Armi chimiche in Sardegna? La mobilitazione unitaria è indispensabile.
Potrebbe trattarsi di elezioni ‘di lotta e di governo’. Non importa essere d’accordo con la rielezione di Cappellacci per richiedere l’invito alla mobilitazione unitaria. Per i sardi è un diritto, per il loro Presidente (anche secondo chi ritiene che è meglio ci stia il meno possibile) è un dovere. Tutti gli otto candidati presidenti nel voto per le prossime elezioni devono mettersi insieme, magari ritrovandosi all’interno della convocazione straordinaria del Consiglio regionale in carica. Il governo italiano deve sapere che i Sardi non ci stanno ad ospitare i rifiuti militari – come quelli industriali, ambientali, sociali – che l’Italia ci scarica da troppo tempo. Basta!
L’UNIONE SARDA – Cronache : Le armi sono già in viaggio
14.01.2014
Una notizia è certa: le armi chimiche siriane faranno tappa in Sardegna. Magari soltanto per lo stoccaggio. E se pure la destinazione finale dovesse essere altrove, tanto basta per moltiplicare i timori e scatenare le reazioni. Primo interrogativo: dove verranno sbarcate? Le ipotesi sono diverse, ma la rotta è ancora misteriosa. E in questo scenario poche righe del Gruppo Grendi non fanno dormire sonni tranquilli. Si scrive ufficialmente che la Ark Futura, nave a noleggio della compagnia, “non effettuerà il servizio sulla tratta Vado Ligure-Cagliari sino al prossimo 31 gennaio”. Perché? “Il contratto di noleggio – precisa la Grendi – prevedeva espressamente che, se richiesta, la nave, per periodi circoscritti, dovesse essere concessa in uso alla Marina Militare danese”. Poiché la Marina danese è effettivamente impiegata nell’operazione di pace prevista dalla missione Onu-Opac per l’eliminazione delle armi chimiche siriane, la deduzione è ovvia: la Ark Futura potrebbe essere destinata al trasporto della “merce” indesiderata. Secondo una rotta comprensibilmente segreta: in qualunque porto designato non vorrebbe accolta tra gli applausi. Per la cronaca, oltre i sardi sono stati citati quelli di Brindisi, Taranto, Augusta e Gioia Tauro: sud pigliatutto, insomma. C’entra qualcosa il fatto che il cargo, in tempi normali, va e viene da Cagliari? Secondo la deputata del Pd Romina Mura, c’entra eccome, tanto che ha trasformato lo sconcerto in un’interrogazione ai ministri della Difesa e dell’Interno: “Non è accettabile – spiega – che su operazioni così delicate e di impatto non vengano informati e coinvolti gli amministratori dei territori coinvolti. Quanto meno i rappresentanti del Governo riferiscano ai parlamentari sardi prima che ci sia la decisione definitiva del passaggio”. Sul fronte della cronaca, l’ultimo avvistamento (via satellite) dell’Ark è nel porto di Limassol, a Cipro. Poi prua verso la Turchia. Non ci sono altre tracce sul percorso di inizio 2014, ma è plausibile ipotizzare una rotta verso il Mediterraneo, destinazione Italia e poi chissà. In realtà se la Sardegna sembra un passaggio ormai stabilito dell’operazione, il luogo è incerto. O almeno non è stato comunicato. Stando al ministro degli Esteri Emma Bonino si saprà giovedì, ma va da sé che la decisione, almeno in linea di massima, è già stata presa. E stando alle reazioni del mondo politico, l’Isola è predestinata. Il luogo? Oristano, secondo un giornale inglese. La Maddalena, secondo un’ipotesi più plausibile. O appunto Cagliari, stando alla vicenda Ark Futura. Massimo Zedda, sindaco del capoluogo, assicura: «Non sappiamo nulla». Nel senso che non ha notizia di un trasloco via Cagliari. E se così è «sono nettamente contrario». Prima di decidere «il Governo dovrebbe ricordare quanto l’Isola già sopporti la presenza di armamenti vari sul proprio territorio». Il capogruppo del Pd in Consiglio, Davide Carta, è ancora più perentorio: «Assolutamente contrari. E bisogna vigilare». Da scartare, ovvio, lo smaltimento. Ma anche l’ipotesi di uno stoccaggio. «In mezzo alla città? Non ci sarebbero le condizioni di sicurezza». Carta va oltre: «E bisogna valutare anche le altre possibili destinazioni in Sardegna. Valgono le stesse ragioni: dove sarebbero le garanzie?». Dal Comune alla Regione, l’indiscrezione diventa certezza. È lo stesso governatore Ugo Cappellacci a lanciare l’allarme: «Fonti riservate danno i giorni tra il 3 e il 7 febbraio per l’arrivo delle navi. Non lo consentiremo». Col punto interrogativo. Un tweet inequivocabile che fa seguito alla lettera di diffida inviata al premier Enrico Letta. Stando dunque anche alle fonti regionali, che si presumono attendibilissime, il governo italiano ha già deciso. E si tratta di preparare alla svelta la mobilitazione. Vista la forma scelta per comunicare la notizia, il consigliere regionale Patrizio Rovelli (Modes-Giustizia Giusta) ha qualcosa da obiettare: “Su un tema così delicato” Cappellacci riferisca in Aula e non soltanto alla stampa e sui social network. Il “gravissimo problema” sollevato (e certificato) dallo stesso governatore “non riguarda soltanto la città di Cagliari ma l’intera Sardegna e le isole di La Maddalena e Santo Stefano in particolare”. Ma quali iniziative ufficiali “sono state intraprese per evitare che ciò accada? Quali risposte sono arrivate dal Governo nazionale e dall’Opac?”. Domande quasi retoriche, nel senso che al momento non risulta nessuna risposta. Dalla Regione a Roma il tono non cambia: “Ma ci rendiamo conto che circa 350 tonnellate di armi chimiche siriane stanno per arrivare in un porto italiano?”, chiede, con risposta ovvia, il segretario nazionale dell’Italia dei Valori, Ignazio Messina: “È grave che il ministro degli Esteri abbia dato il via libera”. In penisola e nell’isola, per la precisione. Roberto Cossu
L’UNIONE SARDA – Cronache : S. Stefano, deposito Nato pronto all’uso
14.01.2014
Anche ieri mattina, come pare accada da qualche tempo, il traghetto Saremar ha dato un passaggio da Palau a Santo Stefano ai camion diretti fin dentro la pancia di Monte Moro. Nei cunicoli del deposito della base Nato è tempo di grandi pulizie: le armi e le munizioni buttate lì ormai da cinquant’anni, e ridotte a ferraglia arrugginita, verranno finalmente portate via e lo spazio tornerà libero come un campo da calcio. Tra domani e giovedì fuori tutto: i mezzi carichi saliranno di nuovo sulla nave fino a Palau (quella che, per turno, non fa servizio passeggeri ndr ), da qui in processione fino al porto di Olbia, poi il viaggio sulla Moby fino a Piombino e arrivederci. «La missione – avverte Salvatore Sanna, fino al 2000 nel Comipa (il Comitato misto paritetico per le servitù militari) – è ripulire il materiale presente nel deposito. Poi si vedrà, quella è una struttura pronta a tutto». Magari pronta anche a ricevere le armi chimiche siriane. L’allarme è stato lanciato dal Comitato Gettiamo le Basi che ha raccolto le segnalazioni arrivate dall’isola (e che per domani, alle 10, in piazza del Carmine a Cagliari, organizza un sit-in davanti alla Rappresentanza del Governo). «Se ciò che temiamo è vero, sarebbe una conferma alle nostre certezze sull’uso della Sardegna come una pattumiera bellica – dice Mariella Cao, portavoce del comitato antimilitarista -. Dopo la fuga degli Stati Uniti, quel deposito è stato classificato come strategico. La Maddalena è la migliore location per queste cose». Possibile si tratti solo di una coincidenza? Gli americani sono andati via ormai da cinque anni lasciandosi dietro fondali inquinati e depositi pieni di armi stipate in tre lustri. Eppure finora non si era vista una sola operazione di ripulitura dei cunicoli di Santo Stefano, colmi – per una parte dei dodici chilometri di galleria aperta dentro la roccia di granito – di ferraglia e ruggine. «La cosa preoccupante – puntualizza Mariella Cao – se è vero che questo movimento anomalo è funzionale all’arrivo delle armi chimiche, è quanto ha detto Emma Bonino riguardo il nome del porto scelto». Il nome, ha comunicato il ministro degli Esteri, sarà annunciato il 16. Giusto il giorno, ma questa è solo una deduzione, in cui saranno ultimate le operazioni di carico e i camion impegnati a Santo Stefano saliranno tutti sul traghetto per la traversata verso Palau lasciandosi dietro il deposito bello pulito e pronto ad accogliere qualunque roba. «Ho ricevuto informazioni dalla Farnesina – dice il sindaco della Maddalena Angelo Comiti -: il carico di armi chimiche siriane non transiterà qui né in alcun porto della Sardegna. Poi, è chiaro, noi teniamo sempre alta la guardia perché è vero che a Santo Stefano c’è un impianto militare che, quanto a sicurezza, è tra i primi in assoluto». E così, dopo la minaccia su Cagliari e Oristano, la paura tocca anche l’isola più bella. «Insomma – allarga le braccia il sindaco Comiti -, l’ipotesi di uno stoccaggio delle armi chimiche in un parco nazionale che oltretutto sta per diventare riserva internazionale…». Piera Serusi
LA NUOVA SARDEGNA, 14 gennaio 2014 Nel 2011 anche razzi e kalashnikov trasportati a bordo di traghetti
E sui missili un giallo insoluto
LA MADDALENA Grandi manovre e grandi misteri. Resta senza risposte il giallo di due anni e mezzo fa, quando dai bunker di Santo Stefano erano stati portati via missili, razzi, kalashnikov e altre armi nella disponibilità della Nato. Per il momento il segreto di Stato blocca ancora l’inchiesta giudiziaria. Di sicuro, c’è solo che una parte dell’arsenale è stata trasferita a bordo di due traghetti in servizio sulle linee La Maddalena-Palau e Olbia-Civitavecchia. Nessuna spiegazione, neppure in Parlamento. Sulla vicenda avevano presentato interrogazioni il senatore Elio Lannutti (Idv), e gli esponenti del Pd Gian Piero Scanu e Giulio Calvisi. Tutti sollecitarono chiarimenti dall’allora premier Berlusconi e dal ministro della Difesa La Russa. Senza però mai ottenerli. Nei depositi della Marina italiana, a Santo Stefano, sono stati a lungo custoditi 30mila fucili mitragliatori, 32 milioni di proiettili per gli Ak-47, 400 Fagot terra-aria, 5mila Katiuscia. Tutti fabbricati a suo tempo in Urss. Esportati dall’oligarca Zhukov (scagionato). E confiscati da forze dell’Alleanza atlantica nel 1994 ai tempi del conflitto nei Balcani. Poi, nel 2011, la svolta improvvisa. Ma nei 4 container militari usati per il trasporto dalla Sardegna alla penisola è finita solo parte dell’arsenale. Le “riservette” sotterranee che l’ospitavano sono ancora oggi a poca distanza dalla ex base UsNavy per la manutenzione ai sommergibili nucleari, attiva per 36 anni (sino al febbraio 2008) nell’arcipelago. In questi anni d’indagini la polizia giudiziaria ha interrogato i comandanti dei traghetti (trasportavano più di 700 passeggeri) e il personale di Tirrenia e Saremar, le compagnie coinvolte. Alla fine è così venuta a sapere che l’intero trasporto è costato meno di 2mila euro, contro i 25-30mila che avrebbe comportato l’impiego di un cargo militare. (pgp)