Un esercito per fare pace. La geopolitica di Francesco, di Sandro Magister

Fermare l’aggressore ingiusto. Con le armi se necessario. Gli appelli del papa creduto pacifista per la protezione militare delle popolazioni aggredite dal califfato islamico.

ROMA, 22 agosto 2014 – Al primo posto mette la preghiera. Ma non disdegna le arti della diplomazia. E adesso neppure esita a invocare gli eserciti.

La geopolitica di papa Francesco opera su questi tre registri, di cui il terzo è il più sorprendente. Tutto l’opposto di quel pacifismo assoluto che sembrava caratterizzare l’avvio di questo pontificato.

In effetti, un anno fa, la giornata di preghiera e digiuno contro un intervento militare dell’Occidente in Siria, con il rosario recitato in piazza San Pietro, fu l’atto con cui Francesco parve annunciare al mondo come lui, il papa, intendeva muoversi da lì in avanti sui teatri di guerra. A mani nude, disarmate, elevate al cielo.

E il mondo per un attimo parve ubbidirgli, con la quasi totalità dei governi contrari all’attacco, comprese le opinioni pubbliche di Stati Uniti e Francia, gli unici due Stati tentati dall’intervenire, e compresi gli stessi belligeranti di Siria, dove la guerra però non cessò ma si fece ancor più crudele.

Mesi dopo, Francesco ricorse ancora alla preghiera per la pace tra Israele e gli arabi. Ottenne che invocassero Dio accanto a lui, in Vaticano, i due presidenti nemici Peres e Abu Mazen. Questa volta con effetti meno illusori e il rapido precipitare di una nuova guerra.

Con crescente scetticismo, le cancellerie imputano a Francesco di preferire la via di fuga della preghiera al duro confronto con la realtà.

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Ma non è così, perché Francesco ha fin da principio affiancato alla preghiera anche la pazienza e le astuzie della Realpolitik.

Licenziato l’inetto cardinale Tarcisio Bertone, ha messo alla testa della segreteria di Stato un diplomatico d’alta scuola, il cardinale Pietro Parolin, dei cui consigli fa diligentemente tesoro.

S’è sempre guardato, papa Francesco, dallo schierarsi pubblicamente contro l’uno o l’altro degli avversari sul campo, specie se musulmani, anche a costo di tacere la sua solidarietà con vittime cristiane perseguitate per la loro fede, dalla pakistana Asia Bibi alla sudanese Meriam alle studentesse nigeriane sequestrate da Boko Haram.

La diplomazia di Francesco sopporta in silenzio anche gli schiaffi, nella speranza di successi futuri. All’arrivo del papa in Corea del Sud, lo scorso 14 agosto, la Corea del Nord se ne è fatto beffe sparando tre missili dimostrativi e cancellando l’invio di ogni propria delegazione.

Quanto alla Cina, il Vaticano vanta all’attivo che Pechino abbia per la prima volta consentito a un papa il sorvolo del proprio territorio, con relativo invio di messaggi di cortesia.

Ma al passivo c’è molto di più. Le autorità di Pechino hanno consentito solo a pochissimi cattolici di recarsi in Corea a salutare Francesco. Hanno richiamato in patria i sacerdoti cinesi residenti in quel paese. Ma soprattutto non hanno dato alcun segno di allentare la repressione del cattolicesimo in Cina, dove il numero uno della gerarchia in comunione con Roma, il vescovo di Shanghai Thaddeus Ma Daqin, è dal giorno della sua nomina agli arresti domiciliari e tanti altri vescovi e preti sono in prigione o scomparsi.

Al battagliero cardinale di Hong Kong Joseph Zen Ze-kiun le autorità vaticane hanno imposto di tacere e di “lasciar lavorare la diplomazia”. Da quando Francesco è papa, la commissione sulla Cina creata da Benedetto XVI nel 2007, di cui Zen è uomo trainante, non è stata più convocata. Egli invia regolarmente al papa delle lettere d’informazione e dice sconsolato: “Spero che le legga”.

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C’è però un livello di tolleranza oltre il quale lo stesso papa Francesco ammette l’uso della forza. Ed è ciò che succede col neonato califfato islamico in Iraq e Siria.

Quando l’8 giugno capitolò Mosul, le autorità vaticane reagirono con estrema cautela. Ma dopo che ai primi di agosto anche la piana di Ninive cadde nelle mani del califfato e per i cristiani e le altre minoranze religiose fu il disastro, con migliaia di uccisi per puro odio della fede, le richieste d’aiuto sono salite così forti da quelle terre che un rappresentante ufficiale della diplomazia vaticana, l’osservatore permanente presso le Nazioni Unite a Ginevra Silvano Tomasi, ha rotto il silenzio e ha invocato più volte un intervento della comunità internazionale “per disarmare l’aggressore”.

L’ultimo precedente del genere risale al 1992, quando Giovanni Paolo II reclamò un “intervento umanitario” armato per fermare i massacri nella ex Iugoslavia. Nel 2005 l’assemblea generale dell’ONU approvò il principio della “responsabilità di proteggere” in armi le popolazioni da uccisioni di massa e nel 2008 Benedetto XVI sostenne il valore di questo principio in un discorso a questa stessa assemblea, a New York nel Palazzo di Vetro.

Papa Francesco non si è subito esposto personalmente su questo terreno.

Ha lasciato che prima si esprimessero i vescovi iracheni, unanimi nell’invocare un intervento militare massiccio.

Ha lasciato che in Vaticano fosse il pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, presieduto dal cardinale Jean-Louis Tauran, a pubblicare un tremendo e circostanziato atto d’accusa contro il califfato islamico, esigendo dal mondo musulmano altrettanta nettezza di giudizio.

Ha inviato in Iraq come suo “alter ego” il cardinale Fernando Filoni, già nunzio in quel paese martoriato.

E finalmente lui stesso, Francesco, in una lettera del 13 agosto al segretario generale dell’ONU Ban Ki-Moon, ha chiesto alla comunità internazionale di “fare tutto ciò che le è possibile per fermare e prevenire ulteriori violenze sistematiche contro le minoranze etniche e religiose”.

Di ritorno dalla Corea si è persino detto pronto ad andare anche lui in Iraq, nel pieno di questa “terza guerra mondiale” che egli vede combattuta qua e là “a pezzi” e con “livelli di crudeltà da spavento”, perché “fermare l’aggressore ingiusto” è non solo lecito ma doveroso.

Insomma: un esercito per fare pace. Ma a questa invocazione papale la risposta dei governi e dell’ONU è stata finora riluttante, se non sorda.

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Questa nota – qui leggermente più ampia – è uscita su “L’Espresso” n. 34 del 2014, in edicola dal 22 agosto, nella pagina d’opinione dal titolo “Settimo cielo” affidata a Sandro Magister.

Ecco l’indice di tutte le precedenti note:

> “L’Espresso” al settimo cielo

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La lettera del 13 agosto di papa Francesco al segretario generale dell’ONU Ban Ki-Moon, nel testo originale inglese e nelle versioni italiana, francese e spagnola:

> “It is with a heavy and anguished heart…”

E la trascrizione integrale delle sue dichiarazioni del 18 agosto, di ritorno dal viaggio in Corea:

> La conferenza stampa del papa in aereo

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L’articolo de “La Civiltà Cattolica” del 1 marzo 2014 sulle posizioni del diritto internazionale e della Chiesa cattolica circa gli interventi di protezione armata dei popoli in pericolo:

> Dall’intervento umanitario alla responsabilità di proteggere

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La circostanziata denuncia degli orrori del califfato islamico in Iraq e Siria pubblicata il 12 agosto dal consiglio pontificio per il dialogo interreligioso, nel testo originale francese e nelle versioni italiana, inglese, spagnola e portoghese:

> Déclaration…

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Le radici della violenza nell’islam e la rivoluzione culturale alla quale è chiamato il mondo musulmano nell’insegnamento di Benedetto XVI:

> Torna attuale la lezione di Ratisbona

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Oltre che su cristiani e yazidi va notato che la spada del califfato si accanisce anche sui musulmani che non obbediscono alla sua ideologia. Il 13 agosto una nota dell’Unione delle comunità e organizzazioni islamiche in Italia ha ricordato che “sedici ulema musulmani sunniti, che appartengono a confraternite sufi di Mosul, sono stati uccisi per aver difeso i cristiani. Tra essi l’imam della grande moschea della città, Muhammad al-Mansuri, e quello della moschea del profeta Giona, Abdel-Salam Muhamma”.

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L’appello del patriarca caldeo Louis Sako e di altri vescovi iracheni per l’invio di “un contingente di Stati Uniti e Unione europea”, lanciato il 14 agosto in occasione della visita a Erbil dell’inviato del papa, il cardinale Fernando Filoni:

> “Urlate con noi: subito una forza internazionale”

Il comunicato congiunto diffuso il 18 agosto dal cardinale Filoni e dal patriarca Sako:

> Intervenire subito per aiutare le popolazioni locali

In una precedente intervista a “L’Osservatore Romano” il cardinale Filoni aveva ricordato come l’attuale persecuzione dei cristiani del nord Iraq sia la terza avvenuta nell’ultimo secolo:

“Con la caduta dell’impero ottomano e la costituzione della Turchia come Stato, migliaia di cristiani – siri, caldei, assiri, armeni, greco-ortodossi o greco-cattolici – furono uccisi o espulsi. I sopravvissuti subirono deportazioni, affrontarono fughe, e molti morirono di fame e di stenti. Tra il 1915 e il 1918 cinque vescovi subirono il martirio, tre morirono in esilio; di sedici diocesi cattoliche ne rimasero in vita tre; dei 250 sacerdoti una metà fu uccisa insieme a numerose religiose. Il delegato apostolico Giacomo Emilio Sontag fu ucciso a Urmia. Negli anni Sessanta, poi, migliaia di cristiani furono espulsi durante le rivolte in Kurdistan, trovando rifugio a Mosul, nella piana di Ninive o a Baghdad. Ora siamo alla terza grande persecuzione”.

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La drammatica intervista ad “Avvenire” del 12 agosto del vescovo caldeo di Mosul, Emil Nona:

> “I jihadisti colpiranno anche voi”

In essa, egli ha detto tra l’altro:

“Nel Corano ci sono versetti che dicono di uccidere i cristiani, tutti gli altri infedeli. La parola ‘infedele’ nell’islam è una parola molto forte: l’infedele, per l’islam, non ha una dignità, non ha un diritto. A un infedele si può fare qualsiasi cosa: ucciderlo, renderlo schiavo. Tutto quello che l’infedele possiede, secondo l’islam, è un diritto del musulmano. Non è una ideologia nuova, è una ideologia basata sul Corano stesso. Queste persone rappresentano la vera visione dell’islam. […] Questa gente non  crede nel dialogo: chi non è d’accordo con il loro pensiero lo uccidono”.

E ancora:

“I politici occidentali non capiscono cosa vuol dire l’islam, pensano che siano un pericolo solo per i nostri Paesi. Non è vero: sono un pericolo per tutti, per voi occidentali ancor più che per noi. Verrà un tempo in cui vi dovrete pentire di questa politica. Il confine di questi gruppi è tutto il mondo: il loro obiettivo è di convertire con la spada o di uccidere tutti gli altri. […] Si possono fermare o con la guerra o scovando dove sono i fondi che finanziano questi gruppi. Si deve ripensare completamente la politica internazionale”.

Il predecessore di Emil Nona a Mosul, il vescovo Farj Rahho, fu ucciso da terroristi musulmani nel 2008.

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Le stupefacenti dichiarazioni al “Corriere della Sera” del 15 agosto del segretario generale della conferenza episcopale italiana Nunzio Galantino, in stridente dissonanza con le posizioni dei vescovi iracheni, delle autorità vaticane e dello stesso papa Francesco:

“C’è chi dimentica l’insegnamento della storia e preme per combattere una nuova guerra contro il cosiddetto califfato dell’ISIS: ma la democrazia non si esporta con le armi, e bisogna vedere se questo nostro concetto coincide con le aspirazioni locali. […] C’è un tipo di fondamentalismo, ahimè, anche qui in Occidente che vorrebbe cogliere l’occasione per distruggere ogni dialogo col mondo musulmano, quasi che la convivenza fosse impossibile, paventando addirittura un’Europa già conquistata”.

Il testo integrale dell’intervista di Galantino:

> “Le lobby bloccano tutto”

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La nota di Ernesto Galli della Loggia sui concetti tabù di religione, guerra e civiltà, sul “Corriere della Sera” del 22 agosto 2014:

> Noi, in fuga dalla realtà

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Gli ultimi tre precedenti servizi di www.chiesa:

7.8.2014
> Diario Vaticano / Riforma del papato, cantiere aperto
Il priore di Bose Enzo Bianchi e l’arcivescovo emerito di San Francisco John R. Quinn danno per certo che Francesco rinnoverà a fondo il ruolo del papa. Ma alcuni atti di questo pontificato contraddicono le loro attese

1.8.2014
> Gli strani silenzi di un papa tanto loquace
Non una parola per le studentesse nigeriane rapite, né per la pakistana Asia Bibi condannata a morte con l’accusa d’aver offeso l’islam. E poi le udienze negate all’ex presidente dello IOR Gotti Tedeschi, cacciato per aver voluto far pulizia

29.7.2014
> Müller: “Queste teorie sono radicalmente errate”
Il prefetto della congregazione per la dottrina della fede confuta le tesi di chi vorrebbe consentire le seconde nozze con il primo coniuge in vita. Gli dà man forte il cardinale Sebastián, anche lui contro il cardinale Kasper. Ma papa Francesco con chi sta?

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Per altre notizie e commenti vedi il blog che Sandro Magister cura per i lettori di lingua italiana:

> SETTIMO CIELO

Ultimi tre titoli:

Alla BBC ha fallito. E adesso ci prova con i media vaticani

Il Vaticano si sveglia e scopre gli orrori del Califfato

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