Ce la facciamo una festa? di Salvatore Cubeddu
L’EDITORIALE DELLA DOMENICA. Il ‘bel’ Sant’Efisio. Il ritorno di Michela Murgia. Gli Svizzeri vengono a vedere il loro ‘cantone marittimo’.
Con una die de sa Sardigna ritornata in vari modi al suo statu nascenti, Sant’Efisio è stato applaudito come non mai. S’inghiriu di Cagliari non è diverso dalle altre processioni o cortei: anch’esso mette insieme persone che, incontrandosi, pensano di esorcizzare nella religione e nella socialità l’infinito dolore del mondo. In questo caso – come in quello dei ‘Candelieri’ a Sassari – si continua a ringraziare per la fine della terribile peste di quattrocento anni orsono. Ma stavolta nella lunga processione si coglieva un’accuratezza maggiore, incuriosiva la qualificazione geografica di coloro che sfilavano o, meglio, ti colpiva un nuovo ordinato incedere del corteo, la serietà degli atteggiamenti in preghiera, la consapevolezza di rappresentare un popolo in cammino. Fatto anche di bella gente, uomini e donne, ragazzi e ragazze.
Chi, fermo, ne fissava le fisionomie ed il portamento provava l’identificazione e l’orgoglio di essere parte di essa. Un moto dell’animo ed un fremito rari, che dovremmo concederci più di frequente. A volte è bello – se ne ha proprio bisogno! – confermarci nel positivo che siamo!
Ma questo 1 maggio senza la festa sarda del lavoro (se non lo striscione dei cassintegrati, cui resta solo l’invocarsi al senso di colpa dei seguaci del Santo, specie se autorità), ha portato due notizie, di cui la prima a disposizione di tutti.
Michela Murgia annuncia nei media che riprende il suo posto nella politica sarda, dopo l’elaborazione della delusione e della stanchezza, inevitabili dopo quella durissima ed interminabile campagna elettorale. Per i Sardi liberi sarebbe stata una buona opportunità andare a votarla per Strasburgo. Purtroppo, o per fortuna, non siamo fatti di ferro. Nel campo del rinnovamento della Sardegna c’è bisogno di tutti/e, specie dopo un’esperienza come la sua.
Seconda notizia: continua ad incuriosire l’opinione pubblica del Nord – Europa la decisione di un gruppo di professionisti cagliaritani di battersi per l’indipendenza della Sardegna, con la successiva proposta di federarsi con i 26 cantoni svizzeri, nella convinzione del reciproco vantaggio: i montanari dello stato montagnoso del Centro – Europa avrebbero ‘uno sbocco al mare’; i Sardi si affrancherebbero sia dallo stato italiano, ingeneroso ed oppressore, e sia dai ‘costumi’ del suo popolo e della sua classe dirigente.
Una troupe del principale canale televisivo svizzero era in città. Preparano un servizio che andrà in onda ai primi di giugno. La festa e la processione costituiscono una location ideale per parlare dell’Isola e dei fermenti al suo interno. Ovviamente lo spettacolo di ciò che filmano nelle strade di Cagliari li affascina.
L’ho incontrata perché presentatami da amici di un mio stretto parente, da sempre graditi ospiti dopo il passaggio di S. Efisio sotto casa. La troupe era con loro. Ho scoperto così che il giornalista svizzero intendeva registrare un incontro conviviale di indipendentisti sardi che conversavano dell’opportunità di chiedere ai propri concittadini, per poi proporlo agli svizzeri, di costruire un gemellaggio confederale al livello istituzionale, burocratico ed economico. Ve l’immaginate, avere a che fare con funzionari zurighesi, piuttosto che con il burocrate siciliano o con quello napoletano? O avere l’autonomia totale al livello culturale, con alle spalle la copertura del franco svizzero e la sua sicurezza dell’welfare?
Ai miei ospiti divenuti, nel corso degli ultimi mesi, appassionati indipendentisti sardi con l’occhio alla Svizzera, ho espresso la simpatia che si prova nello scoprire nei più giovani l’analoga convinzione che la prosperità dei sardi, come di tutti i popoli prosperi, dipende e si costruisce con la propria libertà.
Ma anche che l’adesione ai cantoni svizzeri di una Sardegna indipendente (con tutta la problematicità della cosa) farebbe i conti con le politiche estere dei due stati e, soprattutto, con l’Unione europea e l’eventuale sua crisi, insieme alla Nato e ad altri organismi internazionali dei quali la neutrale Svizzera non partecipa. E, invece, anche i Sardi sono interessati ad un’Europa autenticamente federale e ad un Mediterraneo dove il fondamentalismo islamico neanche si sogni di tornarci con le sue feluche (l’ultima volta che sono venuti in Sardegna a portarsi via la nostra gente è stato appena duecento anni fa!).
Queste mie argomentazione, però, non intaccavano l’ardore sardista dei miei neofiti indipendentisti, decisamente confermati nelle loro convinzioni dalla frequente interlocuzione con i media nord-europei e dall’indubbia originalità e appetibilità mediatica della loro proposta post-indipendentistica.
L’ultima immagine ci riprenderà sullo sfondo della bandiera dei quattro mori che sventola sopra la città e noi che ridiamo per un’ultima battuta: “la prima delle libertà è quella di fantasticare per la Sardegna un nuovo e differente futuro … è un diritto, non un lusso”. Non credo che la cinepresa abbia inquadrato il solo innovativo elemento indipendentistico che circondava il gruppo di professionisti: i vasi della provvista d’aglio in coltivazione, minimo segno di sovranità alimentare in un settimo piano di questa città da sogno.