Civiltà nuragica: una mostra nel segno di Lilliu alla torre di San Pancrazio in Cagliari
Esposti migliaia di reperti, molti gli inediti
Un futuro museo da dedicare all’archeologia nuragica. Soprattutto dopo che gli ultimi ritrovamenti hanno evidenziato come quella cultura non fosse certo minoritaria all’interno del bacino del Mediterraneo, al contrario espressione di un popolo al centro di importanti scambi dalla Spagna all’Italia. Da qui è auspicabile una presa di coscienza che faccia cambiare il passo, per primo agli amministratori pubblici, con l’obiettivo di trasformare i nostri enormi giacimenti culturali in occasione di crescita e sviluppo. Necessario perciò lasciare da parte i campanilismi per mettersi in rete allo scopo di sviluppare il turismo e il lavoro. Più che un libro dei sogni è sembrata una esortazione lanciata all’unisono ieri mattina dalla direttrice regionale per i beni culturali Maria Assunta Lorrai e il Soprintendente per i Beni archeologici di Cagliari e Oristano Marco Minoja. E quale migliore occasione se non quella della presentazione della esposizione che si è inaugurato sabato sera nei locali della torre di San Pancrazio che viene dedicata al ricordo del “Sardus Pater”, l’archeologo Giovanni Lilliu di cui proprio l’altro giorno cadeva il centenario della sua nascita. “L’isola delle torri, Giovanni Lilliu e la Sardegna nuragica” è d’altra parte un ghiotto evento culturale che se da una parte fa il punto sugli ultimi trenta anni di ricerche è, allo stesso tempo, un’opportunità mediatica eccezionale perchè con il suo spostamento,a novembre, nel museo Pigorini di Roma riporterà al centro dell’attenzione nazionale e internazionale l’Isola dei Nuraghi, con non trascurabili ricadute sul piano dell’immagine e della promozione turistica. Anche perchè «In Italia si conosce molto poco di questa affascinante storia – ha ricordato Lorrai – e per ricordare un evento simile occorre tornare indietro al 1985 quando a Milano venne allestita una mostra ad hoc». Collezione curata da Gianfranca Salis e Luisanna Usai che raccoglie migliaia di reperti, molti di cui inediti, parte di questi provenienti da un grosso sequestro di opere a Torino e un altro in Germania a Karlruhe, ha ricordato Minoja. «Doveva essere un evento – ha raccontato il Soprintendente – all’altezza di quello che Lilliu ha dato alla Sardegna. Cioè un sistema di interpretazione della sua storia. Una chiave di lettura a monumenti che prima di lui erano avvolti da un’aura di mistero e mitologia. Lui invece li ha inseriti in un contesto storico continentale, mediterraneo ed europeo. Con relazioni che vanno alle culture dell’età del bronzo fino a quelle successive del primo millennio. La mostra ha richiesto sforzi grossi nella raccolta di materiali. Ma finalmente possiamo narrare un percorso originale attraverso, l’acqua, il metallo e la pietra, elementi che caratterizzano fortemente la civiltà nuragica. Un percorso che vuole legare la mostra stessa alla Sardegna, terra che si caratterizza per una conservazione stupefacente del paesaggio archeologico in un modo che non esiste in alcuna parte al mondo. Un territorio vasto di cui una buona fetta si conserva in modo integro e originale. Non esiste un posto così dove si può passeggiare tra documenti dell’età del bronzo, medio etc… ». A questo scopo è nata l’idea di uno scambio tra esposizione e siti archeologici. Chi acquisterà il biglietto per visitare l’esposizione potrà avere infatti uno sconto per visitare i siti e viceversa. L’obiettivo è quello di dare stimoli per scoprire. Si sfaterà anche un mito. Quello che la cultura dell’età del ferro nell’Isola fosse decadente. «La ricerca va sempre avanti. Qui – continua Minoja – si esporranno oggetti rinvenuti negli ultimi trenta anni, e in questo si darà qualche tassello in più per conoscere meglio la civiltà nuragica. Iniziando dal racconto di una civiltà del ferro estremamente vivace e attiva. Un’età che prima veniva raccontata come momento declinante e che invece mostra una vitalità impressionante grazie ai reperti di mezza Europa. Materialli metallici che provengono dai commerci con gli etruschi, il mondo campano… Commerci anche di raggio lunghissimo che collegano regioni metallifere spagnole e ritornano nella penisola italiana passando per la Sardegna, uno snodo di fertile attività. Ed è una autentica novità che dimostra come questa fosse una terra capace di confrontarsi con il mondo d’allora».