IL MOVIMENTO DI GESU’, di Claudio Gianotto

Lo studio del movi­mento di Gesù da un punto di vista sociologico. In CONCILIUM,  rivista internazionale di teologia, 3/2003, numero interamente dedicato a ‘ i movimenti nella Chiesa, a cura di A. Melloni.

Risale al 1977 il vo!umetto di .G. Theissen, Soziologie der Jesusbewegung [Sociologia del movimento di Gesù]‘, che in­troduceva nell’ambito degli studi neotestamentari, allora pre­valentemente dominati dall’impostazione bultmanniana, in­centrata sul kerygma e su di una ermeneutica di stampo esistenzialistico, un concetto – quello di movimento sociale ­derivato da una disciplina, la sociologia, che non aveva fino ad allora trovato estimatori particolarmente entusiasti tra gli studiosi della Bibbia, tutti seguaci convinti del metodo stori­co-critico, e lo aveva utilizzato per interpretare l’attività pub­blica svolta da Gesù negli ultimi anni della sua vita e le origini del cristianesimo.

 

1/ IL CONTESTO: LA THIRD QUEST DEL GESÙ STORICO

 

In quel momento, negli studi storici su Gesù, imperava ancora la cosiddetta new quest, inaugurata nel 1953 da E. Ka­semann con un discorso tenuto agli ex allievi della Facoltà di teologia di Marburgo, dove Bultmann aveva insegnato fi­no al 1951, e pubblicato l’anno successivo con il titolo: Das Problem des historischen Jesu [Il problema del Gesù della sto­ria]‘. In questo discorso, E. Kasemann, lui stesso ex allievo di Bultmann, prende le distanze dalla posizione del maestro, il quale, dal punto di vista storico, aveva mostrato uno scet­ticismo radicale sulla possibilità di scrivere una biografia di Gesù e, dal punto di vista teologico, l’aveva ritenuta del tut­to irrilevante, in quanto la fede cristiana, suscitata dalla Pa­rola, non ha bisogno di fondarsi sul Gesù terreno, storica­mente presentato e ricostruito; anzi, ne deve prescindere per conservare la sua purezza e integrità. La critica di Kasemann è duplice. Dal punto di vista teologico, egli sottolinea come lo stesso kerygma cristologico mantenga uno stretto legame con il Gesù storico: l’interesse per la vicenda terrena di Ge­sù era costitutivo della fede dei primi cristiani e i vangeli stessi postulano l’identità del Risorto con il Gesù prepasquale. Se è vero che non è possibile scrivere una biografia di Ge­sù nel senso moderno del termine, bisogna, però, fare atten­zione a non sganciare la fede cristiana dalle sue radici sto­riche ed evitare il rischio di cadere in una sorta di docetismo, dove Gesù Cristo sarebbe ridotto ad un puro simbolo e l’evento della croce privato del suo significato fondamen­tale. Sul piano più propriamente storico ed esegetico, Kàse­mann, contro lo scetticismo introdotto dalla Formgeschichte ap­plicata all’analisi dei vangeli e condiviso da Bultmann, si di­mostra più ottimista quanto alla possibilità di ritrovare, nel­la documentazione giunta fino a noi, almeno alcuni dei det­ti autentici di Gesù, che permettono di ricostruire in modo storicamente attendibile – almeno a grandi linee e dal pun­to di vista della sostanza, se non da quello della forma – il suo insegnamento e gli eventi principali della sua vicenda terrena.

Anche se, di fatto, ribaltava le posizioni bultmanniane, al­lora sicuramente dominanti nella cultura teologica ed esege­tica europea, il progetto di Kasemann restava profondamen­te influenzato da problematiche di tipo teologico. L’esigenza di ritrovare, almeno in nuce o in forma implicita, il kerygma cristologico già nella predicazione del Gesù prepasquale por­tava a concentrare 1′attenzione e ad orientare gli sforzi per dimostrare quella continuità tra il Gesù predicatore e il Ge­sù predicato, che Bultmann aveva risolutamente negato e che ora veniva cercata, mantenendo le prospettive ermeneutiche esistenzialistiche utilizzate da Bultmann stesso, nella conti­nuità tra la comprensione dell’ esistenza del Gesù terreno e quella del kerygma delle prime comunità cristiane’. E chiaro come un’impostazione di questo genere fosse orientata a con­siderare l’attività e l’insegnamento di Gesù all’interno di un orizzonte essenzialmente teologico e religioso e, ossessionata dalla volontà di eliminare la frattura tra Gesù storico e kerygma, sancita da Bultmann, finisse inevitabilmente per spostare ta­le frattura più a monte, tra Gesù e il giudaismo del suo tem­po. Il privilegio accordato, in questo contesto, al criterio di discontinuità nell’identificazione dei detti e dei fatti autentici della vicenda terrena di Gesù portava ad insistere sull’ eccezionalità ed unicità del personaggio e sulla singolarità e as­soluta novità del suo insegnamento, che venivano così isola­ti e sradicati dal loro contesto storico e sociale, per sancire quella continuità ideale nella comprensione dell’ esistenza che permetteva di collegare il Gesù terreno e il suo insegnamento con la fede e l’annuncio kerygmatico della comunità primitiva. È chiaro che, in questo modo, negli studi su Gesù ti­pici della new quest ogni spazio era precluso a considerazioni non soltanto di tipo sociologico, ma anche di tipo più pro­priamente storico.

Si capisce, dunque, come la pubblicazione di un volume come quello di Theissen abbia scosso le acque, altrimenti cal­me e forse anche un po’ stantie, della ricerca storico-esege­tica su Gesù e sulle origini del cristianesimo, inducendo a ri­flettere sulle nuove prospettive che questo tipo di approccio apriva e sulla possibilità di impostare il problema storico di Gesù su basi nuove e con strumenti di indagine diversi. In realtà, il volume di Theissen fu accompagnato, a partire da­gli anni Settanta del Novecento e ancor più nei decenni suc­cessivi, da tutta una serie di saggi e studi sul problema, che inaugurarono una nuova fase della ricerca storica su Gesù, la cosiddetta third quest, caratterizzata principalmente dalla volontà di riportare il personaggio storico di Gesù all’inter­no del giudaismo e dell’ ambiente storico e sociale in cui ave­va operato; dall’ampliamento della base storico-documentaria della ricerca stessa (scavalcando i confini troppo stretti delle fonti letterarie e, all’interno di queste ultime, degli scritti ca­nonici); dall’adozione di nuovi metodi di approccio al pro­blema e di analisi delle fonti, mutuati dalle scienze umana, in particolare dalla sociologia e dall’ antropologia. E all’inter­no di questo nuovo contesto che sono nati e si sono sviluppati gli studi sul movimento di Gesù,l di chi il volume di Theissen, che abbiamo citato in apertura, costituisce uno degli esempi più significativi, non fosse altro perchè riporta esplicitamente, nel titolo stesso, il termine Jesusbewegung.

 

III.   ALLE ORIGINI DELL’ ANALISI SOCIOLOGICA DEL MOVIMENTO DI GESÙ

In realtà, la prospettiva sociologica aveva fatto il suo in­gresso nello studio delle origini cristiane fin dall’inizio del XX secolo. Un punto di riferimento importante è rappresen­tato dal volume di K. Kautsky, Der Ursprung des Chrisien­tums. Eine historische Untersuchung [L'origine del cristianesi­mo. Una ricerca storica]‘ (1908). Kautsky si era formato alla scuola dell’evoluzionismo scientifico della seconda metà del­l’Ottocento, aderendo entusiasticamente al darwinismo nelle sue varie applicazioni sociali; in seguito aveva incominciato a studiare seriamente Il capitale di K. Marx, diventando, nei due decenni precedenti la Grande Guerra, l’ideologo più im­portante della socialdemocrazia tedesca. Egli guarda alle ori­gini del cristianesimo con l’occhio del militante nella lotta del proletariato moderno e analizza il fenomeno sulla base del­la concezione materialistica della storia teorizzata dal marxi­smo. Egli definisce il cristianesimo primitivo come «un mo­vimento di strati nullatenenti di vario genere, che possono essere unificati sotto il nome di proletarie”. Questo carattere di classe. sarebbe attestato da vari elementi: l’odio dei pove­ri e degli oppressi contro i ricchi, testimoniato, in particola­re, dal Vangelo di Luca e dalla Lettera di Giacomo; la primiti­va comunione dei beni; il disprezzo del lavoro, inteso come strumento di oppressione, e la costituzione di una comunità che, sulla falsariga di quella essenica, comportò la distruzio­ne del matrimonio e del vincolo familiare. Kautsky sottoli­nea ripetutamente la forza organizzativa del più antico comunismo cristiano. La forza di Gesù stesso dovette essere so­prattutto di tipo organizzativo e proprio la coesione della più antica comunità spiegherebbe certe credenze, come quella nella risurrezione del fondatore. La proclamazione della risur­rezione di Gesù, dopo la sua crocifissione, portò alla sua identificazione con il messia atteso dal proletariato giudaico, un messia, però, denazionalizzato e presentato come una sor­ta di redentore universale, capace di rispondere al bisogno di riscatto di tutti i popoli oppressi. Così, il movimento ben presto riuscì a varcare i confini della Palestina e trovò acco­glienza anche tra gli strati proletari del mondo pagano. Do­po la caduta di Gerusalemme alla fine della insurrezione an­tiromana del 66-70, il cristianesimo perdette progressivamen­te i caratteri di movimento proletario e comunistico, per aprir­si alle classi ricche e colte e diventare alla fine una religio­ne spirituale e clericale”.

Ritroviamo, dunque, già agli inizi del Novecento, l’ap­plicazione del termine “movimento” al cristianesimo primiti­vo. E questo non deve stupire, perché fu proprio a partire dalla seconda metà dell’Ottocento che entrò in uso l’espres­sione “movimento sociale” per indicare una qualche forma di comportamento collettivo diretto a modificare o trasfor­mare in modo più o meno radicale l’ordine sociale esisten­te, sulla base di una determinata ideologia e con l’impiego di una qualche forma di organizzazione e, ovviamente, tale espressione fu applicata in primo luogo al neonato movi­mento operaio. Una volta entrata nell’uso comune, la termi­nologia poteva poi trovare utili applicazioni anche nell’ana­lisi dei fenomeni religiosi.

Nello stesso anno 1908 si registra la pubblicazione di un altro volume, quello di A. Deissmann, Licht vom Osten [Lu­ce dall'Oriente]‘. Lo studioso tedesco aveva cercato, sulla ba­se di uno studio della lingua degli scritti neotestamentari, di stabilire a quale ceto sociale appartenessero i primi cristiani. L’indubbia somiglianza che la lingua del Nuovo Testamento presentava con quella delle iscrizioni, dei papiri e degli ostraka provenienti dal mondo greco-romano contemporaneo e ve­nuti alla luce soprattutto in Egitto, grazie alle ricerche e agli scavi di due instancabili archeologi, B.P. Grenfell e A.S. Hunt, alla fine del XIX secolo, induceva a pensare che i due com­plessi documentari riflettessero un comune ambiente sociale, che, come suggerivano i testi non letterari, non poteva che essere quello dei contadini e degli artigiani, dei soldati e de­gli schiavi, di gente per lo più semplice e incolta. Le con­clusioni furono che il Nuovo Testamento era stato composto non in una lingua speciale, come avrebbe potuto suggerire la natura divinamente ispirata degli scritti, e neppure nella lingua colta, propria degli scritti letterari, bensì nella lingua popolare e parlata del tempo, usata prevalentemente nelle co­municazioni quotidiane da persone semplici e incolte, di bas­sa condizione sociale. I primi cristiani, dunque, provenivano prevalentemente dai ceti medio-bassi della compagine socia­le; ed essi si contrapponevano all’antica cultura “alta” come movimento degli strati subalterni. Deissmann, dunque, giun­ge a conclusioni analoghe a quelle di Kautsky, riconoscendo nei primi cristiani i rappresentanti delle classi sociali subal­terne, benché se ne discosti sottolineando il carattere pretta­mente religioso del movimento cristiano, a fronte dell’insi­stenza di Kautsky sull’elemento del conflitto classista tra schia­vi e padroni.

In questo contesto vanno segnalati, sull’altra sponda del­l’Oceano, i lavori di Sh.J. Case, della cosiddetta “Scuola di Chìcago’”, in particolare The Evolution oJ Early Christianity [L'e­voluzione del cristianesimo primitivo] (1914) e The Social Ori­gins oJ Christianity [Le origini sociali del cristianesimo] (1923)10. Case contesta ai teologi – soprattutto protestanti – del suo tempo, di assolutizzare gli scritti protocristiani e tutta quanta la Bibbia, astraendoli dai loro rispettivi contesti storici e sociali. A questa impostazione, tipica degli ambienti accade­mici e universitari in primo luogo tedeschi, Case contrappo­ne l’indagine storico-sociale, che privilegia gli ambienti e la società che tali scritti hanno prodotto. E spiega le idee, i va­lori e le azioni dei primi cristiani come altrettante risposte a “bisogni” palesi della società del tempo.. . .

In realtà, però, l’utilizzazione dei metodi e degli strumenti predisposti dalle scienze sociali dell’esegesi biblica suscitò scarso interesse almeno per i primi tre quarti del XX secolo. Gli esegeti rimanevano interessati principalmente alla di­mensione letteraria e formale dei testi e ai loro contenuti teo­logici; inoltre l’ermeneutica imperante, di tipo esistenzialisti­co ed individualistico, lasciava poco spazio alle problemati­che di tipo sociale. Ma l’ostacolo maggiore era probabilmente rappresentato da un timore di fondo” quello del riduzio­nismo, cioè della tendenza, propria dell’ approccio sociologi­co, a ridurre i fatti religiosi a puri fenomeni sociali, svuo­tandoli dei loro tratti e significati specifici. Fu questo timore diffuso, unito alla scarsa dimestichezza che i teologi aveva­no con le scienze sociali, a tenere queste ultime ai margini dell’indagine esegetica.

 

 

III/ GLI SVILUPPI PIÙ RECENTI

 

Bisognerà aspettare l’inizio degli anni Settanta. per assi­stere ad un cambiamento significativo di rotta. E in questo nuovo contesto, i sospetti e le accuse di riduzionismo sa­ranno ribaltate contro i teologi e gli esegeti più tradizionali­sti che, privilegiando l’intenzionalità manifesta dei testi e la loro dimensione letteraria, trascuravano del tutto l’articolato processo della loro produzione, che presentano evidenti impli­cazioni sociali”. Risale al 1975 il saggio di R. Scroggs che presenta la primitiva comunità cristiana come movimento set­tario. L’autore parte dagli elementi che, secondo i sociologi, fanno di un gruppo una vera e propria setta religiosa e li ritrova tutti nelle prime comunità cristiane e anche nel grup­po dei seguaci di Gesù durante il suo ministero terreno.

 

l/Sette requisiti

 

Il primo requisito è la protesta: nella situazione sociale in­stabile e conflittuale tipica della Palestina del I secolo d.C. sotto la dominazione romana, essa si esprime a partire dal­la consapevolezza che Dio accoglie in particolare gli esclusi e gli emarginati. Il secondo requisito è il rifiuto dello status quo, che si esprime nella separazione dalla famiglia, nella cri­tica violenta contro i ricchi e la ricchezza, nella polemica con­tro le classi dirigenti rappresentate dagli scribi, dai farisei e soprattutto dai sacerdoti. Il terzo requisito è quello dell’ gualitarismo, documentato in numerosissimi passi del Nuovo Testamento: i cristiani si considerano tutti come fratelli e lo status sociale che essi rivestivano prima del loro ingresso nel­la comunità cristiana non ha più alcun valore; l’appartenen­za al cristianesimo impone una ridefinizione dello status so­ciale. Il quarto requisito è quello dell’amore e dell’accoglienza che i cristiani trovano all’interno del nuovo gruppo sociale e che, in alcuni casi, rimedia ad una condizione di emargina­zione all’interno della società più in generale. Il quinto re­quisito è il carattere volontario dell’ adesione al nuovo grup­po religioso, che pertanto si distingue da altre forme di ap­partenenza religiosa, prevalentemente basate su criteri etnici.  Il sesto requisito è quello del carattere totalizzante ed esclusiva dell’impegno richiesto agli adepti del gruppo cristiano, che non consente appartenenze multiple. E infine, il settimo re­quisito è quello dell’attesa di un futuro migliore, che nel cri­stianesimo si manifesta nella tensione escatologica verso il Regno di Dio, la cui venuta è imminente. Attraverso questa analisi si spiegano, da un lato, i rapporti di opposizione e rifiuto che il cristianesimo delle origini intrattiene con la so­cietà circostante e, dall’altro, i caratteristici legami che vin­colano dall’interno gli appartenenti al gruppo cristiano.

 

2/ Movimento millenarista

 

Ancora del 1975 è il volume di I.C. Gager, Kingdom and Community [Regno e comunità]“, un’analisi delle forze socia­li che hanno modellato il cristianesimo e accompagnato la sua crescita dai suoi inizi fino al suo trionfo sotto Costanti­no. Usando diversi modelli tratti dalla ricerca sociologica (in particolare le teorie di P. Worsley e K. Burridge), Gager pre­senta il cristianesimo delle origini come un movimento mil­lenarista, composto da persone socialmente svantaggiate che anelano al riscatto. Ma, diversamente dagli altri movimenti millenaristici, il cristianesimo è riuscito a sfidare i secoli e ad imporsi come religione istituzionalizzata. Come spiegare, dun­que, questa anomalia? Gager ricorre al concetto sociologico di “dissonanza cognitiva”, che è la situazione prodotta dalla frustrazione delle attese tipiche dei movimenti millenaristici in seguito alla progressiva dilazione nel tempo di quelle at­tese e alla loro mancata realizzazione. Secondo Gager, la stes­sa morte di Gesù in croce dovette produrre un senso di dis­sonanza cognitiva, in quanto smentiva le sue pretese mes­sianiche. Inoltre, l’attesa della sua prossima venuta e della connessa fine e trasformazione del mondo dovette andare an­ch’essa presto delusa, in quanto i fatti costringevano a pro­crastinare all’infinito la data della parusia. A questa situazione il cristianesimo reagì attraverso l’impegno missionario, che, spostando l’attenzione verso nuovi centri di interesse, per­mise il superamento della frustrazione conseguente alla smen­tita delle attese escatologiche. L’intensa attività missionaria e la necessità di ricompattare il gruppo in situazioni di diffi­coltà attraverso la legittimazione del potere e il controllo del­le forme di devianza interne contribuiscono, secondo Gager, a spiegare il successo relativamente rapido del cristianesimo all’interno del mondo greco-romano fino al suo trionfo all’e­poca di Costantino.

 

3/ Carismatici itineranti

G. Theissen fece l’ingresso in questo ambito di studi con un saggio del 197315. Qui la tradizione dei detti di Gesù ve­niva per la prima volta studiata dal punto di vista della so­ciologia della letteratura, la quale analizza appunto i rapporti tra i testi e i comportamenti umani, socialmente condiziona­ti. Theissen focalizza l’attenzione sui tradenti dei detti di Ge­sù e sui rapporti tra il loro comportamento sociale, da un lato, e il contenuto del loro insegnamento, dall’altro. La con­clusione è che l’insegnamento radicale di Gesù sulla separa­zione dalla famiglia, sulla vita di rinuncia alle comodità e al­la ricchezza rappresenta un éthos che i suoi seguaci incarna­vano e praticavano. Tale éthos non rappresentava una sorta di ideale utopico e irraggiungibile, come gli esegeti spesso avevano sostenuto, ma piuttosto la prassi di vita di cari­smatici itineranti che vivevano ai margini della società pale­stinese. La tesi di Theissen non mancò di provocare un cer­to scompiglio nel mondo dell’ esegesi accademica: ormai le esigenze radicali dell’ etica di Gesù non potevano più essere esaminate isolandole dalle condizioni materiali e sociali del suo tempo o dall’ ambiente sociale e dagli specifici interessi dei suoi seguaci. Il tradizionale metodo di analisi dei testi, quello storico-critico, veniva affiancato ora da una prospetti­va sociologica rigorosa, che gettava nuova luce sui loro si­gnificati e sulla loro portata”,

Di due anni successivo è il citato volume Soziologie der Jesusbewegung, dove l’autore si propone di studiare il movi­mento di Gesù da un punto di vista sociologico. La scelta del titolo rappresenta già un primo risultato dell’indagine, che dimostra appunto il carattere di movimento del gruppo dei seguaci di Gesù. Lo studio segue uno schema che com­porta tre momenti: l’analisi dei ruoli, l’analisi dei fattori e l’analisi della funzione. Il primo momento studia il compor­tamento sociale tipico dei seguaci di Gesù. Qui Theissen ri­prende il tema dei carismatici itineranti, il cui radicalismo, caratterizzato dalla mancanza di dimora stabile e di famiglia, dal rifiuto della proprietà, dalla rinuncia a far valere ogni di­ritto e dalla mancanza di protezione, rappresenta uno dei comportamenti tipici dei primi seguaci di Gesù. In un rap­porto di complementarità con questi carismatici itineranti, do­vevano esistere nel movimento di Gesù dei gruppi sedenta­ri di simpatizzanti, i cui comportamenti, necessariamente me­no radicali, erano aperti a compromessi più o meno estesi con l’ambiente circostante. Un éthos differenziato caratteriz­zava, dunque, queste due forme sociali del movimento di Ge­sù. L’elemento ideologico, che consentiva la coesione del mo­vimento, era il riferimento alla figura di Gesù come rivela­tore, esemplificata soprattutto nel titolo di Figlio dell’Uomo. Il secondo momento – l’analisi dei fattori – studia le influenze della società sul movimento di Gesù. Vengono presi in con­siderazione i fattori socio-economici, quelli socio-ecologici, quelli socio-politici e quelli socio-culturali. Questa analisi di­mostra come il movimento di Gesù si sia sviluppato all’in­terno di una società, quella gìudaìco-palestìnese, caratteriz­zata da una situazione di profonda crisi e di gravi conflitti.

Il movimento di Gesù elaborò, di fronte a questa crisi e a questi. conflitti, una sua risposta, che costituisce l’oggetto del­l’ultimo momento: l’analisi della funzione. Il progetto fun­zionale del movimento di Gesù fu quello di promuovere e sperimentare, all’interno di una società in profonda crisi, scon­volta dal peso di tensioni e pressioni enormi, un nuovo tes­suto di relazioni improntate all’amore e alla riconciliazione, emblematicamente rappresentato dal comandamento gesuano dell’amore per il nemico, da realizzarsi principalmente attra­verso un costante sforzo di contenimento dell’ aggressione, che poteva essere convertita, spostata, introiettata, trasformata o simbolizzata. Come movimento di rinnovamento interno al giudaismo, il movimento di Gesù fallì il suo progetto; ma al­l’interno del mondo ellenistico-romano, esso centrò i propri obiettivi, pur dovendo accettare mutamenti e trasformazioni anche profondi.

 

4/ Riforma delle strutture di potere

L’espressione “movimento di Gesù” può avere due si­gnificati, a seconda di come si intende il genitivo. Gli studi fin qui menzionati hanno inteso l’espressione come movi­mento che in qualche modo si ispirava o si richiamava a Ge­sù (genitivo oggettivo); di qui l’attenzione prevalente – an­che se non esclusiva – all’attività del movimento dopo la morte del fondatore, agli albori del cristianesimo. Ma molti altri studiosi hanno orientato il loro interesse e la loro inda­gine al movimento ispirato da Gesù durante la sua vita pub­blica (genitivo soggettivo). Secondo R.A. Horsley”, Gesù sa­rebbe stato un riformatore sociale radicale che si proponeva di trasformare la vita dei villaggi della Galilea attraverso una riforma delle strutture di potere. Gesù si sarebbe opposto con decisione alle strutture di potere operanti nella famiglia (con­testazione della struttura familiare patriarcale) e nella socie­tà (contestazione del sistema di sfruttamento messo in atto  direttamente o attraverso una clientela locale dall’impero ro­mano). Gesù avrebbe cercato di introdurre i cambiamenti che auspicava nella società non attraverso la fondazione di una comunità alternativa, bensì attraverso una riforma della so­cietà esistente. Il suo progetto era la costruzione di una so­cietà radicalmente egualitaria, assolutamente priva di ogni forma di gerarchia. L’autore distingue nettamente tra i pro­feti oracolari, il cui messaggio si prestava ad essere inter­pretato anche in senso escatologico, e i. profeti uomini di azione, come era stato il caso, per esempio, di Ella, e tra questi ultimi classifica Gesù. Per Gesù, il regno annunciato era una costruzione politica e sociale, più che teologica o religiosa; si trattava di una realtà immanente e la tensione che si perce­pisce nel suo messaggio di salvezza era rivolta verso un in­tervento di Dio nella storia, che avrebbe portato a compi­mento quella trasformazione della società già iniziata con il suo ministero, fino alla completa abolizione di ogni forma di oppressione. (18)

Nella ricostruzione di I.D. Crossan (1991) , l’attiività di Gesù è considerata come una risposta alla situazione sociale del mondo contadino della Palestina del tempo. Ampliando notevolmente la base documentaria e applicando in modo piuttosto rigido il criterio di attestazione multipla, Crossan arriva a concludere che la predicazione gesuana del regno non va intesa in senso escatologico-apocalittico, ma piuttosto in senso etico-sapienziale, come un messaggio di comunione diretta con Dio, che scavalca ogni mediazione istituzionale. In altri termini, un messaggio di fraternità, di egualitarismo materiale e spirituale, espresso in forma simbolica attraverso le guarigioni e la convivialità, la partecipazione alla mensa comune. Pur insistendo sul fatto che l’ambiente in cui Gesù svolse la sua attività pubblica era quello contadino della Pa­lestina del tempo, Crossan accetta il parallelismo tra Gesù e i filosofi cinici” e l’ipotesi di un influsso ellenistico. E’ alle potenzialità sovversive di questo messaggio, che minava al­la base il monopolio della mediazione religiosa esercitata dal sacerdozio, che sarebbe da attribuire la causa ultima della morte di Gesù. Il movimento iniziato da Gesù sarebbe con­tinuato dopo la sua esecuzione, attraverso la riproposta del suo messaggio, adattato alla nuova situazione.

 

IV / OSSERVAZIONI CONCLUSNE

 

Come si è visto, l’interpretazione come “movimento” del­l’attività pubblica di Gesù negli ultimi anni della sua vita e di quella dei primi gruppi che in qualche modo a lui si ri­chiamavano dopo la sua esecuzione violenta è dovuta all’in­troduzione delle scienze sociali nell’ambito degli studi bibli­ci, che si è registrata in modo particolarmente intenso a par­tire dagli anni Settanta del Novecento. Questa circostanza ha prodotto un nuovo metodo di lettura dei testi, che integra altri metodi di lettura critica già praticati; in particolare, nel­la prospettiva delle scienze sociali il testo viene analizzato come uno strumento di comunicazione, i cui generi, conte­nuti, messaggi e obiettivi sono modellati dalle forze operan­ti all’interno del sistema sociale e del contesto storico in cui il testo viene prodotto e alle quali esso costituisce una spe­cifica risposta. Inoltre, questa medesima circostanza ha ri­portato al centro dell’attenzione alcuni aspetti, altrimenti tra­scurati, dell’ ambiente sociale e culturale in cui operarono Ge­sù e i suoi seguaci e i primi gruppi cristiani, fornendo al­tresì modelli teorici per la loro interpretazione: così, per esem­pio, si sono messi in luce l’interrelazione, all’interno della so­cietà palestinese, delle sfere del politico e del familiare; le di­namiche del colonialismo romano in Palestina (occupazione militare; tassazione; confisca delle terre ecc.) e i suoi effetti deleteri sulla popolazione giudaica; le principali forme di or­ganizzazione sociale; le istituzioni dominanti e i modelli di comportamento; i modelli della formazione di partiti e fa­zioni in competizione fra loro; le occasioni di conflitto; i ruo­li e la stratificazione sociale; i valori culturali dominanti e i loro rapporti con gli interessi dei diversi gruppi; la costru­zione di sistemi di credenze alternativi, di tradizioni, di riti, di concezioni del mondo e di ideologie e la loro diffusione da parte di gruppi specifici; e così via”. Una delle conse­guenze dell’integrazione di queste nuove prospettive nello studio della vicenda di Gesù e del primo cristianesimo è rap­presentata dalla necessità di riequilibrare il peso dei diversi elementi nella ricostruzione del quadro complessivo: l’azione di Gesù e dei primi cristiani non è stata soltanto di caratte­re ideologico (trasmissione di idee, per quanto rivoluzionarie potessero essere) e non ha seguito soltanto canali di tra­smissione da singolo a singolo (per esempio, il rapporto mae­stro-discepolo), come si aveva tendenza a pensare, bensì ha avuto un importante impatto sulla società del tempo, e ha concretamente cercato di trasformarla in qualche modo. Re­sta aperta la questione di quali siano i tratti specifici che ca­ratterizzano un movimento religioso rispetto a movimenti di altro tipo; e su questo problema gli studiosi, pur respingen­do forme di riduzionismo estremo, così come si erano ma­nifestate all’inizio del Novecento, hanno posizioni e sensibi­lità diverse.

 

 

  1. THEISSEN, Soziologie der Jesusbewegung. Ein Beitrag zur Entstehungs­$eschlch!e d~s Urchrlst~ntum, Chr. Kaiser Verlag, Miinchen 1977, 19916 [trad. it., Gesu e Il suo mooimenio. Analisi sociologiea della comunità cristiana primitiva, Claudiana, Torino 1979).

 

  1. In Zeitschrift fUr Theologie und Kirche 51 (1954) 125-153; ora anche in E.

 

KAsEMANN, Exegetische Versuche und Besinnungen, Vandenhoeck & Ruprecht, Gottingen 1960, l, 187-214 [trad. it., Saggi esegetici, Introduzione di M. Pesce, Marietti, Casale Monferrato (Al) 1985].

 

  1. Cf J.M. ROBINSON, Kerygma und historischer [esus, Zwingli Verlag, Zurich 1967′ [trad. it., Kerygma e Gesù storico, Paideia, Brescia 1977], spec. il cap. 6, significativamente intitolato: «Comprensione dell’ esistenza nel Gesù storico nel kerygma».

 

  1. K. KAUTSKY, Der Ursprung des Christentums. Eine historische Untersuchung, Dietz, Stuttgart 1908 [trad. it., L’origine del cristianesimo, a cura di A. Barba­ranelli, La nuova sinistra, Roma 1970].

 

  1. Ibid., VII-VIII; cito in G. BARBAGLIO, Rassegna di studi di storia sociale e di ricerche di sociologia sulle origini cristiane 1, in Rivista biblica italiana 36 (1988) 377-410, spec. 381.

 

  1. Cf. BARBAGLIO, Rassegna di studi di storia sociale, cìt., 397.
  2. Cf L. GALLINO, Dizionario di eociologia, UTET, Torino 1978, 451-455: “Mo­vimento sociale”.

 

  1. A. DEISSMANN, Licht vom Osteno Das Neue Testament und die neuentdeck­fen Texte der hellenistisch-riimischett Welt, J.c.B. Mohr, Tiìbìngen 1908.

 

  1. 9 Sulla “Scuola di Chicago”, si vedano: R.W. FUNK, The Watershed of the American Biblical Tradition. The Chicago School, First Phase: 1892-1920, in Journal 01 Biblical Literature 95 (1976) 4-22; w.J. HYNES, Shirley [ackson Case and the Chicago School. The Socio-Historical Method, Scholars Press, Chico/CA 1981.
  2. SH.J. CASE, The Evolution 01 Early Chrisiianitu, University of Chicago Press, Chicago 1914; ID., The Social Origine 01 Chrisiianitv, University of Chi­cago Press, Chicago 1923.

 

  1. 1 Si veda, per esempio, W.A. MEEKS, The First Urban Christians. The So­cial World 01 the Apostle Paul, Yale University Press, New .Haven 1983,. ch.e nell’Introduzione affronta precisamente questo problema, riconoscendo il riduzionismo di Kautsky e Case, ma al tempo stesso mettendo in guardia contro altri tipi di riduzionismo.

 

  1. R. SCROGGS, The Earliest Christianity as Sectarian Movement, in J.

NEUSNER (ed.), Christianity, [udaism and Other Graeco-Roman Cults, E.J. Brill, Leiden 1975, II, 1-23.

13. Cf. per esempio Gal 3,28; 1 Cor 12,13; Col 3,11; Mt 18; i primi capito­li degli Atti degli apostoli.

14. .G. GAGER, Kingdom and Community. The social World of early Christia­nity, Prentice-Hall, Englewood Cliffs/NY 1975.

 

15. G. THEISSEN, Wanderradikalismus. Literatursoziologische Aspekte der Uberlieferung von Worten [esu im Urchristentum, in Zeitschrift fiir Theologie und Kirche 70 (1973) 245-271; ora anche in ID., Studien zur Soziologie des Ur­christentums, J.C.B. Mohr, Tiibingen 1983′, 79-105 [trad. it., Sociologia del cri­stianesimo primitivo, Marietti, Genova 1987].

 

16. Cf. J.H. ELLIOTf, What Is Social-Scientijic Criticism?, Fortress Press, Min­neapolis 1993, 17-35.

 

17. R.A. HORSLEY, [esus and the SpiraI oj Violence, Harper, S. Francisco 1987.

18. 18 J.D. CROSSAN, The historical Jesus. The Life oj a Mediterranean Jewish Peasani, Harper, S. Francisco 1991.       .

19. 19 Cf. EG. DOWNING, Christ and the Cynics. Je~us and Other. Radical Prea­chers in First Century Tradition, Sheffield Academic Press, Sheffield 1988.

  1. 20. 20 Cf. ELLIOTT, What Is Social-Scientific Criticismi, cit., 32-34.

*CLAUDIO GIANOTTO Torino (Italia), Nato nel 1950, insegna storia del cristianesimo antico presso la Facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Torino. Si è occupato di gnosticismo, giudaismo del II tempio, storia dell’esegesi, giudeo-cristianesimo.

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