Rapporto Ue sulla corruzione: legge italiana insufficiente, un costo da 60 miliardi annui. La metà dell’intera Europa!

Il primo report della Commissione è impietoso con l’Italia: conflitto d’interesse, leggi ad personam, lunghezza dei processi e conseguente prescrizione, le collusioni tra politica, imprenditoria e criminalità, appalti truccati. Senza farne i nomi, l’organismo porta ad esempio i casi Berlusconi e Cosentino

BRUXELLES - Giudizi durissimi sull’Italia nel primo report della Commissione Ue sulla corruzione in Europa. Dove si legge che la nuova legge italiana contro la corruzione “lascia irrisolti” vari problemi perché “non modifica la disciplina della prescrizione, la legge sul falso in bilancio e l’autoriciclaggio e non introduce reati per il voto di scambio”. Secondo il rapporto, tre quarti dei cittadini europei, e il 97% degli italiani, ritengono che la corruzione sia diffusa nel proprio Paese. E per due europei su tre, e per l’88% degli italiani, le mazzette e l’utilizzo di legami, sono il modo più semplice per ottenere alcuni servizi pubblici.

Corruzione in Italia vale 4% del Pil. Nonostante la “legge anticorruzione” adottata nel novembre 2012 e “gli sforzi notevoli profusi dall’Italia” per combattere il fenomeno, questo “rimane preoccupante” secondo la Commissione Ue, ricordando che il suo valore in Italia è di circa 60 miliardi all’anno, pari a circa il 4% del Pil. Ad aggravare il giudizio sull’Italia è il dato sulla corruzione a livello Ue: 120 miliardi di euro annui, un costo a cui il nostro Paese “contribuisce” per metà dell’intero ammontare.

Legge anticorruzione italiana insufficiente. Bruxelles suggerisce di perfezionare la legge, anche perché “frammenta” le disposizioni sulla concussione e la corruzione, “rischiando di dare adito ad ambiguità nella pratica e limitare ulteriormente la discrezionalità dell’azione penale”. Sono inoltre “ancora insufficienti le nuove disposizioni sulla corruzione nel settore privato e sulla tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti.

Leggi ad personam e conflitto d’interessi. Il report Ue sulla corruzione rileva che “i tentativi” di darsi norme per garantire processi efficaci sono stati “più volte ostacolati da leggi ad personam” approvate in Italia “in molte occasioni” per “favorire i politici imputati in procedimenti giudiziari, anche per reati di corruzione”. Norme come il lodo Alfano, la ex Cirielli, la depenalizzazione del falso in bilancio, il legittimo impedimento. La Commissione Ue suggerisce all’Italia di rafforzare il quadro giuridico e attuativo sul finanziamento ai partiti politici, soprattutto per quanto riguarda le donazioni, il consolidamento dei conti, il coordinamento, mettere in atto adeguati poteri di controllo e prevedere l’applicazione di sanzioni dissuasive.

Problema prescrizione: il caso Berlusconi-Mills. La prescrizione è un problema “particolarmente serio per la lotta alla corruzione in Italia”, secondo Bruxelles, perché termini, regole e metodi di calcolo, sommati alla lunghezza dei processi, “determinano l’estinzione di un gran numero di procedimenti”. Come esempio si indica (pur senza fare nomi) il processo Mills, con l’ex premier Berlusconi prosciolto “per scadenza dei termini di prescrizione”. L’Ue ribadisce la necessità di colmare le lacune e di dare priorità a procedimenti per corruzione a rischio prescrizione.

Le colpe della politica. La Commissione Ue non è tenera neanche con la classe politica italiana. “In Italia i legami tra politici, criminalità organizzata e imprese, e lo scarso livello di integrità dei titolari di cariche elettive e di governo sono tra gli aspetti più preoccupanti, come testimonia l’alto numero di indagini per corruzione”, si afferma nel primo report sulla corruzione in Europa.

La relazione di Bruxelles, nella parte dedicata all’Italia, rileva come “negli ultimi anni sono state portate all’attenzione del pubblico numerose indagini per presunti casi di corruzione, finanziamento illecito ai partiti e rimborsi elettorali indebiti, che hanno visto coinvolte personalità politiche di spicco e titolari di cariche elettive a livello regionale”. Scandali che hanno portato a una serie di dimissioni, anche di leader e di alte cariche di partito, a elezioni regionali anticipate in un caso, e hanno spinto il governo a sciogliere alcuni consigli comunali per presunte infiltrazioni mafiose.

Il caso Cosentino. Come caso “degno di nota”, il report segnala quello di “un parlamentare indagato per collusione con il clan camorristico dei Casalesi (l’ex coordinatore Pdl in Campania Nicola Cosentino, di cui non viene citato il nome). La relazione evidenzia inoltre come solo nel 2012 sono scattate indagini penali e ordinanze di custodia cautelare nei confronti di esponenti politici locali in circa metà delle 20 Regioni italiane, sono stati sciolti 201 consigli municipali, di cui 28 dal 2010 per presunte infiltrazioni criminali e più di 30 deputati della precedente legislatura sono stati indagati per reati collegati a corruzione o finanziamento illecito ai partiti.

Appalti truccati. C’è poi il problema delle gare d’appalto truccate, quelle in cui la partecipazione è richiesta “pro forma” e il vincitore è in realtà già stato deciso precedentemente a tavolino. Fenomeno che si verifica in oltre il 63% delle violazioni delle regole. Il conflitto di interesse – cioè l’attribuzione a parenti o amici – è “appena” al 23%.

Rafforzare integrità dei politici. La Commissione europea pubblica quindi le raccomandazioni per invertire la tendenza. Al nostro Paese si chiede di “rafforzare l’integrità per i rappresentanti eletti attraverso codici etici”, includendo “responsabilità” per i diretti interessati. In tal senso, “tutte le lacune dello statuto del regime di limitazione devono essere affrontate senza indugio”.

Estendere poteri Civit. La Commissione raccomanda di “estendere i poteri e sviluppare la capacità dell’autorità nazionale anticorruzione Civit in modo che possa reggere saldamente le redini del coordinamento e svolgere funzioni ispettive e di supervisione efficaci, anche in ambito regionale e locale”. Bruxelles evidenzia che la Civit “composta solo da tre membri e con un organico di supporto di appena 30 effettivi, soggetti a frequenti sostituzioni, sembra mancare della necessaria capacità per assolvere efficacemente” ai suoi compiti. E la stessa autorità – si legge nella relazione – “interpreta le proprie funzioni in modo piuttosto ristretto, limitandosi a svolgere un ruolo più reattivo che proattivo e concentrandosi in particolare sulla trasparenza, sulle funzioni consultive e sulla verifica formale dei documenti strategici predisposti dalle amministrazioni”.  LA REPUBBLICA 3 FEBBRAIO 2014

 

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