Versus il presente sardismo rovesciato di …. , articolo di Gianfranco Murtas.
Un articolo infuocato del maggior esperto cagliaritano di storia dell’azionismo politico.
Una volta Gesù fu bocciato agli esami di diritto canonico e il suo Vangelo passò a revisione dottrinale per iniziativa del cardinale Camillo Ruini, che l’indomani giustamente impedì i funerali religiosi di Welby perché non aveva sofferto abbastanza con la sua sclerosi laterale amiotrofica a tutti esibita come una medaglia di cui gloriarsi (invece che sentita come una vergogna da nascondere). Quella stessa volta fu invece promosso all’esame di sardismo, in qualche saletta non distante, il candidato Sanna Giacomo, in politica retribuita dalle casse pubbliche da pressoché sempre, all’inizio alla Provincia di Sassari piuttosto sinistrorsa e più tardi alla Regione anch’essa da principio abbastanza gauche. In commissione d’esami c’erano Cappellacci, Nizzi e la De Francisci (passata da Lussu a Berlusconi, data la pari dignità morale dei due, per la maggiore statura da statista e propensione al buongoverno del secondo). Essi l’avevano giocata cioè sottratta , la commissione, a Titino Melis, Anselmo Contu e Mario Melis i quali, rappresentando due generazioni diverse di sardismo italiano – quello nato dalle trincee della grande guerra, come il direttore regionale ricordava ad ogni congresso –, s’erano illusoriamente convinti dell’autorevolezza assoluta di sentimento e insieme di dottrina che era nel loro portato di vita pubblica. Non consideravano invece che, nella realtà dei fatti, essi non reggevano alle prove più dure del serpentello neutralista e del bilinguismo profetizzato perfetto, nonché alle superiori genialate di una bandiera scambiata con una bandana di riserva.
Per questo, intelligente e giulivo, il sardismo di Sanna Giacomo e di Colli con lui, dalle patrie un tempo certificate gloriose di Oliena e Barbagia, ma anche di Pula, Ales e Bosa – la Bosa di Melchiorre Melis –, aveva potuto rovesciare il segno dell’appartenenza, incuginandosi ancora, per amore stretto e pieno alla Sardegna, ai suoi ceti umili, alle giovani generazioni che sognavano un futuro per sé nella propria terra e non nel vasto mondo (senza ritorno possibile), coi destri epigoni periferici del più grande statista degli ultimi centocinquant’anni e oltre, contati e misurati partendo magari dalle stagioni dei seminatori che non avevano saputo vivere a lungo – colpa loro –, Efisio Tola e Goffredo Mameli. Uomini scaduti a nomi di sempre più vaga memoria, inglobante poi, in progress, altri uomini scaduti anch’essi a confusione di perdenti, come Fancello e Pintus, finito a 29 anni in una galera antifascista per prendersi la medaglietta della tubercolosi e magari vantarsene nella magistratura civica cagliaritana del 1944 e fino a morte anticipata nel 1948. Meglio altra storia, meglio altri compagni per Sanna Giacomo e Colli e i sardisti delle rinnovate idealità, quelle che programmaticamente – secondo la promessa del 2008 e 2009 – “fanno (hanno fatto, avrebbero fatto) sorridere” l’Isola nostra ben giustificando appunto il savio dono propiziatorio della bandiera della nazione-regione destinato al licenzioso museo di Arcore.
Sogni o incubi, la storia ritessuta in orbace da sartoria per le sfilate di villa Devoto, con il presidente il suo capo ufficio stampa pagato, se mal non so, per non lavorare da cinque anni – chissà se la Corte dei conti, a difesa degli interessi della cittadinanza, ne addebiterà il totale ad altri invece che alle casse pubbliche –, e con il Verdini e magari il Carboni consigliori per l’Arpas e il suo organigramma, e gli altri consigliori per il vertice della Carbosulcis, nel mezzo degli altri amici dell’Isola nostra, tutte tempre di statisti illuminati dal permanente e versatile genio democratico di chi, a Roma, come nei ponti-radio, si collega ogni giorno con Mosca e Minsk, gemellandosi a Putin e Lukashenko (confidenti dell’imperatore d’occidente fin dal condiviso A.D. 1994).
Bello il sardismo nostro dalle salde alleanze internazionali per la zona franca inventato da Sanna Giacomo e Colli e compagni. Altro che il vecchiume delle stanche storie ideali e di passione di Giuseppe Zuddas – quello di Monte Pelato – e di Dino Giacobbe lo spagnolo-americano di radici baroniesi e barbaricine, di Bellieni, Lussu e Oggiano gli eroi della grande guerra carneficina per Trento e Trieste, di Contu che era finito a Regina Coeli (Titino aveva invece opzionato San Vittore, insieme con Ugo La Malfa, stretti nella clandestina rete denominata Giovane Italia), con Michele Saba il mazziniano di Sassari e i GL sardi di qui e di lì – sì i Pintus e i Fancello elencato nelle bibbie dell’Ovra come d’Oristano Cino, poi anche i Siglienti (questi però in via Tasso), tutti per merito di antifascismo… Cos’è la coerenza morale e ideale per Sanna Giacomo e Colli e gli altri, se la barbarie valoriale si fa pari al sacrificio per la libertà e la patria? si domanda retoricamente qualcuno che ha soltanto tempo da perdere.
C’è, nel sardismo ripensato e rovesciato, rilucidato e fissato con le lacche moderne, chi addirittura bussa ora a questa ora a quella obbedienza massonica in cerca di chissà che, peccato per la sede centrale romana o parigina invece che nel nuraghe camaleontato. Non gli hanno spiegato ai bussanti che cosa sia la tradizione, che è cosa positiva e progressiva, critica e intelligente,non certo conservazione e tanto, tanto meno, carnevale e conformismo belante che parla per slogan incantatori come ipotizzano Sanna Giacomo e quegli altri che fantasticano di fare grande la Sardegna con l’aiuto strategico delle teste magne pensanti della destra come Capezzone l’abortista d’un tempo e la Carfagna modella d’eleganza, Gasparri – il protettore delle lingue tagliate, anche da ministro delle Comunicazioni – e la Santanché di fervido credo anticolonialista.
Contro i poteri forti si è rinsaldato il fronte, per fortuna che Giacomo c’è: perché lui sa cosa sia il sardismo nelle sue molteplici e tutte nobili declinazioni rimodernate. Potrebbe anzi oggi, confermato nella fede dalla virtù civica e dal carisma etico di quelli che bene conoscono l’Isola nostra perché ne posseggono qualche ettaro, magari alla Certosa delle forzature edilizie in chiave di protezione degli statisti mondiali che vi capitano o capiteranno per il bagno, in questo secolo e anche nel prossimo, dimostrare – così come altre volte ha fatto – che ex fascisti, ex democristiani cosiddetti riformatori (zittiti Asproni e Tuveri!), leghisti in s.p.e., sono alleati che perfino Michele Columbu, uomo mite e buono, certamente pentito di sinistra, avrebbe accolto a braccia aperte, come un tempo aveva accolto i comunitari d’Ivrea e s’era fatto accogliere fra le braccia generose di Adriano Olivetti. Perché in fondo, a vederla all’inverso, cos’ha di meno nobile, questa storia in edizione Sanna Giacomo, di quella che incontrava nel 1921 – tempo di squadre Mazzini, Garibaldi e Pisacane, tempo di camicie rosse e grigie, e anche camicie nere in competizione – i repubblicani di Agostino Senes e Silvio Mastio (destinato a morire trentenne per colpa sua, colpa di rivoluzionario per la libertà del Venezuela)? O che guardava con Fancello e Bellieni, Lussu Parri e Torraca, al partito italiano d’azione nel 1924-25? O che incontrava, nel 1930, le retate del centro clandestino di Giustizia e Libertà? e nel 1945 le responsabilità del governo Parri (con Mastino delegato ai danni di guerra), nel 1958 appunto la Campana degli eporediesi e il partito dei contadini, nel 1963 i lamalfiani del centro-sinistra per la scommessa del piano di rinascita?
Nel sardismo rovesciato di Sanna Giacomo valgono uguale quelli di forza italia ed i tanti Parri – il Parri capo della resistenza e senatore repubblicano, che a Sassari nel 1949, alle prime elezioni dell’autonomia speciale, invitava a votare quattro mori – e Torraca, Olivetti e La Malfa. Pari sono nella storia rovesciata firmata anche da Colli, delusione cosmica di Mario Melis, se egli fosse qui ancora con noi.
Qualche volta l’incubo finisce, e sembra che la veglia restituisca vita e salute. L’incubo Sanna è finito all’improvviso. Seppure ancora schifato da quel che ho visto nelle sequenze oniriche, recupero serenità. Ripenso agli apostoli dell’ideale, ai Melis, tutti i Melis, anche Pietro e Pasquale, ed Elena la preside ed Ottavia l’italianista, anche Cicita e suor Michelina che aveva preso il nome della madre ed era esperta di sardismo – di sardismo! – come nessun Sanna Giacomo potrebbe mai immaginare.
Sono carnevalate le scelte a destra, e della destra antisarda e pagana, di un partito sardo tutto al minuscolo che farebbe vergognare Luigi Battista Puggioni, Piero Soggiu, Pietro Mastino, Gonario Pinna che sapeva chi era Cattaneo, e gli altri competenti , i Mario Carta autorità mondiale di scienza mineraria, e i Peppino Puligheddu, i Corronca e quant’altri… Davvero pensare che queste personalità abbiano come eredi politici quelli che hanno voluto affidare le sorti della Sardegna nostra alla reiterazione del malgoverno di Cappellacci e sodali imporrebbe, impone anzi affidamenti compensativi alla Divina Provvidenza che tutto sa perdonare, ma ha l’esclusiva del mestiere.
La militanza civile e quella di ricercatore – attento al documento – della storia del sardismo e del sardoAzionismo negli anni cruciali dell’antifascismo, della guerra di liberazione e della nascita della Repubblica, della stesura della carta costituzionale, e dopo dell’impianto ed avvio della politica autonomistica, sono cosa mia, umile ma dignitosa, che ha portato, come da un obbligo di coscienza, a numerose produzioni – e fra esse l’autobiografia di Giovanni Battista Melis il democratico e parlamentare repubblicano – che nell’ultima stagione della sua vita mi avevano affratellato al presidente Mario Melis. Il quale aveva avuto anche la grandezza, nello scambio personale occasionato dall’uscita di quei dieci o dodici titoli per tremila e passa pagine, di riconoscere come certo nazionalitarismo degli ultimi tempi (quei tempi) aveva alterato l’asse ideale-ideologico del Partito Sardo d’Azione. Temeva derive, temeva non di meno scadimenti nel bagaglio di preparazione personale da portare alla missione della politica e nelle istituzioni. Diceva essere un mito che i sardi dell’indistinto (inclusi dunque gli speculatori delle coste, e magari dei campi da golf) vogliano il bene della loro terra più che i democratici veri del continente. Si è risparmiato la pena peggiore, questo rovesciamento di segno e declino di dignità imposto a se stesso da un partito sardo al minuscolo.
Abbiamo la fortuna di vivere tempi diversi da quelli di Titino che della sua carcerazione, nel 1928, ha lasciato scritta una testimonianza da cui traggo appena cinque righe: «Mentre attendevo con un altro il confronto, ecco che l’anarchico [italiano venuto, mi pare, dal Venezuela] si mise a correre nella stanza quasi a sfuggirci. Gli dissi che eravamo anche noi vittime del fascismo. Egli ci raccontò allora che la Polizia l’aveva messo a testa e gambe all’ingiù, legato per le spalle ad uno sgabello e contemporaneamente gli aveva messo sullo stomaco un insetto che gli rodeva la pancia». Dico quanto la coscienza mi detta: la schifezza delle alleanze politiche del partito di Sanna Giacomo e Colli e sodali mi produce la stessa sgradevolezza della scena evocata da un Giovanni Battista Melis ormai alla fine della sua vita spesa per un ideale, per la causa della libertà inestricabilmente unita a quella del progresso della propria terra. Una vita non compresa allora, tradita oggi da un partito sardo al minuscolo e senza vergogna.
Non a caso, in uno scambio epistolare che ebbe una volta con Michelangelo Pira, Titino Melis scrisse di quanto e quante volte i sardi si erano affidati, come per una anticipata sindrome di Stoccolma, ai loro carnefici, chiamali malgovernanti (oggi di casacca forzista-veterodemocristiana-parafascista-leghista razzista-sciovinista). Rispondeva, razionale e consapevole, e consolatorio, il grande antropologo: «I popoli, ma più precisamente gli oppressi, prima o poi sanno riconoscere e distinguere i propri eroi ed i propri santi. Il momento della “gratitudine”, come Lei chiama una categoria che forse è la “storia”, è il momento nel quale gli oppressi si liberano… Come qualche divinità, gli oppressi non pagano il sabato, ma pagano».
La storia della Sardegna civile e politica che i nostri nipoti e pronipoti studieranno a suo tempo non dirà davvero grandi cose di Sanna Giacomo e degli altri.
By ioma, 9 febbraio 2014 @ 10:50
un lungo articolo per non dire niente,tu sai benissimo che il p.d. il psd’az non lo ha vuluto in coalizione,per il semplice motivo di essere libero di fare gli interessi dello stato,è velleitaio e ipocrita chiedere di farsi da parte per compiacere i burattini filo italiani,i piddini vogliono una alleanza con i sardisti ma i loro padroni cabras soru monopoli dei giochi d’azzardo e speculatori finanziari vari,vedi il secondo della lista non hanno voluti(vedi il risultato delle primari e).non è certo con questi personaggi che dei principi democratici ne fa carta stracci a che la sardegna potrà risollavarsi.
forza pris e bo!!!!
By zuanne.piras@tiscali.it, 10 febbraio 2014 @ 18:24
sos sardistas los cheren tottus, este su presidente chi non cheret niunu e custu l’ischin tottus sos sardistas