Scienza e religione: un rapporto difficile, di Gianni Mula
Scienza e religione: un rapporto difficile
di R. Pucci, G. G. N. Angilella
Presentazione di Gianni Mula
Presentazione di Gianni Mula
L’articolo che segue descrive sinteticamente ma con chiarezza la condizione della cultura contemporanea. Che è una cultura che si proclama scientifica in quanto una grande maggioranza di scienziati, credenti e non credenti, accetta la definizione di K. R. Popper secondo la quale la ricerca scientifica è quella per definizione falsificabile, cioè assoggettabile al controllo sperimentale. La ricerca scientifica definita in questo modo porta a risultati veri e indiscutibili e i suoi risultati sono da considerarsi al di sopra delle parti. Non sono invece falsificabili, e quindi i loro risultati sono sempre discutibili, gli altri tipi di ricerca, da quella medica a quella economica, da quella socio-politica a quella teologica. La pubblica opinione, influenzata e direi anche condizionata dall’opinione maggioritaria fra gli scienziati, si allinea a quest’ultima in modo completamente acritico.
Purtroppo è ormai abbondantemente dimostrato che la posizione di Popper, per quanto possa sembrare semplice e solida, non regge ad un esame approfondito. La nettezza della separazione tra ricerca scientifica e ricerca non scientifica si scopre essere null’altro che un mito, e per di più un mito pericoloso perché chi ci crede ritiene di difendere una posizione scientifica inattaccabile. Dopo la pubblicazione de La struttura delle rivoluzioni scientifiche (T. S. Kuhn, 1962) è infatti diventato evidente che la tesi di Popper non corrisponde in alcun modo a come funziona in pratica la scienza reale. Che in queste condizioni il mito persista è solo il segno più evidente della schizofrenia di una cultura dominante che preferisce far finta di ignorare ciò che non può essere controllato. Kuhn ha infatti definitivamente dimostrato che nella storia del progresso scientifico la scienza cosiddetta “normale” non procede eliminando le ipotesi non confermate dall’esperimento ma, se un’ipotesi è ritenuta per qualunque ragione particolarmente attraente, cerca invece di renderla compatibile col “paradigma” culturale dominante. Quando i tentativi diventano sempre più ingegnosi, e sempre meno convincenti, arriva il tempo di una “rivoluzione scientifica”, cioè di un cambio di paradigma. Ma il passaggio dal vecchio al nuovo paradigma non avviene mai perché il vecchio è stato falsificato, come vorrebbe Popper, ma perché il nuovo è sentito, per qualche ragione, più semplice, o più promettente, o più elegante dell’altro.
Ad esempio, dimostra Kuhn, la teoria copernicana non ha sostituito quella tolemaica perché era stato dimostrato scientificamente che il sole non gira attorno alla terra ma perché un universo centrato sulla terra non corrispondeva più alla visione del mondo degli europei post-rinascimentali. Che Galileo nel 1633, dopo la condanna, sia uscito dal tribunale dell’Inquisizione dicendo “Eppur si muove” è solo il frutto di un racconto, con ogni probabilità senza alcun fondamento storico, scritto più di un secolo dopo il fatto. Che poi ancora oggi si continui a leggere che la condanna di Galileo era ingiusta, in quanto contro la scienza, dimostra solo la persistenza, contro i fatti, del mito della separazione tra la scienza e le altre attività umane. La condanna di Galileo era ingiusta perché è ingiusta l’esistenza (allora come ora) di tribunali come quello dell’Inquisizione, e non perché la scienza avesse (allora come ora) l’autorità di stabilire una volta per tutte dove deve essere posta l’origine di un sistema di riferimento. (Per maggiore chiarezza possiamo riferirci a un esempio tratto dalla matematica: dire che oggi è definitivamente stabilito che è la terra a girare attorno al sole, e non viceversa, significa fare un’affermazione vera nello stesso senso nel quale è vero che 1 + 1 è uguale a 2. Che è un senso molto limitato, perché se si passa dalla base decimale a quella binaria è invece vero che 1 + 1 è uguale a 10. Analogamente se l’origine del sistema di riferimento viene posta sulla terra è il sole a girare attorno alla terra, mentre se la si pone nel sole accade il contrario).
Gli autori dell’articolo, due noti e rispettati fisici italiani, entrambi cristiani, accettano, almeno come quadro generale, la posizione filosofica di Popper ma, a differenza di molti altri scienziati, sono perfettamente consapevoli dei suoi limiti. E il punto che sollevano, l’esistenza di un’influenza reciproca tra pensiero scientifico e pensiero religioso, è importante. Capire come si possa tradire nei fatti la buona notizia, pur continuando formalmente a proclamarla, è infatti cruciale per la nostra discussione. In questo senso il loro contributo è particolarmente significativo perché parte da un punto di vista comune alla maggioranza degli scienziati.
Un sommesso “appunto” agli autori può invece essere fatto per non aver discusso in maggior dettaglio il loro atteggiamento filosofico di fondo, a parte un esplicito invito a moderare l’asprezza del confronto fra posizioni diverse.
È un’omissione che mi pare autorizzi i lettori dell’articolo a ritenere che esistano comunque, al di là di eventuali divergenze filosofiche, enti universali chiamati “scienza” e “religione” dalle cui verità la vita degli esseri umani dovrebbe dipendere. Può sembrare un punto marginale, o per specialisti, ma in realtà è un punto centrale non solo per chi si rifà alla fede cristiana ma anche per chi, semplicemente, ambisce a dare un senso alla propria vita. Oggi l’interpretazione che la teologia cristiana dà del racconto evangelico della condivisione dei moltiplicazione dei pani e dei pesci è (vedere ad esempioJ.M. Castillo e Alberto Maggi) che con Gesù, in questo episodio, è nato un nuovo culto che non si esercita più nelle sinagoghe, ma ovunque esista la pratica delle beatitudini, la condivisione generosa.
Passare da questa convinzione religiosa alla convinzione, di politica economica, che il problema della fame nel mondo non sta nella mancanza di alimenti ma nel fatto che i poteri pubblici non sono disposti a risolvere il problema della equa distribuzione delle risorse, è una forma legittima di interazione del pensiero religioso col pensiero economico? Di fronte a una realtà come quella evidenziata dall’attuale default dell’Argentina, determinato dalla decisione di un giudice americano di condannare chi si rifiuta di cedere al ricatto di speculatori senza vergogna, continueremo a dire che un conto è il pensiero religioso e un’altro quello economico-giuridico? Non sarebbe come dire che, in fondo, il Grande Inquisitore aveva ragione a vedere nella buona notizia un elemento di disturbo e a dire a chi l’annunciava di non tornare mai più, mai più?
Sarebbe interessante sentire la posizione degli autori in merito a questo aspetto.
Buona lettura!
Gianni Mula