Il capitalismo contro la democrazia, di Thomas B. Edsall
New York Times – Gennaio 29, 2014, Traduzione di Gianni Mula
Si tratta di un libro che trasformerà il dibattito in corso sulla situazione dell’economia globale mettendo al centro dell’attenzione la crescente disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza. Piketty analizza l’andamento temporale di un’immensa quantità di dati provenienti da 20 paesi, dal settecento ad oggi, per comprendere la relazione che lega l’andamento dell’economia con le trasformazioni sociali. L’opinionista del New York Times Thomas Edsall ne fa una accurata recensione, riportandone anche due grafici, presentando con molta chiarezza la tesi fondamentale del libro. Tesi che si può esprimere così: Sin quando nella nostra economia globalizzata il tasso di remunerazione del capitale non sarà vincolato da parametri oggettivi, finirà inevitabilmente col superare il tasso di crescita dell’economia, producendo di conseguenza disuguaglianze nella distribuzione del reddito tali da metter in pericolo le istituzioni democratiche. Ma gli andamenti economici non sono leggi divine. La politica in passato ha impedito che la disuguglianza raggiungesse limiti pericolosi. Potrebbe farlo di nuovo, ma bisogna che lo voglia.
NYTimes – Gennaio 29, 2014
Il capitalismo contro la democrazia
di Thomas B. Edsall
Traduzione di Gianni Mula
Il nuovo libro di Thomas Piketty, “Il sistema capitalistico nel ventunesimo secolo”, descritto da un giornale francese come “un bulldozer politico e teorico”, sfida l’ortodossia di sinistra e di destra, sostenendo che il peggioramento della disuguaglianza è una conseguenza inevitabile del capitalismo del libero mercato .
Piketty, professore presso la Paris School of Economics, non si ferma qui. Egli sostiene che è la dinamica intrinseca del capitalismo ad alimentare le potenti forze che minacciano le società democratiche .
Secondo Piketty è il sistema capitalistico a far sì, sia nei paesi sviluppati che in quelli in via di sviluppo,che gli imprenditori finiscano sempre per guadagnare di più di coloro che possiedono solo il proprio lavoro. È vero che le economie dei paesi emergenti possono a breve termine sconfiggere questa logica, ma nel lungo periodo, dice Piketty, “non si può porre alcun limite a chi stabilisce da sé il proprio stipendio”, a meno che di non ricorrere a un “livello di tassazione talmente alto da costituire di fatto una confisca”.
Il libro di Piketty – pubblicato quattro mesi fa in Francia e che uscirà in inglese questo marzo – suggerisce che le politiche tradizionali dei governi liberali sulla spesa, la tassazione e la regolamentazione non riusciranno a diminuire le disuguaglianze. Piketty ha anche reso pubblico il suo pensiero attraverso una serie di conferenze in francese e in inglese che illustrano la sua tesi .
I lettori conservatori troveranno che il libro di Piketty contesta la tesi che il libero mercato, se liberato dagli effetti distorsivi causati dagli interventi governativi, “distribuisce fra tutti”, secondo la ben nota frase di Milton Friedman, “i frutti del progresso economico. È questo il segreto degli enormi miglioramenti nelle condizioni dei lavoratori negli ultimi due secoli ” .
Piketty sostiene invece che l’aumento della disuguaglianza è generato da mercati del lavoro che funzionano proprio come dovrebbero: ” Questo non ha niente a che fare con le imperfezioni del mercato: più è perfetto il mercato dei capitali, più è alto “il tasso di remunerazione del capitale in confronto al tasso di crescita dell’economia. Maggiore è il rapporto , maggiore la disuguaglianza .
In una recensione di 20 pagine per il numero di giugno del Journal of Economic Literature, che ha già suscitato grande scalpore, Branko Milanovic, economista nel dipartimento di ricerca della Banca Mondiale, ha dichiarato :
“Sono riluttante a chiamare il nuovo libro di Thomas Piketty uno dei migliori libri scritti in economia negli ultimi decenni. Non che io non creda che lo sia, ma c’è un’inflazione di recensioni con giudizi positivi e spesso i contemporanei non sono buoni giudici di ciò che nel lungo periodo può rivelarsi davvero influente. Con queste precisazioni, lasciatemi dire che siamo in presenza di uno dei libri che costituiscono uno spartiacque nel pensiero economico “.
Ci sono un certo numero di argomenti chiave nel libro di Piketty. Uno è che il periodo di sei – dieci anni di crescente eguaglianza nelle nazioni occidentali – a partire grosso modo dall’inizio della Prima Guerra Mondiale fino ai primi anni 1970 – è stato un caso unico ed è altamente improbabile che si ripeta. Questo periodo, suggerisce Piketty, rappresenta un’eccezione rispetto a una tradizione ben più consueta e radicata di crescente disuguaglianza.
Secondo Piketty quei sei sereni decenni sono stati il risultato di due guerre mondiali e della Grande Depressione. I capitalisti – quelli al vertice della piramide della ricchezza e del reddito – avevano ricevuto una serie di botte devastanti. Tra queste, la perdita di credibilità e di autorità generato dal crollo dei mercati, dalla distruzione fisica del capitale in tutta l’Europa sia nella prima guerra mondiale che nella seconda; l’innalzamento delle aliquote fiscali, in particolare sui redditi più alti, per finanziare le guerre; alti tassi di inflazione che hanno eroso il patrimonio dei creditori; la nazionalizzazione delle principali industrie sia in Inghilterra che in Francia; e infine l’esproprio delle industrie e dei beni nei paesi post-coloniali.
Allo stesso tempo la Grande Depressione ha prodotto negli Stati Uniti il New Deal di Franklin Delano Roosevelt, che ha dato potere reale al movimento operaio. Nel dopoguerra ci sono stati enormi vantaggi in termini di crescita e produttività, i cui benefici sono stati condivisi con i lavoratori, grazie al forte sostegno del movimento sindacale e del partito democratico. Il sostegno per una politica sociale ed economica liberale (= socialmente progressista, NdT) era così forte e diffuso che anche un presidente repubblicano che fu eletto con largo margine due volte, Dwight D. Eisenhower, si rese conto che un assalto alla New Deal sarebbe stato inutile. Nelle parole di Eisenhower: “Se un partito politico tentasse di abolire il sistema di protezione sociale, l’assicurazione contro la disoccupazione, ed eliminasse le leggi sul lavoro e i programmi agricoli, scomparirebbe dalla nostra storia politica . “
I sei decenni tra il 1914 e il 1973 si distinguono da ciò che c’è stato prima e da ciò che ci sarà nel futuro, secondo Piketty, perché il tasso di crescita economica superiore è stato superiore al tasso di remunerazione, al netto delle imposte, del capitale. Da allora il tasso di crescita dell’economia è diminuito, mentre la remunerazione del capitale sta tornando ai livelli di prima della I Guerra Mondiale.
“Se il tasso di remunerazione del capitale rimane stabilmente al di sopra del tasso di crescita dell’economia – questa è la relazione chiave sulla disuguaglianza di Piketty”, scrive Milanovic nella sua recensione, “si genera un meccanismo di variazione della distribuzione del reddito a favore del capitale e, se i redditi da capitale sono più concentrati dei redditi da lavoro (fatto incontrovertibile), la distribuzione del reddito personale diventerà sempre più diseguale – come abbiamo visto negli ultimi 30 anni”. Piketty ha prodotto il grafico a Fig. 1 per illustrare il suo risultato principale.
Fig. 1 – Tasso di rimunerazione del capitale (dopo le tasse e tenendo conto delle perdite) rispetto al tasso di crescita dell’economia, a livello mondiale, dall’antichità fino al 2100 .
L’unico modo per fermare questo processo, sostiene Piketty, è quello di imporre una tassa progressiva sulla ricchezza globale – globale al fine di evitare (tra le altre cose) il trasferimento di attività verso paesi senza tali prelievi. Una tassa globale, in questo schema, limiterebbe la concentrazione della ricchezza e limiterebbe il reddito che va al capitale.
Piketty imporrebbe una tassa annuale graduata su azioni e obbligazioni, immobili e altre attività che non sono abitualmente tassate fino a quando non vengono vendute. Lascia aperto il tasso e la formula per la distribuzione dei ricavi.
Fig . 2 :Settore non agricolo: la quota del lavoro (US Department of Labor)
La diagnosi di Piketty aiuta a spiegare il recente calo della quota di reddito nazionale che va al lavoro (vedi figura 2) e un parallelo aumento della quota destinata al capitale.
L’analisi di Piketty getta luce anche sulla crescita mondiale nel numero dei disoccupati. L’Organizzazione Internazionale del Lavoro, agenzia delle Nazioni Unite, ha riferito di recente che il numero dei disoccupati è cresciuto di 5 milioni dal 2012 al 2013, raggiungendo quasi 202 milioni entro la fine dello scorso anno. Esso è destinato a crescere a 215 milioni entro il 2018 .
La soluzione di un’imposta sul patrimonio proposta da Piketty va contro i principi dei conservatori americani contemporanei che sostengono politiche pubbliche antitetiche: eliminazione delle tasse sulla proprietà e taglio delle tasse ai livelli più alti. Andrebbe inoltre contro gli interessi di quei paesi che hanno volutamente introdotte aliquote fiscali basse al fine di attrarre investimenti. La stessa difficoltà di istituire una tassa sul patrimonio che valga in tutto il mondo rafforza la tesi di Piketty dell’inevitabilità di una disuguaglianza crescente.
Anche qualche liberale (= americano progressista) non è tanto in linea con Piketty.
Dean Baker, uno dei fondatori del Centro per la Ricerca Economica e Politica, mi ha scritto in una email che crede che Piketty sia “troppo pessimista”. Baker sostiene che ci sono molti provvedimenti meno ambiziosi, ma che potrebbero contribuire a ridurre la disuguaglianza:
“Siamo davvero convinti che non vedremo mai alcun tipo di tasse sulla finanza negli Stati Uniti, sia la tassa sulle transazioni finanziarie che io preferirei o quella sulle attività finanziarie sostenuta dal FMI? “
Baker ha anche osservato che “gran parte del nostro capitale è legato alla proprietà intellettuale” e che una riforma delle leggi sui brevetti potrebbe servire sia per limitare il valore dei brevetti (sui farmaci e sulle altre opere d’ingegno) e simultaneamente abbassare i costi per i consumatori.
Lawrence Mishel, presidente dell’Istituto di politica economica, ha risposto alla mia e-mail per chiedere la sua opinione su Piketty :
“Noi pensiamo che questo fenomeno sia legato alla soppressione della crescita dei salari così che un antidoto potrebbero essere politiche che generino una crescita dei salari ad ampio spettro. In economia politica perché sia realistico pensare a simili imposte bisogna che ci siano la mobilitazione della cittadinanza e un robusto movimento operaio”.
Daron Acemoglu, un economista del MIT più vicino al centro, ha elogiato l’attenta ricerca di dati da parte di Piketty, così come la sua enfasi sulle forze economiche e sui conflitti politici sulla distribuzione dei redditi che sta alla base della disuguaglianza. In una email, Acemoglu continuato così:
“Non condivido una parte della sua interpretazione. Piketty sostiene che nelle economie ‘capitalistiche’ (il termine capitalista non è il mio preferito) vi è una tendenza naturale a un’alta disuguaglianza, e che certi eventi insoliti (guerre mondiali, la Grande Depressione e relative risposte politiche) hanno temporaneamente ridotto la disuguaglianza. Dopo di che sia la disuguaglianza dei redditi che quella tra capitale e lavoro stanno ritornando indietro ai livelli “normali”. Non credo che i dati ci permettono di raggiungere questa conclusione . Tutto ciò che vediamo è questo modello di caduta e ascesa, ma ci sono tante altre cose che cambiano allo stesso tempo. Le variazioni sono in accordo con quello che dice Piketty, ma sono compatibili anche con alcuni cambiamenti tecnologici e con altri fenomeni di discontinuità (o globalizzazione) che potrebbero aver creato l’aumento della disuguaglianza, per poi stabilizzarla o addirittura invertirne il cammino nei prossimi decenni. Sono inoltre compatibili con le dinamiche del cambiamento del potere politico e questo è importante nello studio della crescita della disuguaglianza nelle economie avanzate. Potremmo avere una combinazione di andamenti diversi causati da una serie di differenti gravi shock economici, anziché l’andamento medio di ritorno all’equilibrio che Piketty sceglie”.
Vi sono, tuttavia, significativi apprezzamenti di parte progressista per il lavoro di Piketty.
Richard Freeman, economista di Harvard specializzato negli studi sulla disuguaglianza, sui sindacati e sui modelli occupazionali, mi ha scritto via e-mail :
“Sono in accordo al 100 per cento con Piketty e vorrei aggiungere che gran parte della disuguaglianza sul lavoro arriva perché percettori di alti vengono pagati con stock options e con quote di proprietà del capitale”.
Freeman e due colleghi, Giuseppe Blasi e Douglas Kruse, docenti presso la Scuola del Lavoro e Gestione delle Relazioni presso la Rutgers University, sostengono nel loro libro del 2013, “La quota del Cittadino: rimettere la proprietà in Democrazia”, che sono un’alternativa a una tassa globale sulla ricchezza. Essi sostengono che :
“La strada giusta è ora quella di una riforma della struttura del business americano in modo che i lavoratori possano integrare i loro stipendi con quote significative della proprietà, dei redditi da capitale e del profitto delle azioni”.
In altre termini, diventiamo tutti capitalisti.
Piketty non considera la proprietà delle aziende da parte dei lavoratori una soluzione realistica, e ignora le riforme di piccolo calibro, sostenendo che il loro effetto sulla crescita economica a livello mondiale (che egli ritiene sarà l% – 1,5% per tutto il resto di questo secolo) non potrà in generale che essere molto modesto.
Piketty si unisce a un certo numero di studiosi che sollevano questioni importanti su come il sistema economico mondiale si occuperà di fenomeni come la robotica, lo svuotamento del mercato del lavoro, l’outsourcing e la concorrenza globale .
La sua prognosi è estremamente desolante. Senza quella tassa sul patrimonio a livello globale che egli propone, e che ammette sia politicamente irrealistica, egli prevede che gli Stati Uniti e il mondo sviluppato raggiungeranno un grado di disuguaglianza tale da creare la distruzione del tessuto sociale.
Un giudizio finale sul lavoro di Piketty si potrà dare solo col tempo – e questo è un problema in sé e per sé, perché se ha ragione, la disuguaglianza continuerà a peggiorare, rendendo ancora più difficile intraprendere azioni preventive.
(Traduzione di Gianni Mula)