La crisi degli eurocrati, di Paul Krugman
New York Times – 23 maggio 2014 (introduzione e traduzione di Gianni Mula)
Quest’articolo di Paul Krugman sulla crisi europea è quanto di meglio per autorevolezza, indipendenza di giudizio e capacità di sintesi mi sia capitato di leggere. Le sue opinioni non derivano da alcun interesse personale o professionale. Il suo giudizio sull’élite politica europea è devastante: è gente che imbroglia, perché fa passare per scelte tecniche scelte di natura politica. Il fatto poi che lo faccia non per corruzione, tanto meno personale, ma per una malintesa fedeltà all’ideale europeo, rende l’imbroglio perfino più grave.
Krugman sa benissimo che non esistono scelte puramente tecniche e che i pareri degli esperti possono rivelarsi sbagliati: infatti ammette tranquillamente di aver sbagliato a credere che l’euro sarebbe crollato. E tra le righe dice sia di avere sottovalutato la capacità dell’élite europea di far quadrato a difesa dell’euro, sia di considerare positiva, a posteriori, questa scelta. Ciò che lo stupisce è però la stupidità di persistere nelle misure di austerità anche quando chiunque capirebbe che sono scelte sbagliate. È come se dicesse che vale la pena di correre rischi per salvaguardare la prospettiva di un’Europa unita, che si può sbagliare nel fare valutazioni complesse, ma che intestardirsi a ripetere gli stessi errori proprio non si può.
Questo dovrebbe essere anche il discorso che la grande maggioranza della classe politica italiana rivolge all’Europa, ma assistiamo invece a una guerra insensata di tutti contro tutti, soprattutto contro gli strati sociali più deboli, dal quale questi temi sono assenti, o ridotti a puri slogan. Tuttavia gli appelli di cui riferivo nella mia nota a La primavera dei banchieri mostrano con chiarezza che economisti consapevoli della complessità e dell’urgenza dei problemi ai quali si trova di fronte la costruzione europea ce ne sono tanti anche in Italia. Il problema è solo quello di spostare l’asse del dibattito dagli insulti (o dai vaniloqui) alle scelte politiche reali. E per far questo votare L’altra Europa con Tsipras (la mia scelta) oppure i Verdi mi sembrano le sole scelte responsabili. Che queste due liste non siano riuscite ad accordarsi è certamente spiacevole, ma il problema vero non è tanto il limite (probabilmente incostituzionale) del 4% quanto il riuscire a imporre che questi temi concreti siano al centro del confronto. Detto tutto il male possibile delle larghe intese le scorciatoie alla maniera dei cinquestelle non mi sembrano meno gravi, perché implicano che ricominciare da zero sia la maniera migliore per gestire una società industriale avanzata come quella contemporanea. Si può, e si deve, essere indignati per la corruzione e l’incapacità largamente diffuse nella nostra classe politica, ma condannarsi a ripartire da un’idea di democrazia della rete che sembra pensata da un concorrente del Grande Fratello mi sembra un suicidio. Pensiamoci.
Buona lettura!
Gianni Mula
Un secolo fa l’Europa si è dilaniata in un conflitto che una volta si chiamava la Grande Guerra – quattro anni di morte e distruzione su una scala senza precedenti. Quel conflitto è poi diventato la prima guerra mondiale – perché l’Europa lo ha rifatto daccapo un quarto di secolo più tardi.
Ma questo è successo tanto tempo fa. È difficile immaginare la guerra nell’Europa di oggi, che è unita intorno a valori democratici e ha anche mosso i primi passi verso l’unione politica. Mentre scrivo questa nota, infatti, si svolgono elezioni in tutta l’Europa non per scegliere i governi nazionali ma per selezionare i membri del Parlamento europeo. È vero che si tratta di un Parlamento con poteri molto limitati, ma la sua sola esistenza è un trionfo per l’idea europea.
Qualcosa tuttavia non funziona: i sondaggi indicano che una percentuale importante di voti andrà a partiti estremisti di destra ostili ai valori che hanno reso possibile queste elezioni europee. Mettiamola così: alcuni dei più grandi vincitori delle elezioni in Europa saranno probabilmente persone che nella crisi dell’Ucraina stanno dalla parte di Vladimir Putin.
La verità è che il progetto europeo – la pace garantita dalla democrazia e la prosperità – è in forti difficoltà. Il continente è ancora in pace, ma su prosperità e democrazia i conti non tornano. E, se non tornano per l’Europa, sarà una brutta faccenda non solo per l’Europa stessa ma per il mondo intero.
Perché l’Europa è nei guai? Il problema immediato è la sua scarsa crescita economica. L’euro, moneta comune europea, che avrebbe dovuto essere la tappa culminante del processo di integrazione economica del continente si è trasformato di fatto in una trappola. In primo luogo perché ha creato un pericoloso auto-compiacimento che ha portato gli investitori a riversare enormi quantità di denaro nel Sud dell’Europa, senza preoccuparsi dei rischi. Poi perché, quando la bolla è scoppiata, i paesi debitori si sono trovati nell’impossibilità di uscire dalla stagnazione, e di riguadagnare la competitività perduta, senza anni di disoccupazione al livello della Grande Depressione.
I problemi strutturali dell’euro sono stati aggravati dalla cattiva politica dei leader europei che hanno insistito, e continuano a insistere, contro ogni evidenza, che la crisi è tutta una questione di irresponsabilità fiscale [cioè di bilanci statali fuori equilibrio, NdT], e hanno imposto un’austerità selvaggia che non fa che rendere la crisi ancora più grave.
In questo quadro plumbeo una specie di buona notizia è che, nonostante tutti questi passi falsi, l’euro è ancora in piedi, sorprendendo molti analisti – me compreso – che si aspettavano il suo crollo. Perché questa inaspettata resistenza? Parte della risposta è che la Banca centrale europea ha calmato i mercati promettendo di fare “tutto il possibile” per salvare l’euro, fino all’acquisto di titoli di Stato per impedire ai tassi di interesse di salire troppo. Ma c’è anche il fatto che l’élite europea rimane profondamente impegnata nel progetto, e nessun governo ha finora voluto rompere le righe.
Il prezzo di questa coesione dell’élite è però una distanza crescente tra governanti e governati. Stringendo le fila l’élite ha in effetti rassicurato che non ci sono voci moderate che dissentono dalla linea di politica economica comune adottata [leggi Fiscal Compact, NdT]. Ma questa mancanza di dissenso moderato ha rafforzato gruppi come il Fronte Nazionale in Francia, il cui candidato per il Parlamento europeo denuncia “l’élite tecnocratica al servizio dell’oligarchia finanziaria americana ed europea”.
L’amara ironia è che l’élite europea non è una tecnocrazia. La creazione dell’euro è stata una decisione politica e ideologica, presa senza un’attenta analisi economica (che avrebbe suggerito fin dall’inizio che l’Europa non era pronta per la moneta unica). Lo stesso si può dire della scelta dell’austerità: tutte le ricerche economiche che sono servite per giustificare l’austerità sono state screditate, ma le misure adottate sono rimaste le stesse.
L’abitudine dell’élite europea di far passare come scelte tecniche decisioni ideologiche, di far finta cioè che quello che si vuol fare è ciò che deve essere fatto, ha di fatto creato un deficit di legittimità. L’autorevolezza di un’élite si può basare solo sulla presunzione di una competenza superiore; se questa presunzione si rivela infondata non c’è niente su cui ripiegare.
Finora, come ho detto, l’elite è stata in grado di evitare il peggio. Ma non sappiamo per quanto tempo questo può bastare, e c’è gente molto preoccupante che aspetta il passo falso finale.
Se siamo fortunati – e se i funzionari della Banca centrale europea che, rispetto al resto dell’élite, sono certamente tecnocrati veri, agiscono con efficacia contro la crescente minaccia di deflazione – possiamo avere qualche speranza di una ripresa economica reale nel corso dei prossimi anni. Ciò potrebbe, a sua volta, dare qualche possibilità per il rilancio del progetto europeo.
Ma la ripresa economica da sola non è abbastanza; l’élite europea ha bisogno di ricordare ciò per cui il progetto è nato. É terrificante vedere tanti europei che respingono i valori democratici, ma almeno una parte della colpa spetta a funzionari che sembrano più interessati alla stabilità dei prezzi e all’equilibrio del bilancio che alla democrazia. L’Europa moderna è costruita su un’idea nobile, ma è un’idea che ha bisogno di più difensori.
(Traduzione di Gianni Mula)