Bonas novas dae Sardigna
Cagliari, piazza del Carmine, 30 maggio 2011, ore 20,15 : il nuovo sindaco, Massimo Zedda, festeggia con il popolo del centrosinistra la vittoria alle elezioni comunali.
di Salvatore Cubeddu
‘Un nuovo Consiglio con tanti giovani’, titolano i giornali. Ma i giornali di questi giorni continuano anche a parlarci dei giovani combattenti per la libertà in Medio Oriente, dei ragazzi che muoiono ogni venerdì in Siria e di tanti altri che si riuniscono a Plaza del Sol a Madrid, a Plaza de Catalugna a Barçellona, con il movimento che si estende nelle piazze d’Europa. Negli ultimi due anni la generazione dei trentenni ha conquistato numerosi comuni dell’interno della Sardegna. I giovani occidentali cominciano a prendere atto di un processo già leggibile più di vent’anni fa: avranno per sé un mondo meno ricco dei loro genitori, di quella generazione che Hosbawn aveva descritto come partecipe dell’ ‘età dell’oro’.
Tempo ‘per’ i giovani, dunque. Tempo ‘dei’ giovani. Comporta innanzitutto il veloce superamento dell’assessorato alle politiche giovanili così come è stato inteso finora, chiara espressione del senso di colpa e del paternalismo dei non-giovani. Tutto sta in quelle proposizioni, ‘per’ e ‘di’. Ci sarebbe da immaginare, infatti, che dei giovani al governo si rivolgessero ai propri coetanei, presenti a Cagliari o collegati da tutto il mondo, in cui studiano e lavorano, tramite gli innumerevoli media: “Picciocus, esti s’ora nosta. Movei a fai sa cittadi de Casteddu chi disigiaus …”. Quale potrà essere la Cagliari ‘ri-costruita’ dai giovani cagliaritani presenti e di quelli richiamati a progettarla da parte di un’amministrazione fantasiosa, aperta, trasparente e attiva? Il progetto di Cagliari ‘ri-costruita’ dai giovani può ricevere un’attenzione che travalica i confini dello schieramento fatto vincere da elettori evidentemente disponibili alle novità.
Abbiamo vissuto una campagna elettorale seria pur presentandosi leggera, combattuta mentre restava civile, ricca di propositi nel mentre gli schieramenti rimanevano alternativi. Ciò è merito anche dei perdenti, dell’avere candidato a sindaco il migliore e il più adatto al ruolo (e pure il più esterno) del loro schieramento e… , forse proprio per questo, penalizzato. Ma, si dice, è l’aria (questo andrebbe discusso) che è cambiata. E i nostri amici del centro-sinistra saranno d’accordo che il risultato è troppo alto rispetto ai meriti finora acquisiti. Almeno in parte, è stata loro affidata una cambiale in bianco e – l’abbiano presente – quella fiducia non tarderà ad arrivare a riscossione.
Tre punti del programma meritano una nuova attenzione: il lavoro, la cultura e il rapporto di Cagliari con la Sardegna. Massimo Zedda, prima e dopo le elezioni, ha giustamente richiamato il problema della disoccupazione giovanile. Non ha detto (né, forse, poteva) che un sindaco può fare ben poco per creare una diretta occupazione stabile. Normalmente, infatti, l’ente pubblico risponde al problema secondo la ricetta di ottant’anni fa, cioè con i ‘cantieri di lavoro’, anche se oggi si chiamano in tanti altri modi. E’ spesso successo che la sinistra al governo apra i ‘cantieri’ e, una volta all’opposizione, si batta per la stabilizzazione di quei posti. L’esito frequente è l’aumento di posti improduttivi nella pubblica amministrazione in cui si entra per merito di lotta e non per concorso, a svantaggio dei cittadini delle immediatamente successive generazioni. Si tratta del meccanismo per cui la grandissima parte dei bilanci dei nostri comuni, delle inutili province e della Regione sono destinati ai loro dipendenti. Non si danno soluzioni facili per il lavoro dei giovani se essi non pongono, a se stessi prima di tutto, la questione di produrre ricchezza nell’agricoltura, nell’industria e nei servizi legati alla produzione di beni. L’intermediazione, in tutte le sue dimensioni economiche sociali politiche e culturali, è la normale funzione di tutte le capitali, ma a Cagliari essa è molto maggiore in quanto capoluogo di una regione che ha vissuto numerosi periodi coloniali. E arriviamo al centro del discorso: cosa c’è oltre l’intermediazione subalterna (che, recentemente, ha trasferito alle company internazionali persino gran parte del commercio)? E’ possibile parlare a Cagliari di agricoltura che non siano gli uffici dell’assessorato regionale e degli enti? Di industria e di terziario produttivo?
Cagliari si mangia il bilancio della Sardegna, di cui lascia non molte ossa alle altre città e gli ultimi avanzi ai paesi. Sarebbe utile e urgente avere una sng (società non governativa) che riferisca ogni anno ‘ dove vanno a finire e a chi giovano’ i finanziamenti del bilancio regionale. Quando – e si leggano le dichiarazioni dei giorni scorsi – autorevoli politici e uomini di cultura di Sassari e Nuoro affermano che “Cagliari non è una città sarda”, non stanno rifiutando Cagliari, le stanno invece chiedendo di farsi carico non solo delle risorse ma pure dei doveri di una capitale, chs sono quelli di portare a sintesi gli interessi di tutti. L’articolo di Nicolò Migheli su questo sito (“Se Cagliari diventa la città dei Sardi”) propone a tutti riflessioni interessanti e azioni urgenti.
Cagliari non può continuare a crescere in abitanti asciugando le giovani generazioni dei piccoli comuni. La balla che la città perde abitanti, e che pertanto sono necessari dei nuovi quartieri, nasconde la questione del rapporto con i comuni dell’hinterland e delle case malandate, sfitte e vuote, del suo interno. Cagliari deve rendere ai paesi quel lustro che essi gli offrono ogni anno nella processione di Sant’Efisio, deve fare da vetrina internazionale attraverso i mercati civici del meglio dei loro prodotti, Cagliari deve essere la porta dove si educano i turisti a conoscere in maniera autentica e non folklorica l’insieme della Sardegna.
Cagliari ha bisogno di una politica culturale vera, con le università e le associazioni che si collegano con le consorelle delle altre città e con i comuni dell’Isola, per immaginare e costruire un tempo migliore per la Sardegna tutta. Un tempo veramente ‘sardo’, non da ultimi dell’ultimo stato cui le vicende della storia ci hanno legato.
“Sardinia divisa est in partes duas”, avrebbe scritto Cesare se avesse dovuto combattere contro i sardo-cartaginesi-romani di allora una guerra per impedirgli di fondare la città di Torres o di spostare il capoluogo sardo da Nora a Cagliari. Invece l’ha fatto durante una quindicina di giorni di riposo al termine della cruenta lotta contro Pompeo, concludendo vittoriosamente il ‘de bello civili’. Al pari della Gallia (“divisa in partes tres” ) noi sardi, ‘privati del ‘de bello sardico’, dobbiamo al Caio Giulio la futura Sassari e la Cagliari capitale. E’ vero, continuò la ‘guerra barbaricina’ iniziata contro i cartaginesi … e quella componente che in altri modi continuò a farsi sentire. Ma è argomento per altre volte, per nuovi discorsi.