dire no alle basi militari. Decine gli interventi sul palco degli oratori (ricavato sul cassone di un camioncino Fiat), il novanta per cento di loro parla in sardo.
I sardi, alla “Manifestada natzionale contro a s’ocupatzione militare”, dicono no all’esproprio di 30mila ettari di territorio, nella loro lingua. Il coordinatore nazionale di Sardigna Natzione, Bustianu Cumpostu, sale sul camion, infila la berritta, “mi ponzo in divisa de gherra”, avverte e dice: di fronte, oggi, ci sono il diritto di conquista, dello stato italiano, e il diritto naturale di noi sardi di difendere la nostra nazione. Non è più tempo di mediazioni, di tavoli con lo stato che non sono paritari. Bisogna “bortulare sa mesa tricolore” , rovesciare il tavolo con i rappresentanti dello stato italiano. Non vogliamo essere la Mururoa del Mediterraneo».
Gli interventi vengono scanditi da cori “a foras, a foras” e “indipendentzia, indipendentzia”. Esordisce in sardo anche la scrittrice Michela Murgia, di “Sardegna possibile”, che poi continuerà in italiano il suo intervento: «Si dice che le basi militari garantiscano 5mila posti di lavoro, ma anche la camorra dà migliaia di posti di lavoro e nessuno si sogna di legittimarla per questo. Occorre una battaglia per un nuovo modello di sviluppo che questo governo regionale non può offrire».
Il filo conduttore degli interventi è quello della sovranità da conquistare e dell’indipendenza da raggiungere, pochi gli spazi per negoziare con uno stato visto come forza di occupazione. «Cherimus tottu sa Sardinia pro sos sardos», urla Pierfranco Devias di “A manca pro s’indipendentzias”. Non siamo disposti a fare mediazioni per nulla». «Quello delle servitù militari – afferma Gianluca Collu, segretario di Progres – non è un problema che può essere trascurato, posticipato o riequilibrato. Si sente parlare di chiudere due poligoni su tre, di ridurre del 21% le servitù, ma non stiamo mica scorporando l’Iva. Tre sono i punti da affrontare subito: dismissione dei poligoni, bonifiche a terra e in mare, riconversione economica dei territori». Paolo Pisu, del Tavolo sardo per la pace, parla di «un primo passo importante per una lotta più ampia, di un movimento che può ottenere risultati concreti, a patto che Capo Frasca sia chiusa subito».
È l’inizio di una «fase nuova per l’autodeterminazione», anche per Giuseppe Corongiu del Coordinamento “Pro su sardu ufitziale”, «lingua, basi militari, i problemi dei pastori, sono facce diverse dello stesso problema, la mancanza di sovranità del popolo sardo» Il segretario di “Sardegna libera”, Claudia Zuncheddu: «Siamo qui come sardi, perché questa è una lotta di popolo per la smilitarizzazione della Sardegna. Lo stato italiano ha messo la nostra terra al centro delle strategie di guerra. Dobbiamo uscire dalle dinamiche della guerra, riappropriarci delle nostre terre».
Contro il «collaborazionismo con chi spaccia azioni di guerra per missioni di pace», si pronuncia Andrea Pili di “Scida”, «perché – aggiunge – non abbiamo un nemico immaginario, abbiamo un nemico reale, lo stato italiano» Tra gli ultimi sale a parlare Giancarlo Piras, dell’associazione “Militari morti a Teulada”: «Oggi – dice commosso – siamo in tanti, ma manca una persona, mio figlio Francesco, morto a 29 anni. Aveva fatto il servizio militare a Teulada, gli facevano fare le bonifiche a mani nude. È morto di un tumore al pancreas».
SETTARISMI.Uno scontro fra militanti con cartelli di Sel e un gruppo di Unidos di Mauro Pili. È stato denunciato da due manifestanti dello schieramento che fa capo al deputato Mauro Pili. «Uno mi ha aggredito armato di coltello – ha dichiarato il sassarese Giovanni Usai, di 37 anni, che si è riservato di presentare querela –. Continuava a gridare: Che cosa ci fate qui voi? Che cosa fanno intrusi come voi? Poi ha estratto l’arma e mi si è scagliato contro. Ho fatto appena in tempo a spostarmi e a fuggire. E così la lama ha colpito e sgonfiato un palloncino che avevo in mano». «È vero: ho visto tutto – ha incalzato Alessandra Porru, 46 anni, una cagliaritana di Unidos –. È stata un’aggressione del tutto ingiustificata». «E pensare che io sono qui perché mio fratello, che era uno dei Dimonios della Brigata Sassari, è morto a causa di un tumore provocato dalle contaminazioni belliche alle quali è stato esposto in servizio», ha concluso.
Oltre il recinto della base, dieci blindati dei carabinieri e della polizia, con gli agenti in tenuta antisommossa, presidiano l’ingresso del poligono. La manifestazione resta pacifica per tutta la durata degli interventi. Solo quando la gran parte della folla è andata via, la tensione sale con lanci di pietre e fumogeni dentro la base da parte di un piccolo gruppo di manifestanti che riescono a sfondare la rete e ad entrare nell’area militare. L’epilogo sbagliato di una giornata che ha segnato una ritrovata coscienza nazionale dei sardi.
C’è stato un momento nel quale la situazione ha rischiato di degenerare. Invasa con bonghetti, striscioni e bandiere indipendentiste l’area logistica all’ingresso del poligono. Trecento manifestanti della marcia contro le servitù militari – tra le 19.20 e le 19.30 – hanno sfondato parte del reticolato eretto a protezione del distaccamento. E, al grido di “Entrata libera”, hanno invitato tutti a entrare. All’irruzione seguita al presidio pomeridiano non hanno partecipato dirigenti dei movimenti, né rappresentanti dei partiti che hanno aderito alla manifestazione.
Al grido di “no alle servitù” parecchi i sindaci e gli ex amministratori alla marcia della pace. «La mia presenza deriva dal fatto che noi in passato abbiamo avuto tante servitù e ancora adesso non è stata eliminata quella di Guardia del moro a Santo Stefano – attacca Angelo Comiti, primo cittadino della Maddalena –. La Difesa considera quell’impianto indispensabile e perciò ha intenzione di reintrodurre gli attuali oneri nonostante la convenzione sia scaduta».