I TRASPARENTI, di Salvatore Cubeddu

L’EDITORIALE DELLA DOMENICA. Monumenti aperti, a Cagliari e nei paesi: la bellezza di essere civis di una civitas. Sa brigunza: stipendi e vitalizi, lo scandalo, partito dalla Sardegna è ritornato in Sardegna.

Dai monumenti i visitatori escono sorridenti: due giorni a ripercorrere i segni della propria storia e Cagliari si scopre civitas. La città non è solo strade, case e uffici. E’ piuttosto relazione, coscienza di un comune destino, con il tempo presente che vive del passato e prepara il futuro. Dove il cittadino trascorre le sue  opere e i suoi giorni consapevole dei valori che lo inglobano e lo superano, lo costruiscono discendente di una famiglia ma pure costruttore di società, responsabile di qualcosa che lo trascende ed esalta senza fargli mettere da parte se stesso e i suoi più prossimi.

Mi consolano, queste facce compiaciute, alla fine di una settimana in cui personalità delle istituzioni sarde sono messe alla berlina nelle prime pagine dei più importanti giornali italiani. Brigunza!!! Il cerchio chiude la vicenda delle regioni italiane amministrate ad umma umma, con lo scandalo partito dalla Sardegna e ritornato in Sardegna. Questi non puoi lasciarli soli e incustoditi, un istante, perché si nascondono e ne approfittano: non possono non essere queste le conclusioni di ciò che abbiamo visto e saputo; e del modo, soprattutto, di come il tutto è successo. Assolutamente incomprensibile e inaccettabile la gestione ultima della vicenda! Il nuovo è sembrato difendere il vecchio. Per la prossima puntata: quanto tempo ci metteranno, i vitalizi, a tornare?

Possono essere tante le spiegazioni dell’insipienza della nostra classe dirigente, di quelle (all’incirca, secondo un autorevole osservatore) cinquecento persone che in Sardegna si arricchiscono di politica. Non ci sono differenze di età, di origine sociale, di professione e, soprattutto, di appartenenza partitica: l’aurei sacra fames fa strage, totale, e dappertutto. Ci piacerebbe, ma non ne conosciamo neanche un solo caso che i media possano citare, di un parlamentare a Cagliari o a Roma che abbia rinunciato o si sia autoridotto lo stipendio sponte sua, prima dell’arrivo dei grillini. Addirittura si è arrivato al punto di farci credere che il consigliere regionale non potesse rinunciare a quanto definito nei regolamenti.

Il fatto è che l’arrivo in parlamento, sardo o romano non importa, viene visto come un diritto alla ricchezza. Come nei paesi sottosviluppati, mi è già capitato di scrivere. Quale segnale di un’ascesa sociale che, con il mandato popolare, innalza l’eletto sopra il popolo. Il reddito viene considerato un dato scontato: arrivano in questi giorni voci di consiglieri secondo le quali loro non sapevano neanche quanto guadagnassero. C’è da credere che, per chi lungo i venti anni ha guadagnato il triplo di quegli ormai 5000 euro di vitalizio, questo nuovo reddito appaia tuttosommato una somma modesta. Senza porsi la normale domanda: modesta rispetto a chi?

Nel giugno del 2012, nel comitato dei garanti istituito dai vincitori dei 10 referendum, tra i quali quello che cancellava gli emolumenti ai consiglieri, proposi che si individuasse quale referente per i nuovi stipendi dei consiglieri regionali il reddito medio dei cittadini sardi moltiplicato per un numeratore che, per fare un esempio, individuavo  nel moltiplicatore 3: lo stipendio del parlamentare sardo varierebbe con il variare della media degli stipendi dei sardi. Con tale moltiplicatore immaginavo che il loro reddito mensile netto (tolti i contributi ed i rimborsi per le spese) dovesse aggirarsi nell’ordine dei 4.000/5.000 euro al mese. La proposta fu ascoltata con attenzione, ma non ci furono conseguenze. Lo giustificai a me stesso vedendo che, tra i partecipanti,  una buona parte era costituita da ordinari universitari i quali, probabilmente, già superavano quella somma.

Ma, a me interessava il referente di quella scelta: quale deve essere il parametro dello stipendio di chi rappresenta il popolo se non il reddito del popolo stesso?

Il popolo, allora. E ai nostri parlamentari sardi interessa sul serio il popolo sardo?

Colpisce, di parte significativa (ma ci sono eccezioni illuminanti) dei 371 consiglieri regionali di cui ora conosciamo lo stipendio, la loro scomparsa dal protagonismo civile una volta conclusa la carriera in consiglio. Sono diventati trasparenti. Perché non li incontra o conosce più nessuno se non la ristretta cerchia dei familiari e dei paesani/concittadini? E’ come se fossero diventati senza peso. Come se, sotto il loro ben retribuito ruolo, non restasse niente. Che, in taluni casi, le capacità personali e/o professionali scomparissero o non ci fossero mai state. Oppure, che il vitalizio si legasse ad una ritirata redditiera, allo stesso modo con il quale, fino ad una settantina di anni fa, taluni proprietari di terre dei nostri paesi non si abbassavano a lavorarla. Il potere come rendita. Qualcosa individuabile pure nel mondo universitario e, tradizionalmente, presso l’alto clero sardo.

La Sardegna, per molti di quei cinquecento politici arricchiti, evidentemente  non entra nel calcolo delle loro passioni. Dolore e gioia non si motivano, nell’intimo come nelle loro azioni di ogni giorno, con le vicende presenti del proprio popolo. Anzi: si ha l’impressione che intendano arrivare lassù per sfuggire, di quelle vicende, gli aspetti più crudi e impegnativi.

Invece, la grandezza della politica, soprattutto in Sardegna, si collega alla grandezza del popolo sardo. Una grandezza che incuriosiva ed inorgogliva quei ragazzi, le mamme e gli uomini che uscivano sorridenti dal museo archeologico dopo essersi soffermati sulle statue di Monti Prama. Nell’orto botanico. Di fronte al retablo di una chiesa. E soprattutto: vivendo per due giorni la bellezza di essere civis di una civitas.

 

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