NON E’ UNA CRISI. E’ IL FALLIMENTO DELLA CIVILTA’ DEL MONDO, di Roberto Mancini

*(Docente di Filosofia teoretica all’Università di Ma­cerata. Collabora con la rivista “Servitium, – Qualevita n. 155)“)

La fase storica che stiamo sperimentando non può essere riassunta nella parola “crisi”, anche se si dice che è una crisi morale e di civiltà. E’ qualcosa di più radicale. Da una parte la cosiddetta “crisi” è l’esito non dico di un complotto vero e proprio, ma di un cinico progetto che si attua sulla scia di interessi og­gettivamente convergenti. Il progetto è ispira­to dal neoliberismo e punta alla sostituzione della democrazia politica orientata alla di­gnità e ai diritti umani con la megamacchina del mercato.

L’oggettiva convergenza di interessi è quella che rende solidali tra loro le oligarchie finanziarie, le agenzie di rating, le banche centrali, il Fondo monetario internazionale, le oligarchie mediatiche e gli autocrati poli­tici, il ceto dei grandi managers, con il con­torno ideologico degli scribi contemporanei, rappresentato dagli economisti ortodossi di spicco, che orientano l’opinione pubblica, e dalle più illustri università private. Dal 2008 a oggi i governi occidentali, soprattutto quelli europei, non hanno affatto difeso la demo­crazia e i diritti umani da questo attacco, ma hanno continuato a servire con zelo la volontà dei Mercati. In questo, per stare solo alla situazione italiana, c’e una continuità di fatto e anche di tipo logico tra i governi Berlusco­ni – Monti – Letta. Le “larghe intese” sono già predeterminate da tempo e tacitamente nel fatto che tutti, o quasi, obbediscono alla logica neoliberista come se essa specchiasse la realtà intrascendibile e benefica del nostro tempo, quella di una società che crede di essere un mercato globale.

La riprova di questa distretta sta nel fatto che le cosiddette “risposte alla crisi” si muovono nella stessa logica che ha prodotto la “crisi” e finiscono per renderne strutturali gli effetti ne­gativi (si pensi alla tendenza di stabilire norme che precarizzano sempre più il lavoro e alla decisione di inserire in Costituzione il pareggio di bilancio o, ancora, come accadde al tempo del governo Berlusconi, al tentativo di abolire l’art. 41 della Costituzione perché, si disse, “frena la crescita”).

D’altra parte la cosiddetta “crisi” è, ancora più essenzialmente, un fallimento. E’ il falli­mento storico di una tradizione che, in Occi­dente, ha creduto nel potere come dominio, invece che nella giustizia, nella solidarietà, nella fraternità, nell’umanesimo fedele. E’ oggi evidente che il dominio non fonda davvero la convivenza interumana e con la natura e non garantisce alcun ordine sostenibile. Crea di­sordine, conflitti, sofferenze, lutti, radicalizza le iniquità, precarizza e immiserisce la vita di tutti.

Per questa ragione un rilancio della Costi­tuzione e della democrazia, soprattutto se ispirato al vangelo e al Concilio, non può ov­viamente essere ispirato da una visione “mo­derata” né estremista. Questa coppia di cate­gorie è effettivamente fuorviante e inservibile. Il rilancio deve muovere da una passione e da una visione che siano radicali e lucide. Occorre avere la saggezza e il coraggio di lavorare per cambiare il fondamento stesso. Si tratta di togliere la sovranità alla finanza, di tassarla e di regolamentarla, di impedire che sia la fonte delle scelte dei governi; si tratta di sviluppare la democrazia come con­dizione per la tutela delle persone e del bene comune, traducendo operativamente questi criteri e attuando la Costituzione.

Altrimenti, se si resterà confusi, incerti, timidi, contagiati dalla credulità nella stolta mitolog­ia dei Mercati, delle “riforme strutturali” e del neoliberismo, non sapremo scongiura­re un pericolo che mi sembra tutt’altro che astratto e improbabile.

Alludo al fascismo prossimo venturo. Dovremo lavorare molto per contrastarlo e sradicarlo il più possibile. Si fratta di un fascismo di nuova genera­zione, di cui c’è già modo di intravedere la conformazione a triangolo.

In un lato c’è la politica neutralizzata, fatta da “partiti” di gomma, poco distinguibili tra loro e confluiti in quelle larghe intese che nes­sun elettore italiano ha chiesto. L’inquietante risolutezza di Enrico Letta a governare per anni è la tipica espressione di questa presun­ta gestione neutrale della cosa pubblica, che è tale non tanto perché va oltre la differenza tra destra e sinistra, quanto perché licenzia la politica stessa sostituendola con l’esecuzione della volontà dei Mercati travestiti da Unione Europea. In questo scenario il Movimento 5 Stelle purtroppo è più un’aggravante che un fattore di Speranza. I suoi capi non è che non vogliano, a che proprio non sono in grado, per la loro mentalità, di contribuire al rilancio della democrazia. Comandano il movimento coltivando idee ciniche e micidiali, riassunte dalla pretesa di mantenere il reato di clande­stinità mentre ancora si recuperano i cada­veri davanti a Lampedusa. Sintesi: la politica istituzionale è quasi completamente priva delle correnti vitali della democrazia.

Da un altro lato c’è la “società civile”. L’im­portanza dei movimenti di base, delle lotte per tutelare i beni comuni, del risveglio de­mocratico sui territori è stata e rimane fon­damentale, come lo è il potenziale di citta­dinanza attiva che sussiste in una parte del volontariato. Ma non è il caso di consolarsi con la retorica della partecipazione della cosiddetta gente comune. Chi fa cosi non si avvede delta gravità della minaccia portata alla vita democratica in Italia e in Europa. Nel 1971 Danilo Dolci scrisse per gli editori Laterza un libro intitolato Non sentite l’odore del fumo?. Alludeva al possibile ritorno delle persecuzioni e di qualche aggiornata versio­ne dei forni crematori. Se allora il pericolo fu sventato è perché cittadini, movimenti, parti delle istituzioni e di alcuni partiti non si limitarono a gestire l’esistente, ma agirono per sviluppare la democrazia partendo dal riscatto dei marginali della società.

La gente comune siamo noi. Ma ci siamo visti? Abbiamo sentito i discorsi che escono dalle nostre labbra? Chi più chi meno, quasi tutti ripiegano sulla difesa della propria so­pravvivenza economica impauriti dall’inter­minabile crisi. E cominciano a inveire contro gli stranieri, i profughi, gli accattoni, gli irre­golari di qualsiasi specie e soprattutto contro i rom. L’altro giorno su un giornale locale ho letto il titolo “Emergenza senzatetto”. Crede­vo si riferisse al dramma di chi non ha un luogo dove passare la notte e rifugiarsi. Mi sbagliavo: l’emergenza erano i senzatetto stessi, dipinti come una minaccia alla sicurez­za pubblica. Si moltiplicano i sindaci-sceriffi che fanno ordinanze persecutorie contro i mendicanti e li considerano un problema di decoro urbano. E molti, tra la gente comune, sono contenti. I poveri sono giudicati come criminali; sui profughi la frase più gentile è del tipo “mica possiamo mantenerli a spese nostre”. E sovente lo dicono proprio quelli che evadono le tasse.

Se qualcuno, doverosamente, prova a pro­testare contro questa inciviltà, moltissimi — in ogni ambiente: credenti e non credenti, in­dividui dediti solo a se stessi e individui im­pegnati nel volontariato, giovani e adulti, moderati e progressisti — lo accusano di buo­nismo demagogico. Sintesi: sta crescendo la società incivile. Movimenti e partiti neofasci­sti sono ovunque in ascesa in Europa perché rappresentano la reazione più ovvia alle paure profonde della gente comune, vessata dal capitalismo globale, priva degli strumenti per capire le cause di ciò che sta accadendo e per ribellarsi.

Nel terzo e decisivo lato del triangolo ci sono le oligarchie globali, anzitutto finanzia­rie, che sono sì interessate alla democrazia, ma solo per trovare il modo di eliminarla. La “crisi” è il regalo che ci hanno fatto per per­petuare la loro economia surreale e oppressiva. Politica inetta o complice, società incivile e oligarchie che coltivano povertà, disoccu­pazione e precarietà: in questo triangolo la democrazia può sparire in poco tempo.

Sintesi: bisogna svegliarsi e pretendere de­mocrazia in ogni ambito, cominciando a liberare dall’oppressione gli impoveriti, gli esclusi, i marginali, i malgiudicati, tutti can­didati al ruolo di capro espiatorio non tanto dalla malvagità dei potenti, quanta dalla no­stra inerzia.

 

*(Docente di Filosofia teoretica all’Università di Ma­cerata. Collabora con la rivista “Servitium”)

 

 

 

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