Corruzione e benedizioni, Don Aldo Antonelli , Parroco ad Antrosano

L’Italia, piena di preti, frati e monache.

L’Italia, disseminata di Santuari, Conventi, Monasteri e Seminari.

L’Italia dove perfino gli atei sono devoti.

Questa Italia, in fatto di pubblica moralità, nella graduatoria mondiale, è sprofondata al 67° posto, dopo l’Arabia Saudita e dopo il Gana!

C’è QUALCOSA che non va……

«A metterli uno appresso all’altro, i crimini italiani, più che fascicoli giudiziari sembrano grani di rosario. Più che una giurisprudenza compongono una confraternita. Dalla corruzione nello Stato alla mafia, dallo sfruttamento della prostituzione alle scalate dei banchieri devoti, in Italia sembra esserci, tra Cristo e Barabba, lo stretto rapporto che c’è tra asole e bottoni. Questo legame, inquietante per tutti ma offensivo soprattutto per chi davvero ha Fede, è diventato persino grottesco».

Così, il 6 Marzo 2010, Francesco Merlo iniziava il suo interessante e intrigante articolo sulle pagine di Repubblica; titolo: “Corruzione e Devozione”. Mi è tornato in mente questi giorni, in cui le cronache hanno portato all’evidenza un putridume debordante e devastante senza pari.

A questo punto non c’è più nemmeno quel pizzico di orgoglio che ci accecava, chiudendoci in una miopia assurda ma gratificante, rendendoci incapaci di vederci nel baratro in cui siamo caduti e impossibilitati a guardare a noi stessi come uno dei paesi più corrotti al mondo. Secondo le statistiche siamo precipitati agli ultimi posti nelle classifiche mondiali: siamo al 67° posto, peggio che l’Arabia Esaudita e il Ghana!
Lasciamo ad altri, più competenti, l’analisi storica, sociologica, politica, comportamentale, di un cotanto degrado.

Io, come credente e sacerdote, non posso non pormi la domanda inquietante: come è possibile tutto ciò, in un paese tutto “cattolico”, popolato di preti, monache, frati e “religiosi” in genere? Come è possibile tanto degrado e malcostume in un paese disseminato di chiese, conventi e santuari? Ancora, domanda tremenda, c’è un rapporto tra questo dilagante e generalizzato malcostume e la diffusa “religiosità” o, mi si perdoni, “Dio” stesso? …. Se non il Dio in sé almeno il Dio che si crede di credere?…

Da giorni mi si contorcono dentro tristi pensieri ed amare riflessioni. Faccio fatica a dar loro un nesso logico ed i lettori mi perdoneranno lo sfogo. “DIO”! Una parola pericolosa e altamente tossica. Una parola che dopo anni e anni di uso strumentale ed osceno, dovrebbe essere sottaciuta per altrettanti anni, come ben ammoniva don Primo Mazzolari.

Un nome impronunciabile, fino quando non comincerà a fiorire sulla terra il fiore della giustizia e della solidarietà, come predicava don Zeno Saltini, fondatore di Nomadelfia: «Bisogna proibire di parlare di Dio nelle chiese. Per qualche secolo. Fino a quando non ci sarà più un uomo, al quale non sarà permesso di vivere da uomo».

Ma per questa volta mi si perdoni la deroga, se parlo dell’ineffabile, se dico qualcosa di ciò che non può esser detto. Ma è da denunciare con forza la patente contraddizione della “religione” così come viene praticata dal volgo e predicata dal clero da una parte e, dall’altra, la Fede così come viene proposta dai Vangeli e testimoniata dai profeti.

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C’è come un filo rosso, sotto tensione, che percorre tutta la narrazione biblica e, direi, la storia del fidanzamento tra Dio e gli uomini; si tratta del grido di salvezza strozzato in gola ai popoli come invocazione e proclamato da Dio come offerta. I pilastri fondanti di questa architettura sono l’autopresentazione di Dio a Mosè: “Ho osservato la miseria del mio popolo, ho udito il suo grido… Sono sceso per liberarlo” (Es.3,7-8) e il prologo che Giovanni prepone al suo Vangelo: “Verbum caro factum est et habitavit in nobis. Colui che è ‘la Parola’ è diventato un uomo e ha vissuto in mezzo a noi” (Gv 1,14). Due tralicci che tengono alto il discorso di una trascendenza immanente che nel corso dei secoli ha spezzato, da una parte, il gioco evasivo in cui la religione vorrebbe soggiogare un Dio insequestrabile e, dall’altra, ha infranto le catene della necessità con le quali il potere irreggimenta e paralizza il fare e l’operare degli uomini.

Il Dio della cura e della premura, che va in cerca dei disobbedienti nel giardino dell’Eden, che si fa protettore del fratricida, che infrange l’impero del faraone e diventa bastone di viaggio per il popolo nel deserto; il Dio che distoglie il suo volto dall’odore degli incensi e dal sangue dei sacrifici, mentre s’impietosisce del popolo assetato e fa piovere manna per la sua fame; questo Dio non può che immedesimarsi nell’uomo per il quale egli, semplicemente, “È”!

L’Incarnazione (Mistero principale della Fede), come suo farsi carne, e l’Eucarestia (Sacramento della stessa Fede), come suo farsi pane, sono una necessità-necessitata del suo “dover essere” e non un optional della sua “benevolenza”. Sì! Perché l’amore per la bibbia è «questo sguardo con cui Dio si prende cura dell’alterità umana, facendole spazio e sostenendola; è il movimento di discesa con cui, andando incontro all’altro, invocazione di pane e di perdono, l’alterità divina inverte e converte la sua alterità in prossimità e la sua trascendenza in vicinanza; è l’irriducibile differenza che si rivela come ostinata non indifferenza nei confronti di chi, povero e nemico, è attesa di vita e di amicizia» (Carmine di Sante: L’io ospitale; p.12).

Contro questa narrazione si pone, nel segno opposto dell’indifferenza e del disprezzo,l’”Homo Oeconomicus”, autocefalo e senza relazioni, autofago e onnivoro, che tutto consuma, trasformando in merce e in merce di rifiuti, persone e cose, valori e affetti, progetti e speranze.
Avvezzi come siamo a incorniciare l’”Evento-Incarnazione” nella composizione agropastorale del presepe, nessuno stupore viene più a farci visita; ancor meno ci tocca l’ondata rivoluzionaria per cui storia e trascendenza, finito e infinito, frammento e totalità, umano e divino sono una cosa sola. Tutto al più ci facciamo invadere dalla tenerezza nostalgica di un mondo-non-più.

In questa lettura bucolica e arcaica del Cristianesimo risiede la sterilizzazione dell’evento, incapace ormai a sovvertire i loschi connubi tra spiritualità e mercantilismo, universalità e localismo, filantropia e xenofobia, amore e odio. Sono, questi, matrimoni funzionali alla deriva liberista di una economia senza anima e di una politica senza etica, in Italia prima e più che nel resto del mondo.

 

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