Europa ed europeismo non devono escludere i diritti irrinunciabili delle minoranze nazionali e linguistiche, di Federico Francioni

Est s’ora, move(mu)s! – Il Manifesto di Ventotene – Oscuramento del federalismo “interno” ad opera di quello “esterno” (europeista) – Alcuni rilievi critici nei confronti dell’on. Pietro Soddu – Attenzione al falso cosmopolitismo e ad un generico europeismo, buono per tutti gli usi – Per concludere.


Est s’ora, move(mu)s!. Il seminario / convegno, svoltosi lunedì 9 giugno nell’aula del palazzo viceregio di Cagliari – promosso ed organizzato dalla Fondazione “Sardinia”, dall’Associazione “Carta di Zuri” e da “Sardegna soprattutto” – ha investito vari temi. Durante l’incontro, davvero ricco e stimolante, hanno svolto relazioni ed interventi Salvatore Cubeddu – direttore della Fondazione “Sardinia”, che ha introdotto e coordinato i lavori – Bachisio Bandinu, presidente dello stesso organismo ed inoltre: Pietro Borrotzu, Mario Carboni, Vanni Lobrano, Piero Marcialis, Mario Medde, Vincenzo Migaleddu, Nicolino Migheli, Maria Antonietta Mongiu, Lorenzo Palermo, Pietro Soddu.  Ad ogni relatore è stato affidato il compito di focalizzare uno dei sette principi della ‘Carta de sa Natzione Sarda’ introdotta da Cubeddu; in particolare l’on. Soddu (già consigliere regionale, più volte assessore e presidente della Giunta, già parlamentare e presidente della Provincia di Sassari) ha avuto il compito di illustrare il settimo punto della stessa “Carta”: «La Sardegna partecipa con i propri rappresentanti, progetti e programmi all’Unione Europea, in coerenza con i valori e il modello di benessere e progresso dei paesi europei. Offre amichevole collaborazione alle comunità e alle regioni vicine per formare, a partire dal Mediterraneo, una euroregione per il progresso degli interessi comuni».

Quanto segue è una riflessione su talune implicazioni delle dense tematiche sottese a questo principio.

Il Manifesto di Ventotène. Approssimandosi le recenti elezioni europee, non sono mancati i richiami – più o meno stanchi, scontati, rituali – al Manifesto di Ventotene e ad Altiero Spinelli. Oltre a lui, quali autori del testo vanno ricordati intellettuali ed uomini d’azione come Eugenio Colorni ed Ernesto Rossi (negli anni quaranta vennero confinati dal fascismo nell’isola di Ventotene, presso il Lazio meridionale). Un testo impegnativo come quello messo a punto da personalità di tale calibro va in primo luogo letto con scrupolo e chiosato, prima di essere interpretato e/o citato. In pagine dove si auspica l’abbattimento dei confini che dividono gli Stati del continente, col fine della costruzione dell’Unità europea, con moneta, politica estera ed esercito unici, la premessa fondamentale – occorre fare estrema chiarezza al riguardo – per un rivolgimento politico-istituzionale di tale portata è rappresentato da questa vincolante affermazione: «La rivoluzione […] per rispondere alle nostre esigenze, dovrà essere socialista, cioè dovrà proporsi l’emancipazione delle classi lavoratrici e la creazione per esse di condizioni più umane di vita».

Tali parole sono il prodotto di un percorso politico-filosofico: Colorni, fra l’altro aveva studiato il pensiero di Gottfried Wilhelm Leibniz (1646-1716), anticipatore  dell’idea illuministica di una Repubblica delle lettere (capace di unire intellettuali ed uomini di scienza oltre i vincoli religiosi e le appartenenze nazionali); dal suo canto Spinelli aveva lungamente meditato sulle pagine di Karl Marx. L’esigenza di una forte cesura verso l’ordine socioeconomico dominante si accompagnava al rigetto dello stalinismo. Preciso e non scontato era il loro rifiuto della “tirannide burocratica” vigente nell’Urss, inequivocabile la condanna della “classe dei burocrati, gestori dell’economia”, saldamente al potere nel sistema sovietico.

Redistribuzione del reddito, limiti alla proprietà ed alla libera iniziativa individuale – che non andava comunque soffocata – sono elementi che si accompagnano nel loro Manifesto alla critica di monopoli e giganti industriali, finanziari e bancari che, dai settori della produzione a quello energetico, rivolgono tutte le loro forze all’instaurazione di un dominio totale, all’assoggettamento del potere politico-istituzionale per il trionfo del profitto di pochi come unica legge. Poteva, può oggi un’Unione europea – tenacemente abbarbicata in primo luogo a logiche di carattere economico e finanziario-bancario – fare tesoro di quanto venne affermato e sostenuto in tale testo? Si può rispondere in dialetto sassarese: buffunendi semmu? Insomma Colorni, Rossi e Spinelli erano antifascisti, antinazisti ed anticapitalisti, erano dei rivoluzionari che avevano affrontato i totalitarismi a viso aperto. Essi sognavano un’Europa ben lontana e diversa da quella poi saldamente dominata da un “consorzio di proprietari”, oggetto della critica condotta dal nostro Antonio Simon Mossa (1916-1971), geniale e poliedrico architetto, intellettuale e dirigente sardista / indipendentista.

Contraddizioni e limiti, riscontrabili nelle analisi di Colorni, Rossi e Spinelli, sono abbastanza evidenti: qui ci si limita a richiamare l’assenza di un esame del ruolo svolto da minoranze nazionali e linguistiche, da comunità senza Stato, insomma, la non-valorizzazione di quelle differenze che, lungi dal rappresentare un disvalore, rappresentano nell’Europa attuale una ricchezza, in maniera analoga alla biodiversità.

Oscuramento del federalismo “interno” ad opera di quello “esterno” (europeista). Il prestigio acquisito dal federalismo europeista ha indubbiamente contribuito ad oscurare le tematiche inerenti ad una riforma dello Stato italiano in senso autenticamente federale. Gli studi condotti da Luciano Carta, Gianfranco ed Alberto Contu, Antonio Delogu, Tito Orrù, Carlino Sole ed altri hanno posto in risalto l’originalità delle elaborazioni dei nostri Giorgio Asproni e Giovanni Battista Tuveri ed il loro rapporti col federalismo italiano: Carlo Cattaneo, nella sua prestigiosa rivista “Il Politecnico”, aveva pubblicato saggi sulla Sardegna tra i più approfonditi; questa capacità del Gran Lombardo di passare dall’analisi geografica a quella socioeconomica, dalla dimensione storica all’incalzante denuncia ed alla proposta – contro le politiche perverse dei governi sabaudi – fa sì che tali studi si possano esaminare ancor oggi con grande profitto per meglio comprendere, soprattutto, i meccanismi specifici della dipendenza sempre incombenti sulle nostre vicende.

Le pagine cattaneane, s’intende, nulla hanno a che spartire con il pseudo federalismo della Lega Nord, passata disinvoltamente da forme di secessionismo ad altre di decentramento implosivo, la cui azione è sempre stata caratterizzata da logiche di esclusione e discriminazione, da forme vecchie e/o inedite di razzismo: ciò è stato posto in risalto specialmente dalle lucide analisi di sociologi e politologi come Laura Balbo, Roberto Biorcio, Ilvo Diamanti e Luigi Manconi: posizioni, quelle della Lega, subalterne e, in ultima analisi, funzionali all’ispirazione centralista del partito-azienda di Silvio Berlusconi.

La sinistra tradizionale – larvale ed ectoplasmatica nella progettualità, certamente non nell’attaccamento al potere di capi-bastone ed oligarchi, dominanti anche in quelle forze che sono state definite più “radicali” (ma tali solo nominalmente) – non ha potuto / voluto replicare tramite un ordine del discorso capace di destrutturare gli stereotipi leghisti.

La complicità dei capi sardisti candidatisi nella Lega ha contribuito all’eclisse del dibattito e di proposte avanzate anche all’interno del Partito sardo d’azione ed al venir meno di una soggettività della Sardegna sul terreno dei progetti di ingegneria istituzionale. La giusta critica di matrice sardista / indipendentista al centralismo dei partiti italiani – ed alle dinamiche “succursaliste”, proprie delle articolazioni isolane di tali forze – veniva capovolta specialmente da Giancarlo Acciaro e Giacomo Sanna che si inserivano acriticamente nelle liste della Lega, invocando per il Psd’a il “diritto di tribuna”. Tali scelte avrebbero fatto sicuramente inorridire dirigenti ed intellettuali di notevole caratura come Camillo Bellieni e lo stesso Simon, i quali cercavano interlocutori politici affidabili nel Sud della penisola e nelle minoranze d’Europa. A Simon si deve la teorizzazione di una Federazione delle minoranze etniche e linguistiche, oppresse e discriminate. Erano vivi in lui, vero cosmopolita e poliglotta, l’anticolonialismo, il “terzomondismo” ed i richiami all’unità dei popoli del Mediterraneo.

Nella storia del Partito sardo d’azione, l’idea di una Federazione mediterranea – di uno Stato che avrebbe dovuto raggruppare Baleari, Corsica, Sardegna e Sicilia – fu delineata dopo il primo conflitto mondiale, sulla base di ipotesi e formulazioni avanzate nell’Ottocento dall’imprenditore, banchiere e deputato sassarese Giovanni Antonio Sanna (1819-1875), ma soprattutto dal filosofo e parlamentare Floriano Del Zio (1831-1914), nativo di Melfi e poi docente a Cagliari. Dopo un articolo di Egidio Pilia – apparso il 14 agosto del 1921 sull’organo sardista “Il Solco” – il tema occupò una parte tutt’altro che marginale nel dibattito interno del Psd’a (ma non solo) e non va dunque assolutamente liquidato come trovata folkloristica e di corto respiro. Sulla prospettiva della Federazione, infatti, troppo facile e scontata fu l’ironia usata da Antonio Gramsci (nei Quaderni del carcere) e da Emilio Lussu. Certo, non fu mai approfondita e non divenne mai parte integrante di una linea politica e di un progetto strategico, non costituì una premessa per più frequenti, sistematici contatti fra sardisti ed esponenti catalani, corsi, ecc. In ogni caso tale forma di Federazione divenne oggetto di lazzi e dileggi da parte de “La Nuova Sardegna”, rimasta – almeno in parte – adusa e fedele, nei decenni successivi, allo scherno verso certe tematiche (che avrebbero invece richiesto ben altro  approccio). Alla luce di quanto si è osservato sin qui,  figuriamoci se, con lo schieramento leghista, l’isola ed il sardismo più “ufficiale” potevano guardare all’Europa e soprattutto al Mediterraneo!

Contro le confusioni, i fraintendimenti, gli equivoci, i guasti politici, ideologici e culturali – operati dalla Lega -  Gianfranco ed Alberto Contu, Giuseppe Usai e soprattutto Vanni Lobrano sono stati capaci di parlare, con invidiabile chiarezza espositiva, delle differenze fondamentali fra decentramento, autonomia regionale, Stato federale, Confederazione ed indipendenza statuale piena e sovrana: obiettivi tra loro fondamentalmente diversi, per approdare ai quali si rendono indispensabili percorsi ben differenziati.

Peraltro, nel suo opuscolo Pro s’indipendèntzia, Bandinu osservava – correttamente e francamente – che non vedeva la possibilità di declinare il concetto di sovranità se non attraverso l’indipendenza della Sardegna. Certo, nella letteratura sull’autonomismo è stata affacciata e sostenuta l’idea che pezzi di sovranità si possano delineare e raggiungere anche all’interno delle esperienze delle Regioni a Statuto speciale. Senza aver la pretesa di voler mettere d’accordo – a tutti i costi – autonomisti, indipendentisti e federalisti,  credo che la proposta di una Assemblea costituente nazionale sarda, democraticamente eletta con criteri proporzionali, rappresenti uno sbocco dei movimenti sociopolitici e linguistico-culturali che hanno preso corpo negli ultimi decenni. Essa, per mezzo di adeguati itinerari, potrà risultare in grado di raggiungere forza contrattuale per ridefinire i nuovi termini delle relazioni fra Popolo sardo e Stato italiano.

Alcuni rilievi critici all’on. Pietro Soddu. Al convegno Est s’ora mov(em)us (svoltosi, come si è detto, al palazzo viceregio di Cagliari), l’on. Soddu – nella sua relazione sui rapporti fra Sardegna ed Europa – ha investito, fra l’altro, momenti e problemi di storia isolana. Il suo atteggiamento merita alcune considerazioni critiche, in quanto mi è sembrato, in generale, fortemente svalutativo della storia isolana e non in grado di tenere conto della produzione scientifica e del dibattito storiografico, rigogliosamente sviluppatosi negli ultimi decenni.

Andiamo oltre le facili mitizzazioni, delle quali – sia ben chiaro – non  abbiamo assolutamente bisogno! La grande statuaria nuragica di Monti Prama – della quale ci ha parlato distesamente, per primo,  Giovanni Lilliu – si può toccare con mano: si tratta di una scoperta carica di implicazioni che non riguardano solo la dimensione archeologica, ma che dovrebbero far riflettere tutti quegli studiosi ed intellettuali sardi condizionati dal paradigma dell’arretratezza e dell’isolamento Dobbiamo tenere conto delle scoperte che ci permettono di riconoscere, per esempio, l’importanza di Amsicora (fra i personaggi citati dall’on. Soddu) nell’età antica, per arrivare alle acquisizioni che riguardano la storia medioevale, quella moderna e quella contemporanea.

È in atto la pubblicazione in edizione critica – promossa dal Consiglio regionale – degli atti degli Stamenti, l’antico Parlamento tricamerale sardo (anch’esso ricordato dall’on. Soddu): i volumi finora usciti rendono conto di una ricca dialettica e di antagonismi d’ogni sorta, fin qui inimmaginabili, che si delinearono nei rapporti fra monarchia spagnola e quella sabauda (da una parte) e tale istituzione (dall’altra): l’organismo parlamentare di Antico Regime, dal XIV al XVIII secolo, ha contribuito a plasmare una originale personalità (se non si vuole usare il termine identità) storico-politica del nostro popolo.

Nel Settecento l’ambiente intellettuale isolano è ricettivo dell’Illuminismo e dei suoi insegnamenti, relativi ai popoli ed agli individui come soggetti di ragione che devono scuotersi dal collo il giogo dell’assolutismo, trascinando nella polvere i tiranni. Ciò ha contribuito in misura notevole a preparare la rottura rivoluzionaria, urbana e rurale, del 1793-96, guidata infine da Giovanni Maria Angioy, morto in esilio a Parigi nel 1808. Insieme a lui vanno ricordati almeno Domenico Alberto Azuni e Matteo Luigi Simon, con i suoi fratelli Domenico, Gianfrancesco e Giambattista: sono tutti intellettuali in grado di respirare a pieni polmoni la temperie della politica e della cultura europea; ciò è stato dimostrato da tempo con testi editi ed inediti, con carte e documenti d’archivio alla mano. Il presidente Soddu, a mio avviso, non ha tenuto ciò nel debito conto (almeno nei suoi riferimenti ad alcune vicende e a singole personalità).

Attenzione al falso cosmopolitismo e ad un generico europeismo, buono per tutti gli usi. Passando a quegli intellettuali sardi che si ammantano di un generico europeismo, di un astratto universalismo, dalla matrice vagamente illuministica, si può affermare che essi – ad avviso di chi scrive – non hanno mai fatto i conti con la grande corrente settecentesca. L’Illuminismo è stato capace di esaminare anche i concetti di nazione e patria (dall’Enciclopedia francese a “Il Caffè” dei fratelli Verri e di Cesare Beccaria), si è dimostrato in grado di sferrare un attacco implacabile – anzi, feroce! – verso i crimini del colonialismo e dello schiavismo, al punto tale da mettere in allarme i governi europei assolutisti e dispotici, compreso, ovviamente, quello sabaudo: quest’ultimo, nel 1796, diede la caccia alla grandiosa opera di Guillaume-Thomas Raynal e Denis Diderot sulla storia delle relazioni economico-commerciali fra l’Europa e le due Indie: alcune copie furono effettivamente sequestrate nella bottega del libraio cagliaritano Piazza.

Gli stessi intellettuali isolani hanno usato l’universalismo contro  il senso di appartenenza, il dichiararsi cittadini del mondo contro le sacrosante rivendicazioni di minoranze nazionali e linguistiche oppresse, lavorando, di fatto, contro il cosmopolitismo e la diversità, approdando così a quello che può essere definito come falso cosmopolitismo. Le comunità senza Stato hanno diritto a non essere assimilate, gli emigrati hanno bensì diritto all’integrazione, ma anche a non essere assimilati, spogliati e sviliti delle proprie matrici linguistiche e culturali, come più volte ha ben chiarito Paolo Fois, esaminando la normativa internazionale in proposito. Fois però è una di quelle eccezioni che confermano la regola.

È assai difficile, in generale, sentire gli  intellettuali nostrani fare riferimento a principi, a convenzioni e trattati, mondiali ed europei, puntualmente esaminati da Migaleddu (che, nel già ricordato convegno cagliaritano, si è espresso in una lingua sarda davvero nitida): il riferimento è a tutto ciò che costituisce la tutela, la salvaguardia, la difesa di natura, paesaggio, biodiversità e territori dall’attacco dell’interesse privato, da inquinamenti d’ogni sorta che costituiscono un micidiale attentato alla salute. Ricordiamo ancora la Carta delle lingue regionali e delle minoranze (1992), nonché la Convenzione – quadro per la protezione delle minoranze nazionali (I febbraio 1995), dove l’art. 15 afferma che gli Stati membri devono promuovere la presenza ed il ruolo, nella vita economica, sociale, politica e culturale, delle stesse minoranze: quelle minacciate di “genocidio culturale”, secondo l’espressione usata da Simon Mossa.

Per concludere. Finiamola, dunque, una volta per tutte, di usare il termine deprimente di “euroscettici”, brandito da mass-media asserviti: essi gettano in un grande, indifferenziato calderone, sia la destra nazionalista, sciovinista e xenofoba, sia donne e uomini che, in Sardegna ed altrove, si battono invece giustamente – come si dice in Catalogna – per il dret a decidir.

 

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