Fuori dagli schemi e dai conformismi. Per Diodato Arru, di Federico Francioni
Fuori dagli schemi e dai conformismi.
Per Diodato Arru
di Federico Francioni
Smarrimento, angoscia, dolore: sentimenti ed emozioni che non si possono non avvertire di fronte alla notizia dell’improvvisa scomparsa di Diodato Arru. Chitarrista, compositore, didatta, animatore artistico e culturale – particolarmente impegnato e noto non solo nella sua / nostra amata Alghero – poteva legittimamente vantare solide relazioni con artisti della penisola, della Spagna e di altri paesi. Non ero legato a lui da un’amicizia di lunga data e pur tuttavia in svariate occasioni – incontri, conferenze, dibattiti, conversazioni personali – si era creato un rapporto di reciproca stima, arricchito da una vivacità intellettuale, da una verve polemica, da uno spiccato spirito di autonomia, che erano tratti distintivi, inconfondibili della sua personalità. Mi sembrava (ed era) abbastanza lontano dai temi che più stanno a cuore a me e ad altri – per fare solo un esempio, la lotta per la lingua sarda e per il bilinguismo giuridico – ma trovavo comunque possibile discutere con sincerità e franchezza ed uscivo sempre stimolato dall’intenso scambio di idee che avveniva con lui. Lo avevo sentito al telefono non molte settimane fa ed ero ben lungi dal pensare ad una fine così drammaticamente prossima.
Diodato aveva manifestato vivo interesse per “Camineras” (della quale sono redattore): una rivista pubblicata ormai da dodici anni (fatto non scontato nel panorama politico-culturale isolano), schierata su posizioni di sinistra anticolonialista”, vicina al mondo sardista / indipendentista, che si sforza tuttavia di essere il più possibile aperta e pluralista. Insomma un periodico non certo in piena sintonia con la visione della realtà che era propria di Diodato. Nel gennaio del 2012 avevamo programmato la presentazione di un numero ad Alghero (presso il caffè letterario “Il manoscritto” di Pietro Martinez; ci aveva aiutato nell’organizzazione Tiziana Musti); dal nostro punto di vista si trattava di confrontare proposte per un’alternativa alla crisi, per una prospettiva auto-centrata, fondata sulle risorse endogene (dall’agricoltura al patrimonio linguistico) della città e del suo territorio. Il vivace incontro era stato introdotto da Arnaldo Cecchini, direttore del Dipartimento di Architettura, dallo studente Mauro Cossu (di Indipendèntzia Repùblica de Sardigna), da Valdo Di Nolfo (consigliere comunale) e dall’architetto Giovanni Oliva; anche Diodato aveva fatto sentire la sua voce anticonformista, sempre esterna a schemi preconfezionati.
Un’intervista. In seguito avevamo concordato un’intervista che egli mi aveva in effetti rilasciato e che era apparsa sia sul sito della Fondazione “Sardinia” (curato da Salvatore Cubeddu), sia su “Camineras” on line (redatta da Paolo Mugoni). In Una politica culturale diversa per Alghero e la Sardegna, Diodato, rispondendo alle mie domande, aveva parlato dell’iniziativa – cui teneva moltissimo – che puntava a fare di Alghero la sede stabile dell’attività concertistica e didattica di “Veruela musica viva”. Essa prendeva il nome da Nostra Signora di Veruela, località ad ottanta chilometri da Saragozza, dove il progetto era stato avviato dal 1994, su proposta della compositrice di Pamplona Teresa Catalan. Nel maggio del 2012, durante la campagna elettorale che aveva portato all’elezione di Stefano Lubrano, Diodato aveva invitato i candidati alla carica di sindaco presso l’ex asilo “Sella”; il prof. Cecchini moderava l’incontro; tutti si erano formalmente impegnati a concorrere per realizzare la proposta. In realtà non se ne fece niente: Diodato teneva a precisare, di fronte a scontate obiezioni, che la somma di 110.000 euro, indispensabile per lo svolgimento dei corsi e dei concerti nella cornice del Parco di Porto Conte, non doveva essere erogata da un solo soggetto – il Comune di Alghero – il quale, piuttosto, avrebbe potuto impegnarsi per promuovere una conferenza e riunire così altri enti promotori e finanziatori. In tal senso Diodato aveva cercato anche l’interlocuzione con Joan Adell, direttore ad Alghero del Centro “Ramon Llull”. In quell’intervista mi aveva parlato anche della sua attività di compositore: era impegnato, fra l’altro, nella scrittura di un quartetto d’archi. Come algherese e sardo che teneva moltissimo alla sua terra, Diodato si era infine dichiarato dispiaciuto dell’approdo del progetto a Malta dove le sue idee avevano trovato ascolto e favorevole accoglienza.
Lotta per il riconoscimento. Ricordando Diodato con grande rimpianto e viva commozione, va posto con molta franchezza un problema che riguarda il ruolo degli artisti e degli intellettuali in Sardegna ed in ambiti più vasti: il riferimento è non solo alla ricerca – ed al raggiungimento (come appare ovvio) – del successo, della gratificazione (più o meno materiale), ma anche e soprattutto al riconoscimento che riguarda ognuno di noi sul piano esistenziale; una questione filosofica di rilevante interesse, già posta da Georg Friedrich Hegel – nelle sue stupefacenti pagine sulla dialettica Servo-Signore della Fenomenologia dello Spirito – che hanno incontrato ricezione e rilancio anche nel dibattito statunitense attuale, il Contemporary Hegel acutamente studiato dal filosofo sassarese Luigi Ruggiu (docente all’Università Ca’ Foscari di Venezia) e da altri.
Ma forse una riformulazione originale del tema di Kampf um Anerkennung – cioè della lotta per il riconoscimento – si deve alla filosofa femminista Adriana Cavarero: nel suo suggestivo libro Tu che mi guardi, tu che mi racconti, questa studiosa ha connesso l’Anerkennung al raccontarsi ed al raccontare, alla profonda soddisfazione che un soggetto può provare nel trovarsi, nel ri/trovarsi nel report /resoconto della propria vita, messo a punto dall’Altra o dall’Altro. La reciprocità che può instaurarsi nella narrazione – la quale può dare luogo a rapporti di amicizia o di amore – non è certo rintracciabile nel testo di Hegel, laddove il Signore è bensì riconosciuto, ma si trova nell’impossibilità, quasi strutturale, di riconoscere l’Altro, cioè il Servo, oggettivato, cosificato, che però col lavoro finirà per emanciparsi dal Signore, costituendo così il polo davvero dialettico, propulsivo e apportatore di futuro.
Si può dire infine che ognuno di noi vive nell’estremo (disperato, direi quasi) bisogno di essere riconosciuto dall’altro, cioè di trovare stimolo, sostegno, nuove motivazioni alla vita quotidiana, all’azione, alla coltivazione dei sentimenti più profondi, dalle conferme che l’Altro può dare alla nostra attività, agli interessi ed agli obiettivi che cerchiamo di perseguire. Un aspetto della questione (che meriterebbe di essere approfondito) è quello dell’empatia, indagata da Edith Stein, allieva di Edmund Husserl, uccisa dai nazisti in un campo di sterminio: in pagine davvero originali e toccanti, ella è andata oltre proposizioni come “immedesimarsi nell’altro”. Sottolineando piuttosto l’irriducibilità degli interlocutori – come carne, come spirito, come persone – ha messo in evidenza che ciò comunque non impedisce l’incontro, il dialogo, la condivisione, la comprensione profonda, in presenza, s’intende, di una chiara volontà di comunicazione. Aggiungerei infine che l’assenza di empatia, la percezione o la coscienza di un mancato riconoscimento può provocare risentimento, evidente, a mio avviso, nel Giorno del giudizio di Salvatore Satta, giurista e scrittore che non si sentiva adeguatamente riconosciuto e gratificato dalla sua Nuoro. Torniamo dunque alla dimensione isolana.
Il sociologo Gianfranco Bottazzi, dell’Università di Cagliari, ha affrontato il tema dell’invidia che nel contesto sardo concorre alla regolazione sociale ed al livellamento impedendo la realizzazione di determinate iniziative e soffocando così l’emergere di un protagonismo in campo economico. Si può ribattere alla riformulazione di questa tesi osservando che certi meccanismi non hanno mai impedito che, fra Ottocento e Novecento – e fino agli anni sessanta del secolo trascorso – in ambito urbano e rurale si formassero fior di imprenditori, isolani o naturalizzati, capaci di conseguire risultati di rilievo: le documentate monografie di Sandro Ruju lo hanno dimostrato. Quanto attiene al successo delle intraprese industriali ed agropastorali (comprese quelle della fase attuale) può essere esteso ad intellettuali, artisti, animatori ed operatori culturali che in Sardegna nella penisola ed al’estero hanno ottenuto meritati riconoscimenti di critica e di pubblico.
Alghero, Sassari, la Sardegna sono “piazze”, chiamiamole così, particolarmente difficili, dove però i meriti di chi agisce con impegno e serietà, sul piano economico, socioculturale, artistico, alla lunga, vengono “riconosciuti”. In ogni caso – ciò va doverosamente ribadito – il problema non era solo di Diodato, ma di ognuno di noi: ed il riferimento, si badi bene, non è solo agli intellettuali accademici, ma anche a quelli che si possono definire gli “scalzi”, gli operatori appartenenti ad un’intellettualità “diffusa”.
Diodato, come ha ricordato Carmelo Spada, aveva amici ed estimatori anche ad Alghero, dove, fra l’altro, aveva collaborato per un decennio – col pittore Nicola Marotta e con l’architetto Antonello Marotta – ad un programma multimediale di pittura, musica e spazio.
Il limite, il mistero, l’insondabile. Il percorso artistico, intellettuale, esistenziale di Diodato e la sua fine improvvisa impongono una riflessione sul mistero, sul limite che ogni nostro impegno conoscitivo non può non incontrare e, dunque, una meditazione su ciò che rimane insondabile, nonostante gli sforzi del più attrezzato e razionalistico degli approcci. Il tentativo di porre in relazione gli elementi del quadro più complesso incontrerà sempre qualcosa che è destinato a sfuggire, che sarà oltre ogni umana possibilità di conoscenza, di ri/composizione, di rappresentazione: di tutto questo dovrebbero essere pienamente consapevoli filosofi e scienziati, laici, agnostici, atei, cristiani o aderenti ad altro credo religioso, insomma ognuno di noi; pena il cadere in rassicuranti razionalismi, in rigurgiti laicisti da fine Ottocento, in titanismi, in prometeismi oppure il restare – per un momento solo – appagati da fideismi vagamente consolatori. Oltre tutto ciò – qui il pensiero torna a Diodato – rimangono l’arte e la musica, in grado, con la loro capacità di sintesi, di aprire nuovi spazi ed orizzonti a ragione, passione, emozioni e sentimenti. Quando sentiremo un suono di chitarra, quando ascolteremo un esecutore sensibile e colto, la memoria correrà a Diodato, alle conversazioni con lui di fronte ad una tazzina di caffè nel suo appartamento di via Benedetto Croce, alla sua capacità di spaziare da Igor Stravinski a Dimitri Shostakovic, da Ottorino Respighi a Goffredo Petrassi, da Luigi Nono a Salvatore Sciarrino per arrivare a splendori (pochi) e miserie (molte) della politica algherese. Con la sua ricerca di artista, di compositore, di animatore culturale non proclive ai facili successi, ci ha insegnato che dobbiamo stare alla larga dalle oligarchie autoreferenziali dominanti (purtroppo anche nella sinistra “ufficiale”) e da logiche clientelari che provocano solo degrado. Una lezione severa la sua, su cui dobbiamo meditare.
Per concludere. Alla notizia, arrivata per me come un fulmine, della scomparsa di Diodato, dopo ore passate a chiedermi perché, la memoria è corsa ai versi di Dante su Manfredi di Svevia e su Buonconte da Montefeltro:
Poscia ch’io ebbi rotta la persona
di due punte mortali, io mi rendei,
piangendo, a quei che volentier perdona.
(Purgatorio, III, 118-120).
Quivi perdei la vista e la parola;
nel nome di Maria finì, e quivi
caddi, e rimase la mia carne sola.
(Purg. V, 100-102).
No, non sei solo, Diodato, perché ricorderemo sempre quanto ci hai dato, quanto ci hai comunicato col tuo impegno inesausto, fuori dagli schemi e dai conformismi.
By Maddalena, 23 luglio 2014 @ 17:50
Ricorderò sempre Diodato per l insegnamento e la sua grande passione per la musica,con la sua
simpatia, la pazienza e la grinta che ci ha trasmesso per la musica con la chitarra classica per9anni. Gli anni più belli della mia infanzia. Lo porterò sempre nel mio cuore e tra i miei ricordi più belli.
La sua ex allieva Maddalena Testoni