Fare ri­trovare agli uomini il gusto della grandezza, di Marguerite Yourcenar

La grande scrittrice franco-belga ((Bruxelles8 giugno 1903 – Mount Desert17 dicembre 1987)) risponde alla domanda di due giovani francesi ventenni. Da:  Marguerite Yourcenar  LETTERE AI CONTEMPORANEI Einaudi 1995, pagg. 97 – 101.

 

A JEAN-LOUIS COTÉ E ANDRÉ DESJARDINS

Petite Plaisance

Northeast Harbor

6 gennaio 1963

 

Signori,

Ho ricevuto la vostra lettera da più di sei mesi e non ho mai smesso di pensarci, senza tuttavia trovare il tempo di rispondervi. È troppo tardi per farlo? Non inizierò scusandomi per questo lun­go ritardo, perché questo ritardo è caratteristico di una vita delle più piene, come sarà certamente quella che condurrete anche voi se resterete fedeli alle vostre decisioni e ai vostri progetti. Desidero soltanto, per prima cosa, ringraziarvi, perché se da un lato uno dei miei libri (Mémoires d’Hadrien) sembra avervi incoraggiati, dal­l’altro lato una lettera come la vostra rappresenta per lo scrittore una vera ricompensa, un conforto quando, alle prese con un lavo­ro difficile, gli capita di chiedersi se davvero raggiunge i suoi lettori e se può in qualche modo essere loro utile.

Voi mi esprimete, in poche righe, il vostro desiderio di «far ri­trovare agli uomini il gusto della grandezza». Grande progetto, ma è bello avere grandi progetti a vent’anni, e lo dico senza sorri­dere, perché lungi dal credere che dovrete rinunciarvi, vi consi­glio di conservare tali ambizioni per tutta la vita. Ma vediamo a che punto siete per il momento: mi dite che finite per perdere il perio­do migliore «della vostra vita a seguire i cosiddetti studi classici, dove il greco, il latino, la storia, la letteratura francese» vi vengono «insegnati da persone che non ne sanno una parola e che ne vanta­no l’inutilità». (Lasciatemi subito fare la pedante e suggerirvi due piccole correzioni – perché non vi sono piccole correzioni: si sa­rebbe dovuto dire «che non ne sanno una parola e che ne procla­mano l’inutilità»). Capisco quanto ciò sia penoso, e possa spingere alla ribellione, al cinismo, allo sconforto. Ma nulla è più comune che accostarsi ai grandi libri e alle grandi cose tramite maestri mediocri: in quest’epoca, e forse in tutti i tempi, a molte personalità deboli o timide l’insegnamento pare o è parso offrire la possibilità di una posizione sicura; quelle persone si sbagliano, poiché la vera vocazione di insegnante è una vocazione eroica, ma questo spiega perché vi siano tanti mediocri nel mondo dell’insegnamento. Ep­pure esistono poche persone dalle quali non si possa imparare qualcosa; da esse, nel peggiore dei casi, potreste imparare a non di­ventare simili a loro.

Potreste anche – e troppi studenti non lo sospettano nemmeno – imparare molto più di quanto i vostri maestri vi insegnino: di­pende da voi le~gere molto, leggere bene, lavorare molto, lavorare bene. Se farete In questo modo non avrete la sensazione di «finire per perdere il periodo migliore» della vostra vita, supponendo che i vent’anni siano per ciascuno di noi il periodo migliore della vita. È cosi? La dottrina cattolica colloca l’età più perfetta per gli esseri umani verso i trent’anni, ma vi sarebbe molto da dire a favore (e anche contro) quest’opinione. lo ho cinquantanove anni. Per quanto mi riguarda, il periodo migliore della vita saranno forse i prossim~ ve~t’anni (se li potrò vivere’), e cioè quando, essendomi alleggerita di molte cose e avendo imparato a conoscerne alcune, potrò cominciare a utilizzare l’esperienza passata e forse, in certi campi, a spingermi più lontano o più in profondità di prima. Ad ogni modo, per tornare a voi, i vostri anni di studio vi hanno inse­gnato già molto, perché vi hanno permesso di misurare la medio­crità o la bassezza di certi aspetti del mondo che ci circonda e che la maggior parte dei nostri contemporanei accettano senza riflette­re. La vostra lettera è già di per sé una prova della validità dell’ edu­cazione «classica», dato che lo studio della letteratura e della sto­ria vi fornisce, in termini di comportamento umano, un’ occasione di confronto e di giudizio.

«Come far ritrovare il gusto» delle grandi cose e delle azioni meritorie, mi chiedete. È quello che si domandano tutti gli educa­tori, i predicatori e gli scrittori degni di questo nome. Ma prima bi­sogna intendersi. Cos’è una grande cosa, cos’è un’azione merito­ria, ed è propri? sicu~ che ~ nostri contemporanei ne abbiano per­so il gusto? Il tifoso di calcio che acclama il suo eroe è sensibile a una sorta di grandezza rudimentale, la sola che conosca’ Hitler Mussolini, Stalin hanno creduto di fare grandi cose e, in un’ acce­zion.e detestabile dell’ espressione, avevano ragione; l’americano che In uno stato del sud impedisce con la forza a un bambino nero di entrare a scuola, crede di compiere un’azione meritoria e di di­fendere l’integrità della razza bianca. L’astronauta nella sua capsula di metallo viene considerato un eroe, e in effetti lo è, anche se questo entusiasmo «scientifico» nella gran parte dei casi nascon­de la solita vecchia aggressività e avidità dell’uomo, semplicemen­te trasferita oltre i confini della terra. Potrei moltiplicare gli esem­pi, ma sarebbe inutile. La falsa grandezza nasconde quella vera. Le grandi cose e le azioni meritorie nascono dalle più semplici qualità e virtù, ma spinte fin dove l’umana debolezza è in grado di spinger­le. Sono dunque l’equità, l’integrità, la modestia, la bontà, in cam­po morale e l’esattezza, la precisione, la sincerità, in campo intel­lettuale, che dobbiamo cercare di imprimere profondamente negli altri e soprattutto imparare a riconoscere e a praticare in prima persona. È proprio in virtù di ciò che siete che potrete agire sugli altri, e quindi la cosa più importante è continuare a sviluppare voi stessi.

Non voglio che questa lettera diventi un sermone, e farò soltan­to un’ultima osservazione: avete ragione di rivolgervi ai grandi uo­mini del passato che sono il nostro esempio e la nostra guida, ma lo sconforto per tanti aspetti del mondo moderno non dovrebbe fare di noi degli idolatri del passato. Sia il male che il bene di oggi affon­dano le radici nel passato. Dei grandi uomini che voi citate, la mag­gior parte aveva dei difetti, e tutti hanno assistito a spettacoli scon­fortanti quasi quanto quelli che spesso abbiamo sotto gli occhi. Ci­cerone talvolta è stato un politico scorretto e ha vissuto negli anni più brillanti, ma anche più politicamente corrotti e più brutali del­la fine della Repubblica, prima di morire vittima della terribile proscrizione di Ottaviano; Marco Aurelio è una delle anime più nobili che siano passate sulla terra, ma la sua saggia e profonda di­sillusione spesso volge in una sorta di cupa atonia; la sua religiosa accettazione dell’ ordine delle cose talvolta gli ha fatto accettare co­me inevitabili o necessari gli errori del suo tempo (come noi faccia­mo con quelli del nostro); la sua debolezza negli affetti più naturali (sua moglie, suo figlio, suo fratello adottivo) l’ha indotto nell’ erro­re e nell’ abuso ai quali cosi ammirevolmente cercava di sfuggire; è responsabile delle peggiori persecuzioni delle minoranze cristia­ne, ha varato meno riforme utili di imperatori meno saggi di lui e il mondo relativamente calmo nel quale viveva fu immediatamente votato a un cupo avvenire. Bossuet è una delle più forti e imponen­ti personalità religiose che la Francia abbia prodotto nell’ ordine spirituale, ma non sarò certo la prima a dirvi che scese a compro­messi con il potere regale, che le sue durezze verso i dissidenti e gli eretici furono ingiustificabili e che la sua interpretazione pedisse­qua della religione doveva sembrare arretrata a molti suoi stessi contemporanei; infine, se ha assistito ad «azioni meritorie », ne ha anche viste perpetrare di esecrabili. Lo stesso vale per la letteratu­ra in sé; le grandi opere del passato sono certamente superiori alle povere produzioni di oggi, ma ciò è in parte dovuto al fatto che del passato noi scorgiamo soltanto i capolavori, mentre le opere me­diocri sono cadute nell’oblio. Certo, non sarà mai sufficiente la cu­ra con cui raccogliamo i grandi pensieri e i grandi esempi dell’ anti­chità per istruirei e confortarci, per metterei in guardia contro i pregiudizi del nostro tempo e contro noi stessi, ma non possiamo in nessun caso contare su modelli definitivi e guide sicure. Sta a noi ogni volta cercare di fare a modo nostro altrettanto bene o un po’ meglio.

Concludo segnalandovi i vostri privilegi: ricevete un’educazio­ne liberale (o almeno i suoi rudimenti) in un’ epoca in cui molti so­no troppo ignoranti per accorgersi delle loro carenze intellettuali; siete due amici capaci, a quanto mi dite, di condividere le stesse idee e di sostenervi (e, dite, di criticarvi) l’un l’altro. La lunghezza della mia lettera (che per me rappresenta una pausa piacevole in una giornata di lavoro) è di per sé la prova dell’interesse che nutro per voi, o piuttosto che, attraverso di voi, nutro per la gioventù d’oggi, in preda a difficoltà che non voglio minimizzare. Le vostre intenzioni mi commuovono perché sono fondamentalmente nobi­li. Se più tardi, tra un anno o due, voi desideraste, per «fare il pun­to», comunicare a un uditore disinteressato i vostri progressi o i vostri problemi; sarà con un sincero interesse che riceverò vostre notizie. Lasciate che vi porga fin d’ora tutti i miei auguri per il vo­stro avvenire, con i miei migliori saluti,

Marguerite Yourcenar

 

P.S. So che quello che speravate di ottenere da me era il rac­conto della mia vita. Ma, come chiunque altro, io non sono da ele­vare a esempio e, anche se lo fossi, non potrei essere il Plutarco di me stessa, o riassumere per voi in qualche riga le mie «memorie» o le mie «confessioni». Tutto ciò che posso dire (e voi lo sospettate già) è che un’esistenza consacrata in gran parte al tentativo di rea­lizzare delle ambizioni letterarie (e, più segretamente, spirituali) è attraversata da momenti spesso brutti e molto spesso difficilissimi, e che a volte tutto sembra congiurare contro i nostri progressi, tan­to in noi quanto attorno a noi; ma una simile esistenza possiede an­che infinite ricompense e solide gioie. Per citarvi due poeti moder­ni, ripeterò con Aragon (il quale parlava di altre cose, e del corag­gio politico): « … Et si c’était à refaire, I J e referai ce chemin … » e in francese al ter­mine della vita: « … On se décide pour la médaille I Ou pour les roses … » J.

Mi scuserete se l’indirizzo di questa lettera lascia in bianco un nome e forse ne trascrive erroneamente un altro. Ma la vostra calli­grafia mi ha lasciata un po’ nel dubbio. Ecco uno dei primi sforzi che vi consiglio di fare: cercate sempre, quando scrivete, di evitare al vostro corrispondente una difficoltà o un’ esitazione 4.

 

l Fondo Yourcenar a Harvard, MS Storage 265.

Lettori canadesi della Yourcenar. André Desjardins, futuro abate, con i! quale la Your­cenar intratterrà un’interessante corrispondenza dagli anni Sessanta agli anni Ottanta.

2 La Yourcenar morirà all’età di 84 anni.

3 [«E se dovessi ricominciare I rifarei questa strada»: Louis Aragon, Ballade de celui qui chanta dans les supplices (Ballata di colui che cantò sotto la tortura, in L’Ira e l’amore, trad. it. di G. Finzi, Guanda, Parma 1969, p. 69). Per quanto riguarda i! frammento di Rilke, «si scelgono o le medaglie I O le rose», l’edizione francese (Seuil, Paris 1972) non lo ano novera nella sezione consacrata alle composizioni poetiche scritte direttamente in frano cese].

4 I due cognomi dei firmatari della lettera alla quale la Yourcenar risponde erano mal scrit­ti e lei ha esitato tra Cité e Còté e tra Fesjardins e Desjardins; ciò spiega questa critica.

 

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