A quarant’anni dalla scomparsa di Bruno Josto Anedda, saggista storico, giornalista, esponente del repubblicanesimo sardo. Soprattutto scopritore del monumentale diario manoscritto di Giorgio Asproni, di Gianfranco Murtas
Giorgio Asproni in due diverse età della sua vita.
Nella mezza estate del 1974 – giusto quarant’anni fa – ci lasciava Bruno Josto Anedda. Mi ero ripromesso di scriverne, nella circostanza, nuovamente in feconda sintonia con la professoressa Maria Corona Corrias che, nei giovanili anni di frequenza del corso di Scienze Politiche all’interno della facoltà di Giurisprudenza di Cagliari, di Anedda fu collega ed amica, accompagnandone un certo tratto di vita.
La testimonianza della professoressa Corona Corrias, anticipata in un’altra conversazione di cui ho dato conto nel sito Edere Repubblicane del 24 aprile 2012 (cf. “Quella scoperta asproniana vissuta in Facoltà: con la Arcari e Bruno Anedda, Carlino Sole e Tito Orrù”: la testimonianza di Maria Corona Corrias), ci sarà, e sarà preziosa per la ricostruzione biografica di Bruno Josto Anedda. Spero di poterla raccogliere nel prossimo settembre.
Qui ho inteso comunque onorare la memoria dell’amico scomparso riproducendo il testo che della sua vicenda umana ed intellettuale stese il professor Tito Orrù e fu pubblicato sul bimestrale Nuovo Bollettino Bibliografico Sardo e archivio tradizioni popolari nn. 87/88 dell’agosto 1975, ad un anno cioè dall’evento luttuoso e triste (la rivista di Giuseppe Della Maria era allora alla vigilia della sua fine che sarebbe avvenuta con il numero doppio 96/97, dopo ventidue anni di faticose uscite). Mi è sembrato così di onorare, insieme, i due amici e colleghi – Orrù con Anedda –, missionari entrambi della ricerca storica e, sul piano civile e politico, testimoni l’uno non meno dell’altro dei valori della scuola democratica, repubblicana ed autonomistica che nei nomi grandi di Giuseppe Mazzini e Giorgio Asproni (ma anche di Carlo Cattaneo e Giuseppe Garibaldi, Giovanni Battista Tuveri e Vincenzo Brusco Onnis) si riconosce.
Tito Orrù: «Sentiva fatti e personaggi congeniali al suo interiore travaglio di idee e sentimenti»
Ecco lo scritto del professore Orrù:
«”Se n’è andato in punta di piedi, con la discrezione che gli era costume!” è stato il commento di colleghi ed amici quando, il giorno di Ferragosto, si è sparsa la voce che Bruno Josto Anedda aveva ceduto al male che da mesi lo consumava. Un’imperscrutabile coincidenza aveva voluto confermare un tratto saliente del suo carattere che aveva contribuito a farlo apprezzare e stimare. La corta giornata della sua vita non ha consentito a Bruno Anedda di esprimere tutto se stesso. A noi piace ricordarlo per l’affetto che gli portammo: ma non è priva di significato la breve intensa esistenza di un giovane della presente generazione che ha fortemente sentito i problemi del suo tempo ed ha ardentemente desiderato dimensionarli nella realtà della sua regione.
«Due preminenti interessi caratterizzano la formazione intellettuale e lo impegno civile e politico del giovane Anedda: la vocazione giornalistica e lo amore alla Sardegna. Nel giornalismo si era tuffato giovanissimo, sin dagli anni del liceo, e ne aveva assaporato le varie tappe superando con la passione – come è dei giovani che debbono farsi da sé – ostacoli per le inevitabili amarezze: cronista in erba di fogli ciclostilati, improvvisato editore di numeri unici e collaboratore di organi diocesani (attratto anche dall’attivismo sociale del movimento cattolico), egli rivestì con l’abituale semplicità i panni del correttore di bozze o dell’impaginatore o del redattore capo; poi il lungo tirocinio dell’agenzia giornalistica arricchì la sua competenza professionale e allargò gli orizzonti di confronto ai suoi servizi regionali; in pari tempo maturò anche la sua collaborazione a riviste specializzate e ad autorevoli quotidiani economici della Penisola. A quel fecondo periodo, intorno agli anni 1960-63 [recte: 1966-68] risale l’operazione politico-giornalistica del quindicinale “Tribuna della Sardegna”, che indirizzò Bruno Anedda all’attivismo militante del Partito Repubblicano e gli prospettò la soluzione del problema sardo, sulla scia delle esperienze del bittese Giorgio Asproni, in un’aggiornata, e socialmente avanzata, rielaborazione del democraticismo risorgimentale. Il quindicinale di Anedda accolse documentati servizi sulle condizioni e sui problemi dell’Isola da ascriversi fra le cose buone del giornalismo sardo del secondo dopoguerra e alimentò un interessante dibattito sul tema del separatismo, cui, forse, non fu estraneo l’auspicio di attivare il confronto di idee e di posizioni nella più vasta cerchia del rivendicazionismo isolano e che coinvolse invece, acutizzandola, la crisi interna del PSd’A sfociata nella successione [recte: secessione] della frazione appellatasi Sarda Autonomista. L’approdo professionale a Radio Sardegna, nel 1970, diede a Bruno Anedda la possibilità di meglio esprimere, attraverso un incisivo mezzo di comunicazione di massa che deve ispirarsi a criteri d’imparzialità e di concretezza democratici, la sua sensibilità di giornalista e di acuto osservatore politico.
«Colleghi ed amici ne apprezzarono l’impegno e la preparazione, le puntuali sue analisi dei problemi e dei dibattiti regionali trovarono consensi in ogni parte politica, ma tutti, pubblico di lettori e di ascoltatori, ricordano di Bruno Anedda l’attaccamento alla Sardegna e il costante desiderio di assegnarle un domani migliore. Nel vario avvicendarsi di circostanze, non senza passi obbligati – come è dell’umana condizione – che colorino la trama della sua esistenza, nell’eterogeneità d’interessi che in lui suscitava la brama di conoscenze, il problema del Popolo sardo aveva un ruolo preminente. Nato fuori dell’Isola, Bruno Anedda aveva appreso dalla prima infanzia ad amare la sua terra con la veemenza e la dedizione che desta il raffronto con regioni più fortunate. Chi ha avuto modo di avvicinarlo ben sa che in lui l’impegno giornalistico, la ricerca di connotazione ideologica e il ruolo di intellettuale convergono a questa prima finalità. Finalità che aveva altresì nutrito il suo interesse per la Storia come strumento per la comprensione delle cause del malessere della Sardegna, dalle prime anticipazioni nella rubrica “Passato ed Avvenire” dell’Agenzia Italia, da lui ideata come fonte di documentazione e palestra di dibattiti, per trovare poi appagamento nei più approfonditi studi condotti nel Seminario di Scienze politiche sotto la guida della prof. Paola Maria Arcari e proseguiti coll’affettuosa collaborazione degli allievi. Oltre ai lavori minori su temi di storia sarda (sul Musio e il viceré Montiglio, su Asproni e il clero sardo) e risorgimentale (sui Democratici e la guerra di Crimea), ci lascia un’ampia monografia su Vittorio Angius, il benemerito sardo dimenticato, ma il centro del suo interesse e del suo impegno di studioso era divenuto negli ultimi anni Giorgio Asproni. Per merito di Anedda ha avuto inizio, infatti, quel processo di rivalutazione del personaggio ora in atto, col ritrovamento di un massiccio fondo inedito e con l’illustrazione della personalità e dell’azione politica dell’illustre bittese nella stampa sarda. Un’ulteriore testimonianza del suo attaccamento al personaggio asproniano è il profilo biografico del deputato di Nuoro che fa parte della introduzione al primo volume del “Diario Asproni”, apparso di recente, e che, purtroppo, poté vedere solo in bozze.
«L’incontro con Giorgio Asproni ha segnato un momento fondamentale della maturazione culturale e politica di Bruno Josto Anedda: non comunque il punto di arrivo, perché non consentaneo alle sue attitudini intellettuali. La disposizione a sentire fortemente fatti e personaggi congeniali al suo interiore travaglio di idee e sentimenti faceva parte della sua vocazione di giornalista e di studioso quanto la spiccata tendenza ad arricchire il patrimonio di conoscenze. Negli ultimi mesi di vita, indebolito nel fisico ma lucido e presente nella vigoria intellettuale, egli ritornava più assiduamente ai tempi che fortemente avevano agitato il suo spirito, personaggi storici e idee forza del nostro tempo. (Lo sviluppo tecnologico, la Cina e il terzo mondo, papa Giovanni, l’incontro delle ideologie sul piano storico a dispetto della inconciliabilità dei principi teorici e al di là del compromesso storico nostrano e della distensione delle superpotenze, erano, per citarne alcuni, i temi ai quali si richiamava con insistenza nella conversazione, sentendosi ormai impedito a trattare per iscritto). E puntualmente il discorso, dallo esteso panorama storico-politico, dalle ardite introspezioni, si trasferiva, dimensionato e coerente, all’analisi di realistiche prospettive per il domani della Sardegna. Era andato invece attenuandosi l’entusiasmo per il programma “neo-nuragico” (programma con cui [affidava] alla intellettualità isolana il ruolo di centro propulsore per avviare i Sardi, in una vitale e compenetrata unione di tradizione e modernità, ad una compiuta democratica affermazione sociale ed economica), come a ripetersi in lui la parabola del rivendicazionismo sardo di Giorgio Asproni, del personaggio che Bruno Anedda aveva più fortemente amato e vissuto».
Così il professore Orrù.
Un cenno biografico. Di Bruno Josto Anedda, che io ragazzo incontrai nel 1971 e frequentai nella sede repubblicana di via Sonnino 128 a Cagliari, e seguii con trepidazione nella lunga vicenda di malattia, ricorderei qui, in estrema sintesi, alcuni passaggi biografici che saranno sviluppati in altro momento.
Era nativo di Pola, da famiglia sarda rientrata in Sardegna negli anni della sua infanzia. Aveva per un lustro circa, a cavallo fra anni ’50 e anni ’60 – quelli che ruotano intorno all’età bella sua dei vent’anni –, collaborato con il settimanale diocesano “Orientamenti”. Entrato all’agenzia giornalistica Italia e accreditato dal “Sole 24 ore” come suo collaboratore nell’Isola, s’era iscritto all’albo professionale nel 1967. Da un anno pubblicava il quindicinale “Tribuna della Sardegna” (sottotestata: “periodico indipendente di politica, di cultura e di varietà”), che sarebbe uscito fino ai primi mesi del 1968. Per alcuni mesi esso presentò degli inserti in cui, fra storia ed attualità, veniva illustrata da diversi punti di vista la condizione culturale e materiale, politica e socio-economica della Sardegna nei confronti con l’Italia e il vasto mondo.
Già da alcuni anni egli sviluppava, da bibliografie e inoltri in archivi, saggi storici più spesso pubblicati nel “Nuovo Bollettino Bibliografico Sardo” o sulla terza pagina de “La Nuova Sardegna”. L’OPAC Sardegna ne offre una significativa, seppure (in quanto a numero) limitatissima, rappresentazione. Altri studi uscirono sulla ”Rivista storica italiana” e in “Studi economico-giuridici” dell’Università di Cagliari, ed ancora sulla rivista della Camera di Commercio di Cagliari “Sardegna Economica” . Ricordo diversi suoi scritti storici, di argomento asproniano (e con qualche primizia del “Diario politico”), già nel 1966 su “La Voce Repubblicana”. Il corposo saggio sull’Angius, edito da Giuffrè, risale al 1969. Nella sequenza alfabetica del dizionario biografico dei sardi illustri che aveva prefigurato la preside Arcari, secondo sarebbe dovuto venire Asproni. Per questo, prima Angius poi Asproni, e gli altri dopo…
Al PRI, quasi all’esordio della segreteria Ugo La Malfa, aderì nel 1966 e nel 1968 divenne segretario regionale del partito, mantenendo la carica per circa un anno, fino cioè al suo passaggio alla redazione sarda della RAI.