Solo una bella congiunzione astrale? di Salvatore Cubeddu

L’EDITORIALE DELLA DOMENICA (spostato al lunedì). Anche gli elettori italiani “mormoravano …”. I sardi ringraziano i siciliani. La vittoria del PD di Renzi: un nuovo 18 aprile (1948). Ha vinto la speranza in un credibile riformismo.  Anche per la Sardegna ritornano i problemi del 1948: ricostruzione economico-sociale ed autodeterminazione.

Ieri era il 25 maggio. L’anno prossimo, il 24 maggio 2015, ritorna il centenario dell’entrata dell’Italia nella prima guerra mondiale. Allora “il Piave mormorava…”, mentre i sardi andavano con gli altri europei a morire come mosche nelle trincee, i contadini ad ammazzare altri contadini, gli artigiani altri artigiani, gli studenti di qui gli studenti di lì, tutti contro tutti.

L’Unione Europea  è il punto di arrivo, cento anni dopo, del tentativo di esorcizzare l’inizio di quel ‘secolo breve’ seguito, appena vent’anni dopo, dalla seconda mattanza, stavolta soprattutto di cittadini inermi, inizio delle guerre moderne, quelle dove i soldati si salvano più dei civili.

Ieri è stata una bella giornata. Fabio Aru di Villacidro ha tagliato per primo il traguardo di Monte Campione mentre la telecamera di rai 1 inquadrava un quattro mori sventolante. Lo scatto in salita di Matteo Renzi e del PD ha ripetuto di notte quella salita alla vetta di un successo travolgente. Oggi sappiamo che al Parlamento europeo andranno anche tre sardi R. Soru del PD, S. Ciccu di F. I., G. Moi di 5stelle, contro tutte le aspettative e non solo per merito delle divisioni siciliane.

Ma: perchè un “sardo e sardista” dovrebbe gioire quando un evento inaspettato evita il caos italiano? Eppure tante volte abbiamo sperimentato che il bene dell’Italia non corrisponde necessariamente al bene della Sardegna, che il parlamento europeo conta ben poco e che … (nell’immediato passato i trionfi del ciclismo hanno spesso rivelato personaggi dopati)?

La risposta non è breve e dovremmo ritornarci, a proposito della non coincidenza del nostro bene con  quello degli italiani. Bisogna però subito riconoscere che la speranza è il connotato migliore e indispensabile di ogni buona politica, anzi la fiducia nel futuro rappresenta lo stigma principale dell’uomo politico. Grillo ha continuato con la solfa della ‘contestazione generale’, quella a cui evidentemente a suo tempo non aveva partecipato, e che invece avevano frequentato e superato non pochi di quei ‘vecchietti’ con i quali ora lui se la  prende perché alla sua ‘rivoluzione’ senza orizzonti preferiscono sperare ancora in un credibile riformismo fatto di un welfare includente ed efficiente all’interno della non facile e sfumante costruzione degli Stati Uniti d’Europa.

Secondo: questa campagna elettorale contiene i connotati dell’inizio della terza repubblica e ripropone molti degli stilemi dell’inizio della  prima, con le elezioni politiche vinte dalla DC contro le sinistre il 18 aprile 1948.

Non è vero quello che si dice e si scrive, di quella storia, a proposito del clima e dei comportamenti dei protagonisti delle prime elezioni dell’Italia repubblicana. Furono anni e mesi terribili, gli schieramenti si affrontarono senza esclusione di colpi, con la partecipazione di tutti gli ambiti della società allo scontro ideologico che coinvolgeva tutti gli aspetti personali e sociali, protagonista persino la Chiesa cattolica, che utilizzò le armi da sempre sperimentate (ad iniziare dalla scomunica), quando ancora quelle spirituali funzionavano. Vincere quella battaglia campale in un’Italia straziata dalla guerra e dal fascismo legittimò l’egemonia democristiana per i decenni successivi, come quella conclusa ieri, in uno stato devastato da vent’anni di berlusconismo, legittimerà il PD di Renzi nei tempi a venire. Anche allora la speranza e la ricostruzione vennero contrapposte, vero o falso non importa, all’irrealizzabilità del comunismo e ai suoi concreti e crudeli aspetti dittatoriali. Molto maggiori di quanto i dirigenti comunisti italiani di allora (e, in parte, tuttora) non ammettessero.

Il valore della libertà verso quello della giustizia vedeva anche altri popoli e nazioni dividersi sulle prospettive di lungo periodo. L’unico che si avviò positivamente, e che rimane come lascito ancora da portare a compimento, restano gli Stati Uniti d’Europa.

I ‘ sardi e sardisti’ nel 1948 si divisero, Lussu andò con le sinistre, seppure spesso accusato di anti-comunismo. Il Partito sardo chiese – osteggiato dal Pci e dalla Dc italiana – che la Fondazione Rockfeller, dopo la battaglia antimalarica, si occupasse anche della rinascita della Sardegna riproducendo da noi il modello della Silicon Valley. Sappiamo come andò a finire, con la classe dirigente sassarese che seppellì i lavori delle prime commissioni della rinascita con la scelta petrolchimica.

Il precipizio cui ci hanno condotto quelle scelte hanno fatto franare, a partire dal 1978, la prima autonomia ed hanno condotto la parte sensibile tra i sardi nella direzione di una nuova costituzione all’insegna della libertà e dell’autodeteminazione. Il successo del Pd e di Renzi aiuterà questo nostro percorso? Lo agevolerà o lo ostacolerà?

E’ almeno dalla metà degli anni sessanta del secolo scorso che si parla e si scrive di un  nuovo modello di sviluppo. Di autonomia da rifare i sardisti più attenti parlarono da subito. Negli ultimi vent’anni sono stati elaborati fuori dal Consiglio regionale  almeno sei nuovi statuti di autonomia. Ma, ora che Renzi si affretta nelle riforme istituzionali italiane, il nuovo quadro politico sardo  tace o dice cose più o meno risapute a proposito della sempreeterna riforma della Regione, sembra in imbarazzo nell’aprire alla società il necessario dibattito operativo, non mostra (se ce l’ha) l’idea di una Sardegna nuova da  esplicitare in una carta costituzionale.

Arriveremo ancora una volta in ritardo, ci lasceremo scavalcare, blatereremo scuse autoassolutorie quando non serviranno più a niente?

 

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