La primavera dei banchieri, di Paul Krugman
Articolo apparso sul New York Times il 19 maggio 2014. Con una nota di Gianni Mula
Questo commento di Paul Krugman dovrebbe risultare particolarmente interessante per i lettori italiani perché riguarda l’ex-segretario al Tesoro del primo governo Obama, Timothy Geithner. Sì, proprio colui che in un libro appena pubblicato ha parlato di manovre internazionali, a livello almeno di funzionari della Commissione europea, tese a favorire la caduta dell’ultimo governo Berlusconi. Ma mi guardo bene dall’entrare nelle polemiche che ne sono seguite. Mi limito invece a segnalare il giudizio impietoso che Krugman dà del personaggio Geithner, descritto come un opportunista al servizio delle banche e della grande finanza internazionale.
Converrebbe riflettere su queste valutazioni di Krugman, e sui comportamenti dei vari personaggi che hanno svolto ruoli importanti nella politica economica dei governi italiani di questi ultimi anni. Molti sono personaggi moralmente indistinguibili da Geithner, e tutti sono comunque al servizio di una politica economica per la quale salvare le banche dai loro errori di gestione è più importante che aiutare le famiglie e soprattutto i giovani a sopravvivere alla crisi.
Bisognerebbe farlo soprattutto per ricavarne indicazioni sul voto da dare alle prossime elezioni europee. Perché una cosa dovrebbe a questo punto essere chiara a tutti coloro che seguono gli avvenimenti economici con un minimo di attenzione: in Europa la contrapposizione non è tra due correnti di studiosi di economia ma tra la tecnocrazia neoliberista sostenuta dai governi di larghe intese e un populismo antieuropeo che gioca la carta dell’anti-politica. È per questa ragione che in generale, in tutto il mondo occidentale, le leve dell’economia non sono affidate in ragione della competenza economica ma della disponibilità a non turbare gli equilibri di potere esistenti (a favorire i capitalisti, avrebbe detto Marx). In altre parole ciò che più conta è garantire il mantenimento, a qualunque costo, del sistema di potere finanziario oggi esistente. È chiarissimo che cosa bisognerebbe fare per uscire dalla crisi ma l’intera classe politica di maggioranza e quasi tutta quella di opposizione non hanno la minima intenzione di farlo, nemmeno di fronte al pericolo reale di distruzione delle speranze, e della vita, di un’intera generazione.
Quest’analisi è confermata da due appelli elettorali diversi, ma non in contrapposizione e con molti punti di contatto tra di loro, i cui firmatari raccolgono, nel loro insieme, il meglio degli studiosi di economia attualmente operanti nelle università e negli enti di ricerca. Il primo è “Un appello per il cambiamento“, promosso da Progressive Economy, centro studi legato al Gruppo dell’Alleanza dei Socialisti e democratici presso il Parlamento europeo, e sottoscritto da numerosi economisti ed intellettuali di spicco, tra cui Stiglitz, Fitoussi e Galbraith. L’appello così conclude: «In Europa, la crisi ha colpito duramente la società e ha rivelato le debolezze della sua attuale architettura politica. Si è arrivati a ciò anche a causa di alcune delle risposte politiche più conservatrici e più inefficaci che siano state attuate nei decenni. Noi crediamo che ci sia una via d’uscita, a condizione che le carenze del sistema attuale e gli errori politici fatti siano onestamente e correttamente identificati e superati. Ciò potrebbe dare l’opportunità per un nuovo approccio capace di costruire una società europea più egualitaria, prospera, ecologicamente responsabile e stabile. Un tale modello potrebbe, a sua volta, influenzare il modo in cui il mondo intero si evolverà nei prossimi decenni».
Il secondo appello è “Un’altra strada per l’Europa” (promosso dalla Rete europea degli economisti progressisti (Euro-pen), di cui fa parte il gruppo italiano Sbilanciamoci!, e rilanciato dal sito di Adista), che si articola su cinque temi chiave: fermare l’austerità, controllare la finanza, promuovere il lavoro, ridurre le disuguaglianze ed estendere la democrazia. L’appello chiede ai cittadini, alla vigilia delle elezioni del 25 maggio, «di sostenere quest’altra strada per l’Europa e di votare per quei candidati e forze politiche» che si impegnano a promuoverla: «L’emergere di una coalizione progressista nel nuovo Parlamento europeo – si legge nell’appello – sarà essenziale per evitare che continuino le politiche fallimentari delle “grandi coalizioni” tra centro-destra e centro-sinistra, attualmente al potere in molti Paesi europei».
A sinistra del Pd – e tra il Pd e Grillo – c’è infatti uno spazio politico che può e deve essere esplorato, ben oltre le vecchie appartenenze, per sottrarsi consapevolmente al ricatto politico rappresentato da tanti figuri come Timothy Geithner che, dal profondo della loro disponibilità ai più bassi servizi, vorrebbero convincerci che non c’è alternativa all’obbedire ai mercati.
Buona lettura!
Gianni Mula
La politica economica perseguita dal governo americano sin dall’inizio della crisi finanziaria si è rivelata un fallimento, da qualunque punto di vista la si guardi. È vero che in un certo senso si sono evitati gli estremi della Grande Depressione del ’29, ma i livelli di occupazione ci hanno messo più di sei anni per tornare ai valori pre-crisi – anni nei quali avremmo invece avuto bisogno di aggiungere altri milioni di posti di lavoro solo per tenere il passo con l’aumento della popolazione. La disoccupazione di lunga durata è ancora quasi tre volte quella del 2007; il futuro dei giovani, che spesso hanno anche il peso dei debiti universitari, è molto incerto.
Ora Timothy Geithner, segretario al Tesoro per quattro di questi sei anni, ha pubblicato un libro “Stress Test” (Prova da sforzo), su questa sua esperienza. E, ci dice, pensa di aver fatto un lavoro maledettamente buono.
Geithner non è certo l’unico ad auto-lodarsi. Ad esempio i politici europei, con un’economia nella quale l’occupazione ha appena iniziato a dar qualche segno di ripresa e con un certo numero di paesi ancora in profonda depressione, hanno ancora meno di cui vantarsi. Eppure si scambiano pacche sulle spalle congratulandosi reciprocamente.
Come si faccia ad essere soddisfatti di risultati oggettivamente così scarsi è un mistero. Certo è nella natura umana cercare scuse, e sostenere di aver fatto il meglio possibile, date le circostanze. E Geithner può anche, con qualche ragione, dare molte colpe (ma non certo tutte) al pesante e sistematico ostruzionismo del partito repubblicano.
Ma c’è anche qualcos’altro. Sia in Europa che in America, la politica economica è stata in gran parte governata secondo lo slogan “Salva i banchieri per salvare il mondo ” – cioè ripristina la fiducia nel sistema finanziario e la prosperità non mancherà di arrivare. Puntualmente le varie politiche governative hanno ristabilito la fiducia nel sistema finanziario. Ma stiamo ancora aspettando la prosperità.
Gran parte del libro di Geithner è dedicato alla difesa del piano di salvataggio finanziario attuato dal governo americano, salvataggio raccontato come una storia di grande successo – cosa vera, se si considera la fiducia dei mercati come fine in sé. Ad esempio il mercato del credito, che era andato a picco dopo il fallimento della banca d’affari Lehman, è tornato praticamente alla normalità già durante il primo anno del mandato di Geithner. Gli indici di borsa sono risaliti e hanno fatto segnare nuovi primati. Anche i mutui subprime – i famigerati “rifiuti tossici” che stavano avvelenando il sistema finanziario – sono riusciti finalmente a riacquistare una parte significativa del loro valore.
Grazie a questo recupero finanziario il salvataggio di Wall Street non è nemmeno costato troppo ai contribuenti: perché il pieno riavvio dell’attività ha consentito alle banche di rimborsare i loro prestiti e ha consentito al governo di vendere le sue partecipazioni con profitto.
Ma dov’è la ripresa dell’economia reale? Dove sono i posti di lavoro? Il salvataggio di Wall Street, a quanto pare, non è bastato. Perché?
Un motivo della lentezza della ripresa è che l’attenzione è passata troppo presto dai posti di lavoro al deficit di bilancio. Geithner nega di aver avuto in questo alcuna responsabilità perché, dice, “Io non ero un austeriano”. Secondo lui l’amministrazione ha fatto tutto ciò che era possibile di fronte all’ostilità dell’opposizione repubblicana. Secondo la stampa indipendente, invece, Geithner ridicolizzava lo stimolo fiscale come “uno zuccherino ” che non avrebbe prodotto alcun beneficio a lungo termine.
Ma l’austerità fiscale non è stata la sola ragione di una ripresa così deludente. Secondo molti analisti l’elevato onere del debito per la casa, retaggio della bolla immobiliare, è stato un grande freno per l’economia delle famiglie. E l’amministrazione Obama, anche senza l’approvazione del Congresso, avrebbe potuto fare un sacco di cose per ridurlo. Ma non lo fece; non spese nemmeno i fondi specificamente destinati a tale scopo. Perché? Secondo la maggior parte dei pareri proprio per l’opposizione costante di Geithner alla riduzione del debito ipotecario – lui era sempre a favore del salvataggio delle banche, e sempre contro il salvataggio delle famiglie.
“Stress Test” afferma che nessuna riduzione del debito ipotecario avrebbe potuto fare molto per rilanciare l’economia. Ma un libro appena pubblicato (“House of debt“) dei maggiori esperti su questo tema, gli economisti Atif Mian e Amir Sufi, sostiene il contrario. E, come Mian e Sufi sottolineano sul loro blog, l’aritmetica di Geithner sulla questione è sbagliata in maniera strana per un professionista – sbagliata di un ordine di grandezza – e dà molto meno peso al ruolo del debito nel frenare la spesa privata di quanto non preveda il consenso unanime degli esperti nel campo. E non tiene nemmeno conto degli ulteriori benefici che sarebbero venuti da una forte riduzione dei pignoramenti.
Dal 2008 in poi si vede, tirando le somme, che la politica economica perseguita dal governo è sempre stata una storia di due pesi e due misure. Nel campo del credito le sofferenze significano sempre errori da ambo i lati – se i mutuatari non avessero colpe, non li avrebbero le persone che gli prestano il denaro. Ma quando è arrivata la crisi, i banchieri sono stati considerati senza colpe, e quindi le famiglie hanno dovuto pagare l’intero costo.
Ora si scopre, dal libro di Geithner, che il rifiuto di aiutare le famiglie in crisi non era tanto slealtà quanto cattiva economia. Wall Street è tornata ai livelli di prima della crisi, ma l’America no, e la causa principale di questa differenza sta nel fatto che sono stati applicati due pesi e due misure.
(Traduzione di Gianni Mula)