Primo principio: “LA SARDEGNA E’ UNA NAZIONE”, di Piero Marcialis
DOCUMENTI PER IL NUOVO STATUTO DELLA SARDEGNA. Atti del seminario “Est ora, movè(m)us”, 9 giugno 2014, presso il Palazzo Viceregio a Cagliari.
Piero Marcialis legge la relazione.
Sono cosciente della importanza, difficoltà e complessità del tema che mi è stato assegnato. Tanto più importante in quanto se esso risultasse infondato verrebbero a cadere o non avrebbero lo stesso significato le ragioni che sottostanno alle altre relazioni.
Vale però anche il contrario e intendo giovarmene subito.
Che senso avrebbe ragionare sui temi che seguiranno se i sardi non fossero una nazione? E’ perchè lo siamo che siamo qui a parlare della nostra lingua, della nostra cultura, del nostro territorio, del nostro ambiente, della diversità e originalità nostra e del nostro ambiente, di come intendiamo rapportarci allo Stato italiano, di come intendiamo convivere con gli altri popoli dell’Italia e del mondo, della nostra tradizione democratica egualitaria e solidale, della nostra volontà di partecipazione con progetti e programmi all’Unione europea, anche come euroregione mediterranea.
E ancora che senso avrebbe che già quattro proposte di nuovo statuto dalle diverse parti politiche siano state avanzate, se non fosse ampio e generale il sentimento di essere nazione?
Vedete, la letteratura che di queste cose si occupa considera nazioni quelle che si sono costituite in Stato, come se prima non lo fossero. E’ un curioso punto di vista. E’ infatti vero il contrario: è perchè erano già nazioni che si sono poi costituite in Stato.
Sarebbe molto strano interpretare diversamente il fatto che dall’ultimo dopoguerra a oggi si è più che triplicato il consesso delle Nazioni Unite, cinquanta nazioni allora, oggi oltre centocinquanta. Chi è così ingenuo da credere che tante nazioni che prima non c’erano, sono tutte nate negli ultimi 70 anni?
Dobbiamo interrogarci invece su che cosa faceva sì che questi nuovi Stati fossero già da prima nazioni.
Non si tratta della grandezza del territorio che ospita un popolo, non si tratta neppure di quanto sia numeroso un popolo. Facciamo spesso l’esempio di Malta. L’abbiamo fatto soprattutto nel dibattito che precedeva le ultime elezioni europee: un paese più piccolo della Sardegna, molto meno abitato, elegge 6 europarlamentari, di diritto, mentre noi sardi abbiamo avuto il miracolo di eleggerne tre, ma più spesso ne abbiamo eletto nessuno.
La nazione maltese è stata considerata per molto tempo italiana e poi inglese, e a Malta si parla italiano e inglese, ma il maltese è oggi la lingua ufficiale.
Un elemento sembra emergere: una lingua diversa.
Il crollo dell’imperialismo, l’esplosione democratica nei paesi del mondo ha visto l’emergere di nuove nazioni dal dopoguerra ai nostri giorni: l’Algeria non era Francia. Altra lingua, altri costumi, altre tradizioni, altre fisionomie. Gli algerini erano a disagio in una scuola che insegnava loro che gli antenati erano alti, biondi e si chiamavano Galli. Altre origini, altra storia.
Abbiamo ricevuto pochi giorni or sono la visita degli amici della Corsica. All’amico corso che mi intervistava è piaciuta la critica (amichevole) che ho fatto ai suoi conterranei. Visiti la Corsica: e i corsi, se sei francese, fanno i francesi; se sei italiano, fanno gli italiani; se sei sardo, fanno i sardi. Ma perchè, gli ho detto, fingendomi arrabbiato, non mostrate la vostra vera identità? Infine per consolarlo ho confessato che anche noi facciamo lo stesso.
Perchè i corsi non si presentano per essere corsi e non francesi?
Perchè i sardi non si presentano per essere sardi e non italiani?
Senso di inferiorità? Vergogna di un popolo vinto? Di essere stati oggetto e non soggetto di trattative esterne, ai tavoli delle grandi potenze di ogni tempo?
Eravamo spagnoli per secoli e ora da poco più di un secolo e mezzo siamo italiani? O eravamo sardi allora e siamo sardi ancora?
Si può cambiare nazionalità a seconda di che cosa decidono altri?
L’essere nazione dipende solo dalla coscienza del popolo stesso.
Dante Alighieri premetteva questa frase alla Divina Commedia: incipit comoedia Dantis, florentini natione non moribus. Non è la citazione del certificato di nascita, sarebbe una banalità,
Dante, in esilio, non condividendo i costumi e la politica della sua patria, si definisce di nazionalità fiorentina.
Poteva fare diversamente? Lui che amava l’Italia e si doleva delle sue condizioni: serva Italia, di dolore ostello, nave senza nocchiero in gran tempesta…? Non poteva, non solo perchè Firenze era città-stato, come molti comuni italiani, ma più perchè sentimenti, lingua, tradizioni, origini, storia, facevano di lui un fiorentino e nessun altra cosa. La nazione Italia non esisteva e nessuno poteva pensare che Firenze potesse diventare tedesca o spagnola o francese a seconda di come sarebbero andate le guerre di allora.
I sardi hanno lingua, tradizioni, origini, storia, che li differenziano da tutti gli altri popoli? Io penso di sì.
Ma voglio fare l’avvocato del diavolo e dirò: ma quali sardi, quale lingua, se siamo pocos locos y mal unidos? Non siamo stati capaci di diventare Stato indipendente, non ne abbiamo la capacità, dunque non siamo nazione. Meglio nasconderci, vergogniamoci, cerchiamo un’altra patria. Siamo dei vinti, passiamo ai vincitori.
E’ vero siamo divisi: destra e sinistra, e dentro di esse italianisti e sardisti, e dentro questi autonomisti e federalisti e sovranisti e indipendentisti. Storie di sempre, che non intaccano l’essere nazione: guelfi e ghibellini, papisti e imperialisti, guelfi bianchi e guelfi neri… ma tutti fiorentini.
D’altra parte non è vero che sia l’essere Stato che fa una nazione, neppure parlare la stessa identica lingua, o avere un territorio che veda i nativi in assoluta maggioranza. La grande nazione indiana d’America è una nazione dispersa e in minoranza nel territorio che fu ancora suo appena cinque secoli fa, parlano linguaggi simili e diversi per singole tribù, così pure gli aborigeni australiani, colonizzati da poco più di duecento anni; e i curdi e i tanti che ancora si stanno affacciando alla ribalta della storia, oggetto di espropriazione e di repressione. Sono nazioni, e nessuna divisione al loro interno legittima qualcuno a dire il contrario.
Siamo stati vinti, è vero, ma non convinti, diceva Ciccitu Masala.
In noi sardi c’è qualcosa che ci accomuna, al di sopra di tutto, di tutte le divisioni. Ne ho accennato all’inizio, e con questo voglio anche arrivare alla conclusione: parlando di sentimento.
E’ questo che più di tutto fa di noi una nazione: il sentimento di appartenenza, il sentimento di essere sardi, un sentimento che in tanti è già diventato coscienza, in tanti altri lo sta diventando.
E’ un sentimento generale che scatta anche qui quando la nostra terra viene proposta per il nucleare, per le basi militari, per i giochi di guerra, per la chimica (nera o verde), per insediamenti misteriosi di piani principeschi, quando non si riesce ad avere collegamenti interni ed esterni degni di questo nome, a parità cioè di prezzi e di qualità, un sentimento che potremo definire di difesa del territorio, di difesa della patria, di difesa della dignità di un popolo.
E’ su questo sentimento che si fondano le nazioni.
Sentirsi nazione. Questo è fondamentale. E più di tutti lo sanno i sardi che lasciano la Sardegna, non solo gli emigrati (e sono un popolo), ma tutti, anche per poco tempo. Che succede quando nelle strade di Londra, o Parigi, o Milano, o Venezia, tu senti la voce di un sardo, di una sarda, la sua parlata o la sua cadenza?
Ho incontrato molte volte i circoli degli emigrati, in Italia e fuori, e anche singoli sardi isolati in grandi città d’Europa, è sempre c’è stata un’emozione vera, sopra qualsiasi cosa che potesse dividerci.
Ma posso dire di più, ho persino incontrato gente che sarda non era per nascita o per famiglia, ma che per qualche tempo, un’ ìnfanzia trascorsa qui, un matrimonio, un amore, una vaga parentela, vive la stessa emozione, vuole essere sarda, almeno nel cuore.
E’ un legame di quasi parentela che nasce dalla convivenza, da un rapporto con le persone o con la terra in cui hai vissuto. Badate bene, non parlo di un legame di sangue, biologico o razziale. Sarebbe troppo facile dimostrare che i sardi come nazione sono piuttosto meticci, pur mantenendo tracce preistoriche nel loro DNA. A leggere i nostri cognomi si sente aria di antica Roma, di Genova e Pisa, di Spagna e Catalogna, di isole vicine, di nord e sud-italia, eppure tutto questo non ci divide, anzi ci trova uniti, perchè sardi siamo diventati, sardi si diventa, nell’arco di secoli o di una generazione o di una vita. Nel corso di tante colonizzazioni la nazione sarda non si è convertita, ma ha convertito.
La Sardegna è una nazione. Ha diritto di dire la sua in quanto tale.
By Fabrizio Palazzari, 16 giugno 2014 @ 08:05
Bellieni parlava di “nazione abortita” e Lussu di “nazione mancata”. Ma i due fondatori del Psd’Az non sono stati, negli ultimi cento anni, gli unici a interrogarsi sul concetto di “nazione sarda” e a delinearne la sua trasposizione sul piano politico. In tanti altri lo hanno fatto, a volte con grande onestà intellettuale, molte altre cedendo, invece, ai richiami di un uso strumentale dello stesso.
Personalmente non ho mai considerato l’idea di “nazione sarda” come una categoria valida a rappresentare e interpretare la realtà della Sardegna di oggi. Però mi sono sempre interrogato su quale sarebbe potuta essere una valida categoria alternativa, individuando proprio in questa ricerca uno dei temi chiave della nostra contemporaneità.
Ecco quindi che questo testo di Piero Marcialis, intitolato “La Sardegna è una Nazione” , rappresenta a mio avviso un contributo molto importante in questo filone di ricerca. Perchè, pur partendo dall’idea di “nazione sarda” si addentra lungo un percorso nuovo, da esplorare e foriero di possibilità: quello della Sardegna come sentimento.