IL MOVIMENTO DI GESU’, di Claudio Gianotto
Lo studio del movimento di Gesù da un punto di vista sociologico. In CONCILIUM, rivista internazionale di teologia, 3/2003, numero interamente dedicato a ‘ i movimenti nella Chiesa, a cura di A. Melloni.
Risale al 1977 il vo!umetto di .G. Theissen, Soziologie der Jesusbewegung [Sociologia del movimento di Gesù]‘, che introduceva nell’ambito degli studi neotestamentari, allora prevalentemente dominati dall’impostazione bultmanniana, incentrata sul kerygma e su di una ermeneutica di stampo esistenzialistico, un concetto – quello di movimento sociale derivato da una disciplina, la sociologia, che non aveva fino ad allora trovato estimatori particolarmente entusiasti tra gli studiosi della Bibbia, tutti seguaci convinti del metodo storico-critico, e lo aveva utilizzato per interpretare l’attività pubblica svolta da Gesù negli ultimi anni della sua vita e le origini del cristianesimo.
1/ IL CONTESTO: LA THIRD QUEST DEL GESÙ STORICO
In quel momento, negli studi storici su Gesù, imperava ancora la cosiddetta new quest, inaugurata nel 1953 da E. Kasemann con un discorso tenuto agli ex allievi della Facoltà di teologia di Marburgo, dove Bultmann aveva insegnato fino al 1951, e pubblicato l’anno successivo con il titolo: Das Problem des historischen Jesu [Il problema del Gesù della storia]‘. In questo discorso, E. Kasemann, lui stesso ex allievo di Bultmann, prende le distanze dalla posizione del maestro, il quale, dal punto di vista storico, aveva mostrato uno scetticismo radicale sulla possibilità di scrivere una biografia di Gesù e, dal punto di vista teologico, l’aveva ritenuta del tutto irrilevante, in quanto la fede cristiana, suscitata dalla Parola, non ha bisogno di fondarsi sul Gesù terreno, storicamente presentato e ricostruito; anzi, ne deve prescindere per conservare la sua purezza e integrità. La critica di Kasemann è duplice. Dal punto di vista teologico, egli sottolinea come lo stesso kerygma cristologico mantenga uno stretto legame con il Gesù storico: l’interesse per la vicenda terrena di Gesù era costitutivo della fede dei primi cristiani e i vangeli stessi postulano l’identità del Risorto con il Gesù prepasquale. Se è vero che non è possibile scrivere una biografia di Gesù nel senso moderno del termine, bisogna, però, fare attenzione a non sganciare la fede cristiana dalle sue radici storiche ed evitare il rischio di cadere in una sorta di docetismo, dove Gesù Cristo sarebbe ridotto ad un puro simbolo e l’evento della croce privato del suo significato fondamentale. Sul piano più propriamente storico ed esegetico, Kàsemann, contro lo scetticismo introdotto dalla Formgeschichte applicata all’analisi dei vangeli e condiviso da Bultmann, si dimostra più ottimista quanto alla possibilità di ritrovare, nella documentazione giunta fino a noi, almeno alcuni dei detti autentici di Gesù, che permettono di ricostruire in modo storicamente attendibile – almeno a grandi linee e dal punto di vista della sostanza, se non da quello della forma – il suo insegnamento e gli eventi principali della sua vicenda terrena.
Anche se, di fatto, ribaltava le posizioni bultmanniane, allora sicuramente dominanti nella cultura teologica ed esegetica europea, il progetto di Kasemann restava profondamente influenzato da problematiche di tipo teologico. L’esigenza di ritrovare, almeno in nuce o in forma implicita, il kerygma cristologico già nella predicazione del Gesù prepasquale portava a concentrare 1′attenzione e ad orientare gli sforzi per dimostrare quella continuità tra il Gesù predicatore e il Gesù predicato, che Bultmann aveva risolutamente negato e che ora veniva cercata, mantenendo le prospettive ermeneutiche esistenzialistiche utilizzate da Bultmann stesso, nella continuità tra la comprensione dell’ esistenza del Gesù terreno e quella del kerygma delle prime comunità cristiane’. E chiaro come un’impostazione di questo genere fosse orientata a considerare l’attività e l’insegnamento di Gesù all’interno di un orizzonte essenzialmente teologico e religioso e, ossessionata dalla volontà di eliminare la frattura tra Gesù storico e kerygma, sancita da Bultmann, finisse inevitabilmente per spostare tale frattura più a monte, tra Gesù e il giudaismo del suo tempo. Il privilegio accordato, in questo contesto, al criterio di discontinuità nell’identificazione dei detti e dei fatti autentici della vicenda terrena di Gesù portava ad insistere sull’ eccezionalità ed unicità del personaggio e sulla singolarità e assoluta novità del suo insegnamento, che venivano così isolati e sradicati dal loro contesto storico e sociale, per sancire quella continuità ideale nella comprensione dell’ esistenza che permetteva di collegare il Gesù terreno e il suo insegnamento con la fede e l’annuncio kerygmatico della comunità primitiva. È chiaro che, in questo modo, negli studi su Gesù tipici della new quest ogni spazio era precluso a considerazioni non soltanto di tipo sociologico, ma anche di tipo più propriamente storico.
Si capisce, dunque, come la pubblicazione di un volume come quello di Theissen abbia scosso le acque, altrimenti calme e forse anche un po’ stantie, della ricerca storico-esegetica su Gesù e sulle origini del cristianesimo, inducendo a riflettere sulle nuove prospettive che questo tipo di approccio apriva e sulla possibilità di impostare il problema storico di Gesù su basi nuove e con strumenti di indagine diversi. In realtà, il volume di Theissen fu accompagnato, a partire dagli anni Settanta del Novecento e ancor più nei decenni successivi, da tutta una serie di saggi e studi sul problema, che inaugurarono una nuova fase della ricerca storica su Gesù, la cosiddetta third quest, caratterizzata principalmente dalla volontà di riportare il personaggio storico di Gesù all’interno del giudaismo e dell’ ambiente storico e sociale in cui aveva operato; dall’ampliamento della base storico-documentaria della ricerca stessa (scavalcando i confini troppo stretti delle fonti letterarie e, all’interno di queste ultime, degli scritti canonici); dall’adozione di nuovi metodi di approccio al problema e di analisi delle fonti, mutuati dalle scienze umana, in particolare dalla sociologia e dall’ antropologia. E all’interno di questo nuovo contesto che sono nati e si sono sviluppati gli studi sul movimento di Gesù,l di chi il volume di Theissen, che abbiamo citato in apertura, costituisce uno degli esempi più significativi, non fosse altro perchè riporta esplicitamente, nel titolo stesso, il termine Jesusbewegung.
III. ALLE ORIGINI DELL’ ANALISI SOCIOLOGICA DEL MOVIMENTO DI GESÙ
In realtà, la prospettiva sociologica aveva fatto il suo ingresso nello studio delle origini cristiane fin dall’inizio del XX secolo. Un punto di riferimento importante è rappresentato dal volume di K. Kautsky, Der Ursprung des Chrisientums. Eine historische Untersuchung [L'origine del cristianesimo. Una ricerca storica]‘ (1908). Kautsky si era formato alla scuola dell’evoluzionismo scientifico della seconda metà dell’Ottocento, aderendo entusiasticamente al darwinismo nelle sue varie applicazioni sociali; in seguito aveva incominciato a studiare seriamente Il capitale di K. Marx, diventando, nei due decenni precedenti la Grande Guerra, l’ideologo più importante della socialdemocrazia tedesca. Egli guarda alle origini del cristianesimo con l’occhio del militante nella lotta del proletariato moderno e analizza il fenomeno sulla base della concezione materialistica della storia teorizzata dal marxismo. Egli definisce il cristianesimo primitivo come «un movimento di strati nullatenenti di vario genere, che possono essere unificati sotto il nome di proletarie”. Questo carattere di classe. sarebbe attestato da vari elementi: l’odio dei poveri e degli oppressi contro i ricchi, testimoniato, in particolare, dal Vangelo di Luca e dalla Lettera di Giacomo; la primitiva comunione dei beni; il disprezzo del lavoro, inteso come strumento di oppressione, e la costituzione di una comunità che, sulla falsariga di quella essenica, comportò la distruzione del matrimonio e del vincolo familiare. Kautsky sottolinea ripetutamente la forza organizzativa del più antico comunismo cristiano. La forza di Gesù stesso dovette essere soprattutto di tipo organizzativo e proprio la coesione della più antica comunità spiegherebbe certe credenze, come quella nella risurrezione del fondatore. La proclamazione della risurrezione di Gesù, dopo la sua crocifissione, portò alla sua identificazione con il messia atteso dal proletariato giudaico, un messia, però, denazionalizzato e presentato come una sorta di redentore universale, capace di rispondere al bisogno di riscatto di tutti i popoli oppressi. Così, il movimento ben presto riuscì a varcare i confini della Palestina e trovò accoglienza anche tra gli strati proletari del mondo pagano. Dopo la caduta di Gerusalemme alla fine della insurrezione antiromana del 66-70, il cristianesimo perdette progressivamente i caratteri di movimento proletario e comunistico, per aprirsi alle classi ricche e colte e diventare alla fine una religione spirituale e clericale”.
Ritroviamo, dunque, già agli inizi del Novecento, l’applicazione del termine “movimento” al cristianesimo primitivo. E questo non deve stupire, perché fu proprio a partire dalla seconda metà dell’Ottocento che entrò in uso l’espressione “movimento sociale” per indicare una qualche forma di comportamento collettivo diretto a modificare o trasformare in modo più o meno radicale l’ordine sociale esistente, sulla base di una determinata ideologia e con l’impiego di una qualche forma di organizzazione e, ovviamente, tale espressione fu applicata in primo luogo al neonato movimento operaio. Una volta entrata nell’uso comune, la terminologia poteva poi trovare utili applicazioni anche nell’analisi dei fenomeni religiosi.
Nello stesso anno 1908 si registra la pubblicazione di un altro volume, quello di A. Deissmann, Licht vom Osten [Luce dall'Oriente]‘. Lo studioso tedesco aveva cercato, sulla base di uno studio della lingua degli scritti neotestamentari, di stabilire a quale ceto sociale appartenessero i primi cristiani. L’indubbia somiglianza che la lingua del Nuovo Testamento presentava con quella delle iscrizioni, dei papiri e degli ostraka provenienti dal mondo greco-romano contemporaneo e venuti alla luce soprattutto in Egitto, grazie alle ricerche e agli scavi di due instancabili archeologi, B.P. Grenfell e A.S. Hunt, alla fine del XIX secolo, induceva a pensare che i due complessi documentari riflettessero un comune ambiente sociale, che, come suggerivano i testi non letterari, non poteva che essere quello dei contadini e degli artigiani, dei soldati e degli schiavi, di gente per lo più semplice e incolta. Le conclusioni furono che il Nuovo Testamento era stato composto non in una lingua speciale, come avrebbe potuto suggerire la natura divinamente ispirata degli scritti, e neppure nella lingua colta, propria degli scritti letterari, bensì nella lingua popolare e parlata del tempo, usata prevalentemente nelle comunicazioni quotidiane da persone semplici e incolte, di bassa condizione sociale. I primi cristiani, dunque, provenivano prevalentemente dai ceti medio-bassi della compagine sociale; ed essi si contrapponevano all’antica cultura “alta” come movimento degli strati subalterni. Deissmann, dunque, giunge a conclusioni analoghe a quelle di Kautsky, riconoscendo nei primi cristiani i rappresentanti delle classi sociali subalterne, benché se ne discosti sottolineando il carattere prettamente religioso del movimento cristiano, a fronte dell’insistenza di Kautsky sull’elemento del conflitto classista tra schiavi e padroni.
In questo contesto vanno segnalati, sull’altra sponda dell’Oceano, i lavori di Sh.J. Case, della cosiddetta “Scuola di Chìcago’”, in particolare The Evolution oJ Early Christianity [L'evoluzione del cristianesimo primitivo] (1914) e The Social Origins oJ Christianity [Le origini sociali del cristianesimo] (1923)10. Case contesta ai teologi – soprattutto protestanti – del suo tempo, di assolutizzare gli scritti protocristiani e tutta quanta la Bibbia, astraendoli dai loro rispettivi contesti storici e sociali. A questa impostazione, tipica degli ambienti accademici e universitari in primo luogo tedeschi, Case contrappone l’indagine storico-sociale, che privilegia gli ambienti e la società che tali scritti hanno prodotto. E spiega le idee, i valori e le azioni dei primi cristiani come altrettante risposte a “bisogni” palesi della società del tempo.. . .
In realtà, però, l’utilizzazione dei metodi e degli strumenti predisposti dalle scienze sociali dell’esegesi biblica suscitò scarso interesse almeno per i primi tre quarti del XX secolo. Gli esegeti rimanevano interessati principalmente alla dimensione letteraria e formale dei testi e ai loro contenuti teologici; inoltre l’ermeneutica imperante, di tipo esistenzialistico ed individualistico, lasciava poco spazio alle problematiche di tipo sociale. Ma l’ostacolo maggiore era probabilmente rappresentato da un timore di fondo” quello del riduzionismo, cioè della tendenza, propria dell’ approccio sociologico, a ridurre i fatti religiosi a puri fenomeni sociali, svuotandoli dei loro tratti e significati specifici. Fu questo timore diffuso, unito alla scarsa dimestichezza che i teologi avevano con le scienze sociali, a tenere queste ultime ai margini dell’indagine esegetica.
III/ GLI SVILUPPI PIÙ RECENTI
Bisognerà aspettare l’inizio degli anni Settanta. per assistere ad un cambiamento significativo di rotta. E in questo nuovo contesto, i sospetti e le accuse di riduzionismo saranno ribaltate contro i teologi e gli esegeti più tradizionalisti che, privilegiando l’intenzionalità manifesta dei testi e la loro dimensione letteraria, trascuravano del tutto l’articolato processo della loro produzione, che presentano evidenti implicazioni sociali”. Risale al 1975 il saggio di R. Scroggs che presenta la primitiva comunità cristiana come movimento settario. L’autore parte dagli elementi che, secondo i sociologi, fanno di un gruppo una vera e propria setta religiosa e li ritrova tutti nelle prime comunità cristiane e anche nel gruppo dei seguaci di Gesù durante il suo ministero terreno.
l/Sette requisiti
Il primo requisito è la protesta: nella situazione sociale instabile e conflittuale tipica della Palestina del I secolo d.C. sotto la dominazione romana, essa si esprime a partire dalla consapevolezza che Dio accoglie in particolare gli esclusi e gli emarginati. Il secondo requisito è il rifiuto dello status quo, che si esprime nella separazione dalla famiglia, nella critica violenta contro i ricchi e la ricchezza, nella polemica contro le classi dirigenti rappresentate dagli scribi, dai farisei e soprattutto dai sacerdoti. Il terzo requisito è quello dell’ egualitarismo, documentato in numerosissimi passi del Nuovo Testamento: i cristiani si considerano tutti come fratelli e lo status sociale che essi rivestivano prima del loro ingresso nella comunità cristiana non ha più alcun valore; l’appartenenza al cristianesimo impone una ridefinizione dello status sociale. Il quarto requisito è quello dell’amore e dell’accoglienza che i cristiani trovano all’interno del nuovo gruppo sociale e che, in alcuni casi, rimedia ad una condizione di emarginazione all’interno della società più in generale. Il quinto requisito è il carattere volontario dell’ adesione al nuovo gruppo religioso, che pertanto si distingue da altre forme di appartenenza religiosa, prevalentemente basate su criteri etnici. Il sesto requisito è quello del carattere totalizzante ed esclusiva dell’impegno richiesto agli adepti del gruppo cristiano, che non consente appartenenze multiple. E infine, il settimo requisito è quello dell’attesa di un futuro migliore, che nel cristianesimo si manifesta nella tensione escatologica verso il Regno di Dio, la cui venuta è imminente. Attraverso questa analisi si spiegano, da un lato, i rapporti di opposizione e rifiuto che il cristianesimo delle origini intrattiene con la società circostante e, dall’altro, i caratteristici legami che vincolano dall’interno gli appartenenti al gruppo cristiano.
2/ Movimento millenarista
Ancora del 1975 è il volume di I.C. Gager, Kingdom and Community [Regno e comunità]“, un’analisi delle forze sociali che hanno modellato il cristianesimo e accompagnato la sua crescita dai suoi inizi fino al suo trionfo sotto Costantino. Usando diversi modelli tratti dalla ricerca sociologica (in particolare le teorie di P. Worsley e K. Burridge), Gager presenta il cristianesimo delle origini come un movimento millenarista, composto da persone socialmente svantaggiate che anelano al riscatto. Ma, diversamente dagli altri movimenti millenaristici, il cristianesimo è riuscito a sfidare i secoli e ad imporsi come religione istituzionalizzata. Come spiegare, dunque, questa anomalia? Gager ricorre al concetto sociologico di “dissonanza cognitiva”, che è la situazione prodotta dalla frustrazione delle attese tipiche dei movimenti millenaristici in seguito alla progressiva dilazione nel tempo di quelle attese e alla loro mancata realizzazione. Secondo Gager, la stessa morte di Gesù in croce dovette produrre un senso di dissonanza cognitiva, in quanto smentiva le sue pretese messianiche. Inoltre, l’attesa della sua prossima venuta e della connessa fine e trasformazione del mondo dovette andare anch’essa presto delusa, in quanto i fatti costringevano a procrastinare all’infinito la data della parusia. A questa situazione il cristianesimo reagì attraverso l’impegno missionario, che, spostando l’attenzione verso nuovi centri di interesse, permise il superamento della frustrazione conseguente alla smentita delle attese escatologiche. L’intensa attività missionaria e la necessità di ricompattare il gruppo in situazioni di difficoltà attraverso la legittimazione del potere e il controllo delle forme di devianza interne contribuiscono, secondo Gager, a spiegare il successo relativamente rapido del cristianesimo all’interno del mondo greco-romano fino al suo trionfo all’epoca di Costantino.
3/ Carismatici itineranti
G. Theissen fece l’ingresso in questo ambito di studi con un saggio del 197315. Qui la tradizione dei detti di Gesù veniva per la prima volta studiata dal punto di vista della sociologia della letteratura, la quale analizza appunto i rapporti tra i testi e i comportamenti umani, socialmente condizionati. Theissen focalizza l’attenzione sui tradenti dei detti di Gesù e sui rapporti tra il loro comportamento sociale, da un lato, e il contenuto del loro insegnamento, dall’altro. La conclusione è che l’insegnamento radicale di Gesù sulla separazione dalla famiglia, sulla vita di rinuncia alle comodità e alla ricchezza rappresenta un éthos che i suoi seguaci incarnavano e praticavano. Tale éthos non rappresentava una sorta di ideale utopico e irraggiungibile, come gli esegeti spesso avevano sostenuto, ma piuttosto la prassi di vita di carismatici itineranti che vivevano ai margini della società palestinese. La tesi di Theissen non mancò di provocare un certo scompiglio nel mondo dell’ esegesi accademica: ormai le esigenze radicali dell’ etica di Gesù non potevano più essere esaminate isolandole dalle condizioni materiali e sociali del suo tempo o dall’ ambiente sociale e dagli specifici interessi dei suoi seguaci. Il tradizionale metodo di analisi dei testi, quello storico-critico, veniva affiancato ora da una prospettiva sociologica rigorosa, che gettava nuova luce sui loro significati e sulla loro portata”,
Di due anni successivo è il citato volume Soziologie der Jesusbewegung, dove l’autore si propone di studiare il movimento di Gesù da un punto di vista sociologico. La scelta del titolo rappresenta già un primo risultato dell’indagine, che dimostra appunto il carattere di movimento del gruppo dei seguaci di Gesù. Lo studio segue uno schema che comporta tre momenti: l’analisi dei ruoli, l’analisi dei fattori e l’analisi della funzione. Il primo momento studia il comportamento sociale tipico dei seguaci di Gesù. Qui Theissen riprende il tema dei carismatici itineranti, il cui radicalismo, caratterizzato dalla mancanza di dimora stabile e di famiglia, dal rifiuto della proprietà, dalla rinuncia a far valere ogni diritto e dalla mancanza di protezione, rappresenta uno dei comportamenti tipici dei primi seguaci di Gesù. In un rapporto di complementarità con questi carismatici itineranti, dovevano esistere nel movimento di Gesù dei gruppi sedentari di simpatizzanti, i cui comportamenti, necessariamente meno radicali, erano aperti a compromessi più o meno estesi con l’ambiente circostante. Un éthos differenziato caratterizzava, dunque, queste due forme sociali del movimento di Gesù. L’elemento ideologico, che consentiva la coesione del movimento, era il riferimento alla figura di Gesù come rivelatore, esemplificata soprattutto nel titolo di Figlio dell’Uomo. Il secondo momento – l’analisi dei fattori – studia le influenze della società sul movimento di Gesù. Vengono presi in considerazione i fattori socio-economici, quelli socio-ecologici, quelli socio-politici e quelli socio-culturali. Questa analisi dimostra come il movimento di Gesù si sia sviluppato all’interno di una società, quella gìudaìco-palestìnese, caratterizzata da una situazione di profonda crisi e di gravi conflitti.
Il movimento di Gesù elaborò, di fronte a questa crisi e a questi. conflitti, una sua risposta, che costituisce l’oggetto dell’ultimo momento: l’analisi della funzione. Il progetto funzionale del movimento di Gesù fu quello di promuovere e sperimentare, all’interno di una società in profonda crisi, sconvolta dal peso di tensioni e pressioni enormi, un nuovo tessuto di relazioni improntate all’amore e alla riconciliazione, emblematicamente rappresentato dal comandamento gesuano dell’amore per il nemico, da realizzarsi principalmente attraverso un costante sforzo di contenimento dell’ aggressione, che poteva essere convertita, spostata, introiettata, trasformata o simbolizzata. Come movimento di rinnovamento interno al giudaismo, il movimento di Gesù fallì il suo progetto; ma all’interno del mondo ellenistico-romano, esso centrò i propri obiettivi, pur dovendo accettare mutamenti e trasformazioni anche profondi.
4/ Riforma delle strutture di potere
L’espressione “movimento di Gesù” può avere due significati, a seconda di come si intende il genitivo. Gli studi fin qui menzionati hanno inteso l’espressione come movimento che in qualche modo si ispirava o si richiamava a Gesù (genitivo oggettivo); di qui l’attenzione prevalente – anche se non esclusiva – all’attività del movimento dopo la morte del fondatore, agli albori del cristianesimo. Ma molti altri studiosi hanno orientato il loro interesse e la loro indagine al movimento ispirato da Gesù durante la sua vita pubblica (genitivo soggettivo). Secondo R.A. Horsley”, Gesù sarebbe stato un riformatore sociale radicale che si proponeva di trasformare la vita dei villaggi della Galilea attraverso una riforma delle strutture di potere. Gesù si sarebbe opposto con decisione alle strutture di potere operanti nella famiglia (contestazione della struttura familiare patriarcale) e nella società (contestazione del sistema di sfruttamento messo in atto direttamente o attraverso una clientela locale dall’impero romano). Gesù avrebbe cercato di introdurre i cambiamenti che auspicava nella società non attraverso la fondazione di una comunità alternativa, bensì attraverso una riforma della società esistente. Il suo progetto era la costruzione di una società radicalmente egualitaria, assolutamente priva di ogni forma di gerarchia. L’autore distingue nettamente tra i profeti oracolari, il cui messaggio si prestava ad essere interpretato anche in senso escatologico, e i. profeti uomini di azione, come era stato il caso, per esempio, di Ella, e tra questi ultimi classifica Gesù. Per Gesù, il regno annunciato era una costruzione politica e sociale, più che teologica o religiosa; si trattava di una realtà immanente e la tensione che si percepisce nel suo messaggio di salvezza era rivolta verso un intervento di Dio nella storia, che avrebbe portato a compimento quella trasformazione della società già iniziata con il suo ministero, fino alla completa abolizione di ogni forma di oppressione. (18)
Nella ricostruzione di I.D. Crossan (1991) , l’attiività di Gesù è considerata come una risposta alla situazione sociale del mondo contadino della Palestina del tempo. Ampliando notevolmente la base documentaria e applicando in modo piuttosto rigido il criterio di attestazione multipla, Crossan arriva a concludere che la predicazione gesuana del regno non va intesa in senso escatologico-apocalittico, ma piuttosto in senso etico-sapienziale, come un messaggio di comunione diretta con Dio, che scavalca ogni mediazione istituzionale. In altri termini, un messaggio di fraternità, di egualitarismo materiale e spirituale, espresso in forma simbolica attraverso le guarigioni e la convivialità, la partecipazione alla mensa comune. Pur insistendo sul fatto che l’ambiente in cui Gesù svolse la sua attività pubblica era quello contadino della Palestina del tempo, Crossan accetta il parallelismo tra Gesù e i filosofi cinici” e l’ipotesi di un influsso ellenistico. E’ alle potenzialità sovversive di questo messaggio, che minava alla base il monopolio della mediazione religiosa esercitata dal sacerdozio, che sarebbe da attribuire la causa ultima della morte di Gesù. Il movimento iniziato da Gesù sarebbe continuato dopo la sua esecuzione, attraverso la riproposta del suo messaggio, adattato alla nuova situazione.
IV / OSSERVAZIONI CONCLUSNE
Come si è visto, l’interpretazione come “movimento” dell’attività pubblica di Gesù negli ultimi anni della sua vita e di quella dei primi gruppi che in qualche modo a lui si richiamavano dopo la sua esecuzione violenta è dovuta all’introduzione delle scienze sociali nell’ambito degli studi biblici, che si è registrata in modo particolarmente intenso a partire dagli anni Settanta del Novecento. Questa circostanza ha prodotto un nuovo metodo di lettura dei testi, che integra altri metodi di lettura critica già praticati; in particolare, nella prospettiva delle scienze sociali il testo viene analizzato come uno strumento di comunicazione, i cui generi, contenuti, messaggi e obiettivi sono modellati dalle forze operanti all’interno del sistema sociale e del contesto storico in cui il testo viene prodotto e alle quali esso costituisce una specifica risposta. Inoltre, questa medesima circostanza ha riportato al centro dell’attenzione alcuni aspetti, altrimenti trascurati, dell’ ambiente sociale e culturale in cui operarono Gesù e i suoi seguaci e i primi gruppi cristiani, fornendo altresì modelli teorici per la loro interpretazione: così, per esempio, si sono messi in luce l’interrelazione, all’interno della società palestinese, delle sfere del politico e del familiare; le dinamiche del colonialismo romano in Palestina (occupazione militare; tassazione; confisca delle terre ecc.) e i suoi effetti deleteri sulla popolazione giudaica; le principali forme di organizzazione sociale; le istituzioni dominanti e i modelli di comportamento; i modelli della formazione di partiti e fazioni in competizione fra loro; le occasioni di conflitto; i ruoli e la stratificazione sociale; i valori culturali dominanti e i loro rapporti con gli interessi dei diversi gruppi; la costruzione di sistemi di credenze alternativi, di tradizioni, di riti, di concezioni del mondo e di ideologie e la loro diffusione da parte di gruppi specifici; e così via”. Una delle conseguenze dell’integrazione di queste nuove prospettive nello studio della vicenda di Gesù e del primo cristianesimo è rappresentata dalla necessità di riequilibrare il peso dei diversi elementi nella ricostruzione del quadro complessivo: l’azione di Gesù e dei primi cristiani non è stata soltanto di carattere ideologico (trasmissione di idee, per quanto rivoluzionarie potessero essere) e non ha seguito soltanto canali di trasmissione da singolo a singolo (per esempio, il rapporto maestro-discepolo), come si aveva tendenza a pensare, bensì ha avuto un importante impatto sulla società del tempo, e ha concretamente cercato di trasformarla in qualche modo. Resta aperta la questione di quali siano i tratti specifici che caratterizzano un movimento religioso rispetto a movimenti di altro tipo; e su questo problema gli studiosi, pur respingendo forme di riduzionismo estremo, così come si erano manifestate all’inizio del Novecento, hanno posizioni e sensibilità diverse.
- THEISSEN, Soziologie der Jesusbewegung. Ein Beitrag zur Entstehungs$eschlch!e d~s Urchrlst~ntum, Chr. Kaiser Verlag, Miinchen 1977, 19916 [trad. it., Gesu e Il suo mooimenio. Analisi sociologiea della comunità cristiana primitiva, Claudiana, Torino 1979).
- In Zeitschrift fUr Theologie und Kirche 51 (1954) 125-153; ora anche in E.
KAsEMANN, Exegetische Versuche und Besinnungen, Vandenhoeck & Ruprecht, Gottingen 1960, l, 187-214 [trad. it., Saggi esegetici, Introduzione di M. Pesce, Marietti, Casale Monferrato (Al) 1985].
- Cf J.M. ROBINSON, Kerygma und historischer [esus, Zwingli Verlag, Zurich 1967′ [trad. it., Kerygma e Gesù storico, Paideia, Brescia 1977], spec. il cap. 6, significativamente intitolato: «Comprensione dell’ esistenza nel Gesù storico nel kerygma».
- K. KAUTSKY, Der Ursprung des Christentums. Eine historische Untersuchung, Dietz, Stuttgart 1908 [trad. it., L’origine del cristianesimo, a cura di A. Barbaranelli, La nuova sinistra, Roma 1970].
- Ibid., VII-VIII; cito in G. BARBAGLIO, Rassegna di studi di storia sociale e di ricerche di sociologia sulle origini cristiane 1, in Rivista biblica italiana 36 (1988) 377-410, spec. 381.
- Cf. BARBAGLIO, Rassegna di studi di storia sociale, cìt., 397.
- Cf L. GALLINO, Dizionario di eociologia, UTET, Torino 1978, 451-455: “Movimento sociale”.
- A. DEISSMANN, Licht vom Osteno Das Neue Testament und die neuentdeckfen Texte der hellenistisch-riimischett Welt, J.c.B. Mohr, Tiìbìngen 1908.
- 9 Sulla “Scuola di Chicago”, si vedano: R.W. FUNK, The Watershed of the American Biblical Tradition. The Chicago School, First Phase: 1892-1920, in Journal 01 Biblical Literature 95 (1976) 4-22; w.J. HYNES, Shirley [ackson Case and the Chicago School. The Socio-Historical Method, Scholars Press, Chico/CA 1981.
- SH.J. CASE, The Evolution 01 Early Chrisiianitu, University of Chicago Press, Chicago 1914; ID., The Social Origine 01 Chrisiianitv, University of Chicago Press, Chicago 1923.
- 1 Si veda, per esempio, W.A. MEEKS, The First Urban Christians. The Social World 01 the Apostle Paul, Yale University Press, New .Haven 1983,. ch.e nell’Introduzione affronta precisamente questo problema, riconoscendo il riduzionismo di Kautsky e Case, ma al tempo stesso mettendo in guardia contro altri tipi di riduzionismo.
- R. SCROGGS, The Earliest Christianity as Sectarian Movement, in J.
NEUSNER (ed.), Christianity, [udaism and Other Graeco-Roman Cults, E.J. Brill, Leiden 1975, II, 1-23.
13. Cf. per esempio Gal 3,28; 1 Cor 12,13; Col 3,11; Mt 18; i primi capitoli degli Atti degli apostoli.
14. .G. GAGER, Kingdom and Community. The social World of early Christianity, Prentice-Hall, Englewood Cliffs/NY 1975.
15. G. THEISSEN, Wanderradikalismus. Literatursoziologische Aspekte der Uberlieferung von Worten [esu im Urchristentum, in Zeitschrift fiir Theologie und Kirche 70 (1973) 245-271; ora anche in ID., Studien zur Soziologie des Urchristentums, J.C.B. Mohr, Tiibingen 1983′, 79-105 [trad. it., Sociologia del cristianesimo primitivo, Marietti, Genova 1987].
16. Cf. J.H. ELLIOTf, What Is Social-Scientijic Criticism?, Fortress Press, Minneapolis 1993, 17-35.
17. R.A. HORSLEY, [esus and the SpiraI oj Violence, Harper, S. Francisco 1987.
18. 18 J.D. CROSSAN, The historical Jesus. The Life oj a Mediterranean Jewish Peasani, Harper, S. Francisco 1991. .
19. 19 Cf. EG. DOWNING, Christ and the Cynics. Je~us and Other. Radical Preachers in First Century Tradition, Sheffield Academic Press, Sheffield 1988.
- 20. 20 Cf. ELLIOTT, What Is Social-Scientific Criticismi, cit., 32-34.
*CLAUDIO GIANOTTO Torino (Italia), Nato nel 1950, insegna storia del cristianesimo antico presso la Facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Torino. Si è occupato di gnosticismo, giudaismo del II tempio, storia dell’esegesi, giudeo-cristianesimo.