Una assemblea degli amici e un libro collettaneo per Tito Orrù, di Gianfranco Murtas
Meritava tutto, il nostro Tito Orrù. Il sentimento personale e quello corale, la partecipazione diretta, il libro, i discorsi, le testimonianze, l’autorevolezza dei discorsi e la sincerità e copiosità delle testimonianze, nella serata dello scorso venerdì 28 marzo allo Spazio Search dell’Archivio storico municipale di Cagliari. Cento, centocinquanta i presenti, una sala troppo piccola benché prestigiosa – riportandoci a Bacaredda e al palazzo a lui intitolato – per contenere comodamente tutti.
Maria Corona Corrias è stata, con Marinella Ferrai Cocco Ortu, la promotrice della manifestazione che con intelletto d’amore, autentico eppure sobrio, direi pudico, ha saputo guidare per restituire il professore alla città che l’aveva accolto per i tre quarti della sua vita, e per restituirlo, direi, a ciascuno di noi – amici e allievi e collaboratori – che con lui avevamo intessuto un originale e irripetibile sodalizio. Ma anche per restituire noi a lui, che amiamo pensare vivente ancora, oltre il tempo, fra i buoni e i giusti. Proprio come deve essere, come non può non essere.
Si direbbe che il non tempo costituisca, come per definizione, lo stato di una memoria tutta al presente, sicché i compimenti degli inoltri avvenuti nel nostro mondo debbono essere, nel non tempo, come la pienezza di una conoscenza altrimenti o altrove impossibile. E quale singolare esperienza deve essere tutto questo per uno storico che nei saliscendi e negli attraversamenti dei tempi spalmati sui territori fisici e sociali ha costruito l’intera arte della sua esistenza!
Ripenso con struggimento – è la parola giusta –, per il professore come per ciascun essere umano, nell’ideale grembo di colui che Asproni, non dimentico del suo battesimo e dei sacramenti cristiani, chiamava, nel suo testamento, “Dio Creatore” («Credo in Dio Creatore e nella libertà repubblicana…») – alla conquistata pienezza della relazione affettiva con tutto il proprio albero genealogico in risalita, le generazioni in riaggancio verticale, per noi sardi magari fino e oltre i nuragici, per lui quelli certi del Sarcidano, chissà… Ma ripenso – con un gioco della mente che addolcisce la pena della separazione – anche a questa conquistata pienezza fiduciaria, di umanità con umanità, combinata alla persistenza del santo orgoglio per una trascorsa feconda militanza civile ed una sapienza professionale donata con amore prodigo a tutti.
Perché deve funzionare così, non può che essere così, nel non tempo. Lo debbo ripetere: vanno a compimento gli inoltri di generosità qui fra noi messi nella fatica quotidiana. E’ stato il primo pensiero che mi venne quando seppi, da una mail gentilmente inviatami da Paolo Bullita nel tardo pomeriggio del capodanno 2012, della morte del professore. La morte come ristoro non come pena. E che pena meriterebbe un generoso? Quel pensiero e insieme quello stato emotivo permangono e anzi si rafforzano ora che, a due anni e passa dal lutto condiviso, tutti ci siamo ritrovati per onorare una memoria e ripercorrere, insieme ma ciascuno anche per proprio conto, il film di una esperienza di vita, proprietà e tratto di una relazione che ci ha migliorati.
Ecco il soccorso all’amarezza della perdita… Li rivedo come in un ideale film mosso dall’affetto i compimenti confidenziali di Tito Orrù, nel non tempo. I compimenti delle relazioni con quei tanti spiriti magni recuperati dalla nicchia e, proprio perché storicizzati, riproposti in una modulazione di contemporaneità, secondo l’insegnamento di Benedetto Croce (nella sua “Teoria e storia della storiografia”) che non abbiamo dimenticato: «Solo un interesse della vita presente ci può muovere a indagare un fatto passato: il quale, dunque, in quanto si unifica con un interesse della vita presente, non risponde ad un interesse passato, ma presente»… sì, Mazzini e Garibaldi e Asproni soprattutto.
Hanno parlato di Tito Orrù, al Search, dopo la Corona Corrias, la perfetta presidente del comitato cagliaritano dell’Istituto per la Storia del Risorgimento italiano, la professoressa Luisa d’Arienzo, amica anche lei da antica data del professore e della sua famiglia, Paqujto Farina, presidente della Fondazione Giorgio Asproni, il professor Gianfranco Bottazzi, direttore del dipartimento di Scienze Sociali e delle Istituzioni, il quale all’interno della facoltà di Scienze Politiche ha seguito molti dei travagli legati alla pubblicazione dei sette volumi dei “Diari” asproniani…
Magistrali poi gli interventi, appassionati e dotti, e si faticherebbe a dire se più appassionati o più dotti, dei professori Luigi Lotti, già preside del Cesare Alfieri di Firenze, amico nostro – dico della Sardegna e della cultura democratica repubblicana – da sempre, Attilio Mastino, rettore della Università di Sassari e in stretti rapporti di collaborazione con Tito Orrù (il quale ha ricordato i frutti fecondi dell’intesa fra i due atenei isolani e la facoltà Teologica della Sardegna a presidenza Spaccapelo), Laura Pisano, docente di storia del giornalismo (la quale pure ha evocato episodi della umanità genuina di Tito Orrù e lumeggiato alcuni tratti del libro che in suo onore è stato stampato).
E poi le testimonianze “dal pubblico” – e fra esse, di speciale interesse, quella della professoressa Annita Garibaldi –, che hanno, ciascuna per un suo verso, aperto finestre sulle esperienze di studio e di relazione del professore con l’estero.
In quanto presidente della Deputazione di Storia Patria per la Sardegna, la professoressa d’Arienzo ha promesso la pubblicazione, nel prossimo volume di “Archivio Storico Sardo”, delle comunicazioni offerte dai diversi intervenuti. Sicché avremo presto, speriamo, la possibilità di ripassare notiziari e riflessioni e confidenze che Lotti, Mastino e Pisano, e tutti gli altri con loro, hanno proposto al vasto uditorio.
Un professore nel non tempo. L’ho immaginato, lo immagino il professore intento ai suoi compimenti, come dono gratuito di Dio Creatore. E con discrezione mi pare di potermici accostare, godendo di inediti fotogrammi, per comprendere e amare di più l’attore e gli altri con lui. Giunto alla stazione dei sapidi intuitivi conversari, è come tutta una folla ad accogliere il nostro professore, né qui v’è codice o vincolo di precedenze…
Ecco il Giovanni Siotto Pintor delle sue prime fatiche universitarie – della sua tesi di laurea anche, dopo che delle lunghe ricerche in Archivio di Stato e altrove – e la “signorina”, la Paola Maria Arcari della sua formazione accademica, e i tanti colleghi – fra i moltissimi il caro Lorenzo Del Piano, e Boscolo, e Sorgia, anche Sotgiu, e gli altri passati per Cagliari come Bulferetti e Tagliacozzo, tutti minatori d’archivio, con Loddo Canepa semaforista, e gli allievi perduti anzitempo, giovani sempre rimpianti perché di valore e meritevoli di riconoscimento e compenso.
M’immagino l’innocente entusiasmo di Tito Orrù all’incontro con Mazzini – Gius., il Maestro – e con Cattaneo e Garibaldi, titolari delle cattedre dell’intelligenza e della donazione, delle utopie che possono diventare realtà, delle patrie che si emancipano e si federano in libertà, gli amati capiscuola della variegata, multianime democrazia italiana, e con essi Ferrari, Bovio, Colajanni, Cavallotti… E con Giorgio Asproni, l’amato Asproni insieme con quel pezzo di ecumene democratica sarda – i Giovanni Battista Tuveri, i Gavino Soro Pirino, i Pietro Paolo Siotto Elias… e magari i più giovani Renzo Mossa, i Giuseppe Lampis e quant’altri, anche Salvatore Satta! –, l’ecumene testimoniale operante nell’Italia in divenire nazione e stato, lungo la complicata stagione del risorgimento e del postrisorgimento. E i giovani nel dopo ancora, nei duri cimenti del primo Novecento, attraversato dagli impatti tremendi della grande guerra – la quarta guerra d’indipendenza per gli interventisti come Cesare Battisti – e poi della dittatura, riscattati dal sogno del sardismo italiano, dell’autonomia sarda sognata e poi realizzata nella repubblica una e indivisibile: Lussu, Bellieni… Che scambi, che chiacchierate nel non tempo, del professore con quei tanti protagonisti studiati e ristudiati e biografati e segnalati ai suoi studenti, nelle aule di Scienze Politiche, anno dopo anno!
Con monsignor Demartis, finalmente, triangolando con Asproni si sarà finalmente fatto un’idea precisa di quel che dai diari e dall’epistolario del canonico ribelle, o dai suoi articoli di giornale (come anche i discorsi parlamentari) curati nella ristampa, ancora non zampillava chiaro e perfettamente lineare, pur se i giudizi erano sovente tranchant e definitivi… Per capire meglio, insomma, delle regìe vere o non vere dei moti di su Connottu e delle altre operazioni di disubbidienza ispirate, si diceva, sempre dal vescovo carmelitano amico di Pio IX.
Incontri, incontri. Quante possibili triangolazioni, fisso Asproni – ci mancherebbe! – e volta a volta Giovanni Antonio Sanna, o i suoi quattro generi, bollati uno dopo l’altro con parole di fuoco nei diari, quando si trattò di vestire i panni dell’esecutore testamentario…, o il senatore Giuseppe Musio e gli altri della deputazione sarda, ora amici ora avversari… Parlamentari, ecclesiastici, massoni, giornalisti, funzionari ministeriali e ministri, i vecchi colleghi del capitolo canonicale nuorese e i nuovi colleghi della Camera, i fratelli della loggia fiorentina Universo, i direttori dei giornali di Torino e quelli di Napoli, gli esponenti delle società operaie a partire da quella di Cagliari, l’amico del cuore Francesc’Angelo Satta Musio forse sopra tutti, caduto a Marreri lui rettore visionario e pragmatico (cinico a giudizio di alcuni), pedagogo e capitano di un podere modello unico in Barbagia… Tutti lì insomma, i protagonisti delle relazioni larghe e insistite di questo bittese sardo-italiano, di questo barbaricino pastorale amante raffinato e competente dei classici latini: mi piace proprio pensarli come in assemblea ad accogliere, empatici e simpatici, questo professore sardo di Orroli naturalizzato cagliaritano, piccolo di statura e dallo sguardo aperto, vispo anzi, facondo come un apostolo, per natura e vocazione, ma capace di ascolto, curioso e interrogante sempre, che di loro, ricavandone gli elementi dalle carte d’archivio, dagli inediti e dagli editi ripensati, tanto aveva scritto, riempiendo le giornate e formando, e direi infuocando, i suoi allievi…
Incontri, li immagino gli incontri e la ripresa della relazione adesso, nel non tempo, fra pari e pari. Finalmente di nuovo con Carlino Sole, il collega e amico che di poco l’aveva preceduto nel gran passo, e aveva portato tutta la sua scienza indagatrice del Settecento e dell’Ottocento e l’amore anche lui per il risorgimento europeo, non soltanto italiano, volto al risveglio delle nazionalità ma in chiave democratica, per la combinazione musiva nel continente, non per l’avversione ostile. E con Carlino da Padria che era stato novant’anni con noi – parimenti bravo nelle analisi e nelle sintesi, nella scrittura e nelle lezioni –, anche Bruno Josto Anedda, che il suo percorso l’aveva dovuto interrompere a 37 anni soltanto. Questo 2014 è il quarantesimo della perdita nostra, nostra intendo degli amici personali e nostra intendo dei repubblicani sardi, di quella fine intelligenza e di quella nativa vocazione di ricercatore… Tito Orrù e Bruno Josto Anedda, e naturalmente Carlino Sole e anche Virgilio Porceddu – caro Virgilio! –, e naturalmente la “signorina” e, con lei, il conte Enrico Dolfin.
Gli altri magni della ricerca asproniana li abbiamo fortunatamente con noi e sempre produttivi, e costituiscono un ponte d’oro fra quelle esperienze pionieristiche che abbiamo vissuto, anche per ragioni anagrafiche, soltanto di striscio, ed un oggi che vorremmo rendere più creativo di quanto ancora non siamo riusciti: Maria Corona Corrias in testa a tutti con il suo fondamentale “Canonico ribelle” e con quell’altro precedente e illuminante studio su “Stato e Chiesa nelle valutazioni dei politici sardi (1848-1853)”, e con quant’altri studi e saggi e contributi a libri e convegni da cui emergono insieme il rigore della dottrina e l’umanità dell’approccio ai soggetti rivisitati. E con lei Nico Selis, Stefano Pira, i più giovani ricercatori, la Lilliu, adesso la Pau e la Falchi… Fra le belle frequentazioni e fra le belle collaborazioni aggiungo Stefan Delureanu, l’anzianissimo mazziniano (e studioso) della Romania.
E Spadolini? Lo storico per molti versi di riferimento, fra i risorgimentisti quello che s’era distinto, ancora giovanissimo, per i nuovi filoni di ricerca (anticipati sul “Mondo” di Mario Pannunzio) lungo i crinali della doppia opposizione allo stato liberale ed elitario della destra cavouriana e postcavouriana: quella cattolica, o clerical-cattolica, e quella laica, di taglio repubblicano e radicale. Con quegli speculari voti di puritanesimo ideologico fino alla astensione elettorale, con quelle scelte massime di estraneazione dalla vita istituzionale della nuova Italia affermatasi nell’ostilità del papato e nella sconfitta dei democratici, pur fossero unitari o federalisti: astensione che un bravo psicologo definirebbe oggi avversiva… e dava però la misura del trauma e della sofferenza dei perdenti (riscattati un giorno lontano, anche tra passaggi necessariamente autocritici, gli uni dalla stagione conciliare, gli altri dalla costituzione postbellica).
Con Spadolini, Tito Orrù i rapporti li aveva avuti sì, genericamente, all’interno degli schieramenti accademici nazionali, ma l’esplosione d’amore s’era poi collegata agli studi asproniani – a cominciare dal convegno di Nuoro del 1979, con quella prolusione di altissimo standing, manco a dirlo – e anche al congresso dell’Istituto per la Storia del Risorgimento italiano che nel 1986 aveva fatto piazza a Cagliari – tra i saloni della Fiera internazionale e quelli del Banco di Sardegna –, e tematicamente dedicato alle capitali preunitarie.
Io non me lo dimentico quel che si disse in quegli anni lì, e prima e dopo, a proposito delle promozioni a ordinario. Non passò Tito Orrù, che pure i titoli li aveva tutti, nella grande lottizzazione nazionale che andava per potentati accademici, o politico-accademici e premiava così, attraverso i prescelti “d’area”, questa sede o quell’altra. E Cagliari andò quella volta, l’ultima possibile per il nostro professore,… ai comunisti (con tutto il rispetto per le persone, s’intende).
Spadolini e Tito Orrù. Può essere un filone di ricerca. Io me li immagino, il gigante fiorentino – sono vent’anni fra breve che anch’egli s’è involato, dopo aver reso la sua ultima buona, santa testimonianza politica votando contro l’annuncio, o la mendace promessa del governo (in realtà sgoverno) della destra populista – e il nostro minuto professore sardo, radicato sempre nelle idealità della sinistra autonomista, fedele ai lasciti dei Maestri italiani e sardi.
Fra questi ultimi come potrebbero non essere presenti all’abbraccio Titino Melis, e Pietro Melis e gli altri del Partito Sardo della militanza giovanile, quelli delle liste presentate dai Quattro Mori ora alle politiche nazionali ora alle amministrative? Lo ricordo, Tito Orrù, candidato nel 1958 con altri quindici – capolista Giovanni Battista Melis – alla Camera, nel quadro dell’accordo con gli olivettiani di Comunità e il Partito piemontese dei contadini. Titolo professionale nella scheda: “Assistente universitario”, con il prudenziale accompagnamento di “Indipendente”. Un replay c’era stato due anni dopo, alle comunali del capoluogo, ancora nella lista sardista con contributo repubblicano. Lui, al numero 33 dell’ordine alfabetico, ancora con la qualifica accademica del 1958, senza però la specifica dell’Indipendente. Negli anni ’70 non si sarebbe negato alla firma di un appello elettorale a favore di Lello Puddu, esponente di quel Partito Repubblicano per lunghi decenni alleato ideale e politico del sardismo italianista (non nazionalitario e non indipendentista).
Ma fra i conversari intuitivi, nel non tempo del quale il professore nostro s’è fatto cittadino, qualche coordinata di maggior complessità l’avrà portata, immagino io, quello con Eusebio da Cagliari, vescovo della comunità cristiana di Vercelli, primo pastore del Piemonte, ordinato nell’anno 345, poi padre conciliare a Milano, convinto sostenitore del Simbolo di fede niceno negli stessi anni in cui la Chiesa sarda vantava un Lucifero vescovo della maggior sede cagliaritana. Era stato nel 1996 che Tito Orrù aveva partecipato, con una robusta relazione di fianco a quella centrale del professor Attilio Mastino, al convegno promosso dal circolo culturale sardo “Su Nuraghe” di Biella (ma con conclusioni a Cagliari) all’insegna di “Eusebio da Cagliari alle sorgenti di Oropa”. E se il professor Mastino, da par suo, aveva trattato di “La Sardegna cristiana in età tardo-antica”, il nostro professor Orrù aveva frugato nei secoli – insistendo sull’Ottocento ma con gli inevitabili rimandi al Cinquecento ed ai due secoli successivi – alla ricerca degli elementi d’interesse e di culto presenti e persistenti nell’Isola attorno alla figura del santo vescovo.
Sono emozioni, sono- i miei – sogni, sono fantasie, sono intuizioni. Rimangono i ricordi, il dolore per lo strappo, il bisogno di partecipare agli onori da rendere a un uomo dotto e probo, che è stato importante nella vita di molti (e nella mia).
Qualche tratto, e anche qualche tappa, della sua complessa carriera e attività anche negli anni impegnatissimi del pensionamento, meriterebbe aggiungerlo perché finora non incluso nell’elenco. Citerei almeno la collaborazione prestata alle logge sarde in diverse occasioni, non soltanto a Cagliari ma soprattutto a Cagliari. Ricorderei la sua partecipazione ad una manifestazione asproniana a palazzo Sanjust, nel capoluogo, nell’autunno 2006. In quella occasione, il gran maestro aggiunto Anania gli conferì la decorazione dell’ordine di Galileo Galilei, massima onorificenza del Grande Oriente d’Italia concessa a eminenti personalità profane. E ricorderei, in proposito, la commozione autentica, profonda, profondissima anzi, del professore per un riconoscimento inaspettato che, chissà, lo associava più intimamente al suo Asproni!
A tal proposito richiamerei anche la frequente collaborazione offerta alle iniziative dell’Associazione Giorgio Asproni a presidenza Idimo Corte, spesso promotrice di belle manifestazioni a cavallo fra cultura democratica laica (nonostante nel direttivo non manchino… i tardi democristiani!) e istituzione liberomuratoria. Ed anche una vicinanza più volte marcata, con spirito ecumenico, alle attività convegnistiche e di studio della Comunione di Palazzo Vitelleschi: in particolare al convegno cagliaritano del maggio 2009 su “Massoneria Esercito e Monarchia nel regno d’Italia” con una relazione su “La tradizione garibaldina in Sardegna ed i garibaldini sardi nel secolo XIX e nei primi decenni del XX” (in cui il professore proponeva anche una dettagliata scheda – pubblicata negli atti del convegno – sul censimento nominativo dei soggetti impegnati nel movimento).
C’è poi il libro. Pubblicato sotto il titolo di “Numero speciale in memoria di Tito Orrù” e stampato dalla cagliaritana Arkadia, il testo costituisce una speciale edizione di quel “Bollettino Bibliografico e Rassegna Archivistica e di studi storici della Sardegna” che, per giusto trent’anni, riempì molto del tempo ed impegnò molte delle migliori energie del professore. Nella rivista egli riversò molte ricerche sue datate e recenti, offrendo campo anche a collaudati studiosi ed a giovani collaboratori di pubblicizzare le proprie fatiche.
Proprio onorando il professor Orrù, merita di essere sfogliato, il volume di ben 445 pagine splendidamente curato da Maria Corona Corrias, seguendo la doppia direttrice delle testimonianze personali e degli articoli-saggi.
Mi riprometto di entrare quanto prima in argomento.