Come si fa a seminare, di Gianni Mula

 

Nel mio bilancio del 2013 proponevo l’esempio del rinnovamento in profondità della Chiesa cattolica che l’azione di Papa Francesco sta generando per suggerire che qualcosa di analogo si può fare per l’economia e la politica italiana, anch’esse in difficoltà simili a quelle in cui si trova la chiesa, se non più gravi. Si può anche dissentire, in tutto o in parte, dal mio giudizio su Francesco, ma non c’è dubbio che stiamo assistendo a scelte di vita quotidiane di un papa che non solo erano letteralmente impensabili prima della rinuncia di Benedetto XVI, ma che minano alla radice i presupposti culturali sui quali si fonda l’attuale concezione della chiesa. Una chiesa che si è sempre pretesa fedele alla tradizione ma che nel corso dei secoli si è trasformata in una struttura autoritaria e gerarchica, ben lontana nello spirito dal messaggio evangelico, sovrimposta a un popolo di fedeli considerati incapaci di pensiero autonomo. Una chiesa la cui decadenza già manda segnali di liberazione per i credenti che si riconoscono in una chiesa come popolo di Dio. Ma anche una chiesa le cui difficoltà allarmano fortemente (e giustamente, dal loro punto di vista) gli atei che dalla sua azione hanno sinora tratto i motivi più convincenti per il loro non credere. Basti pensare ai recenti interventi di Eugenio Scalfari, intellettuale non credente con una lunga e coerente storia di anticlericalismo: di fronte a un papa che smonta lui per primo il clericalismo della chiesa (ovviamente per trasformarla in una chiesa povera e davvero evangelica) Scalfari si affretta a vedere nell’azione di Francesco non una spinta irreversibile alla desacralizzazione del cristianesimo ma soltanto un’incongrua abolizione del peccato. Abolizione per di più inventata di sana pianta ma molto conveniente se ciò che si vuole è poter dire “avevo ragione io a non credere!”. Su questo tema si potrà tornare in seguito.

Ora invece mi preme sottolineare il parallelismo strutturale tra i problemi della chiesa (prima di Francesco) e quelli della politica italiana, parallelismo che è alla base del mio suggerimento: in tutti e due i casi la guida è affidata a meccanismi di governo e strutture di potere che hanno perso ogni memoria delle loro vere funzioni; in tutti e due i casi i meccanismi di riequilibrio previsti (la separazione dei poteri nel caso della politica, l’azione dello Spirito nel caso della chiesa) risultano impotenti o assenti; in tutti e due i casi sarebbe stato necessario pensare per tempo a un progetto di trasformazione a lungo termine ma ciò non è stato fatto e i tempi necessari per pensarlo e renderlo operativo oggi semplicemente non ci sono.

A questo punto però l’analisi dei due casi comincia a differire: per la crisi della chiesa (almeno a giudizio di molti credenti) sembra essere intervenuto lo Spirito Santo che ci ha dato Francesco. Per la politica italiana alcuni sperano in Grillo o in Renzi, come deus ex-machina, ma in fondo non ci credono nemmeno loro. Ed allora come reagire alla sensazione di smarrimento generata dall’assenza pressoché totale di punti di riferimento affidabili?

Proponendo l’esempio di Francesco certamente non intendevo che la soluzione potrebbe essere trovata nel replicare in chiave laica le innovazioni che lui ha introdotto, e continua a introdurre, nella chiesa. Pensavo invece al fatto che Francesco procede apparentemente senza un progetto già definito, ma lavorando giorno per giorno a seminare esempi di azioni di rinnovamento, ciascuna limitata, ma il cui insieme si sta rivelando rivoluzionario. Lo stesso tipo di azioni, anche e soprattutto senza un conducator alla Grillo o Renzi, che molto annunciano e poco o niente producono, potrebbe benissimo essere fatto da ciascuno nell’ambito delle sue competenze. La ricaduta innovativa sperata potrebbe aversi, anche senza previ avvalli politici, se i risultati di prassi di questo genere venissero usati come metro concreto di valutazione per le proposte e le posizioni delle forze politiche.

Naturalmente questo tipo di proposte rimane generico e vuoto in assenza di una cultura diffusa che permetta di riconoscere al volo la fuffa che quotidianamente ci viene ammannita come grande innovazione e la sostituisca con l’esperienza verificata di chi lavora onestamente e con competenza nei vari campi.

 

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