DONNE VITTIME E QUINDI COLPEVOLI!, di don Aldo Antonelli
DONNE VITTIME E QUINDI COLPEVOLI!
Non mi piacciono le cronache nere e ancor meno mi piacciono i martirologi.
Non vi parlerò, quindi, delle violenze patenti, ma della violenza latente.
Quelle, al plurale, si manifestano in fatti ed episodi pluriversi.
Questa, al singolare, si esprime in una continuità quotidiana che non conosce limiti di tempo né residenze geografiche.
Partiamo da tre episodi diversi, svoltisi in luoghi diversi e in tempi diversi.
Dalla Puglia andremo in Liguria passando per il Lazio.
Dal Sud andremo al Nord passando per il Centro.
Prima scena: Taranto anni 1970.
Lei è una giovane donna, felicemente sposata e madre di quattro figli. La sua giornata inizia alle sei del mattino: deve preparare la colazione e il pranzo del giorno. Deve preparare i vestiti per i quattro figli che vanno scuola e per il marito professionista che alle otto deve stare nel suo Ufficio. Deve svegliare i figli uno ad uno. Una volta partiti per la scuola deve riassettare i letti, rimettere in ordine le camere, sempre con un occhio di attenzione alla cucina perché non vada in fumo (è proprio il caso di dirlo…) il pranzo che sta cucinando. Verso le nove prende la macchina e percorre i quindici chilometri che la separano dalla città, là dove, presso lo studio del marito, si mette a lavorare come contabile fino alle tredici. Si ritorna in casa per il pranzo già pronto, ma bisogna preparare la tavola. Lei imbandisce il tutto mentre il marito guarda il telegiornale. Dopo il pranzo i ragazzi escono nel cortile a giocare, il marito si stende sul sofà a leggere il giornale e lei di nuovo a lavoro, a disfare la tavole, caricare la lavastoviglie e rimettere in ordine la cucina e le cartelle e i vestiti dei figli. Alle 15,30 si riparte per la città, in ufficio fino alle 18.30. Poi di nuovo in viaggio di ritorno in casa, per preparare la cena, rimbamdire la tavola e riassettare il tutto dopo aver cenato.
Questa la giornata ordinaria di una donna che è madre, moglie, impiegata, cuoca, domestica e donna di servizio! Naturalmente non abbiamo preso in considerazione il lavaggio della biancheria, lo stiraggio, l’approvvigionamento della spesa e tutti gli incerti che la vita di una famiglia comporta.
Seconda scena: Roma anni inizio 2000.
Lei e lui sono felicemente sposati. Lavorano ambedue; le rispettive famiglie di origine si conoscono da tempo, si frequentano e si stimano. Li si direbbe una splendida coppia da far invidia a chiunque. Passano gli anni…; non molti a dire il vero. Nasce un fior di bambino, trastullato e coccolato all’esagerazione. Dopo circa sette anni lei si accorge che qualcosa non va. Alza le antenne e viene a scoprire che lui la tradisce. Apriti cielo! E’ un mondo che le crolla addosso e che manda in frantumi un passato che le sembra di finzione, un presente senza senso e un futuro senza prospettive. Spinta dai miei consigli, trova il coraggio di aprire con lui un discorso aperto e sincero. Lui, l’unica cosa che riesce a dire, a sua presunta giustificazione, sono queste parole: «Lei mi da qualcosa che tu non mi dai»… Là dove si evince un rapporto sbilanciato, nel quale lei deve dare e lui deve avere; lei ha solo dei doveri cui assolvere e lui ha solo dei diritti da riscuotere!
Terza scena: Lerici anno 2012
«Le donne e il femminicidio. Facciano sana autocritica: quante volte provocano?».
È questo il titolo di un volantino comparso a fine dicembre 2012 nella bacheca della parrocchia di San Terenzo di Lerici. A scriverlo e ad affiggerlo è stato il parroco don Piero Corsi.
Sul volantino il sacerdote riprende un articolo del sito ultraintegralista Pontifex.it: «Una stampa fanatica e deviata attribuisce all’uomo che non accetterebbe la separazione la spinta alla violenza. Possibile che in un sol colpo gli uomini siano impazziti? Non lo crediamo. Il nodo sta nel fatto che le donne sempre più spesso provocano, cadono nell’arroganza, si credono autosufficienti e finiscono con esasperare le tensioni».
Vogliamo augurarci che non ci siano nel panorama cattolico ecclesiale, italiano e mondiale, altri don Piero Corsi oltre al parroco di San Terenzo a Lerici?
Auguriamocelo pure ma non ci credo.
Il terreno di cultura
Cambiano i luoghi, cambiano i tempi, ma la violenza rimane la stessa: una violenza, sì, di genere; una violenza, sì, di generazione; una violenza, soprattutto, di costume normalizzato. Una violenza che ci portiamo dentro senza avvedercene; una violenza diventata costume e benedetta dalla religione, o, almeno, da una certa religione.
La Cultura Occidentale e la Teologia a braccetto hanno creato il terreno di coltura nel quale cresce la violenza di genere:
- L’Io autocratico della filosofia greca
- La Verità armata della teologia speculativa
Lasciando ad altri e/o rimandando ad altre occasioni lo sviluppo del primo punto, là dove il concetto dell’Io come individuo solitario, in contrasto e in concorrenza con gli altri “Io”, si è imposto come soggetto maschile assoluto: centro di forza e di potere e in alternativa al concetto di “Persona” come soggetto relazionale ed affettivo significato dal principio femminile, vogliamo soffermarci sulle responsabilità storiche e morali dell’affermazione del principio maschile nella storia.
Il virus dell’antifemminismo nella chiesa è molto più diffuso di quanto non si pensi; la misogenìa continua ad avere radici profonde nella stessa teologia tradizionale oltre che nella pratica istituzionale della chiesa. Il fenomeno non appare anche perché molti preti, pro bono pacis o per puro opportunismo, tacciono o preferiscono glissare.
Enzo Banchi, priore della Comunità di Bose, si limita a denunciare un semplice retaggio storico.
Scrive su La Repubblica del 28 dicembre 2012: «Purtroppo a livello di istituzione storica, la Chiesa, ha il retaggio di una eredità pesante, di poco apprezzamento verso la donna: Eva, tentatrice. Donna, colei che trascina l’uomo nel peccato, “che fa sfogare la sua concupiscenza”, si sosteneva nel medio Evo».
Magari così fosse: col tempo questo bagaglio verrebbe a scomparire e noi si potrebbe bellamente esultare per la riconquistata piena dignità della donna nella Chiesa. Ma così non è.
Ben presto, nella storia del cristianesimo la mentalità maschilista e patriarcale si è insediata nel cuore del messaggio evangelico, coartandone la carica rivoluzionaria del Gesù di Nazareth e piegando il messaggio alle usanze e alle esigenze di una società violenta e, ob cause, maschilista. Si pensi ai discorsi di san Paolo sulle donne che devono portare il velo e che nelle assemblee devono tacere…! Quelle donne cui Gesù Risorto aveva affidato il compito di “evangelizzare” gli apostoli e di fare da “Testimoni” della sua Risurrezione. La malattia, poi, si è aggravata a tal punto che Tertulliano si sente in pieno diritto di scrivere, siamo a cavallo tra il secondo e terzo secolo, delle autentiche bestemmie: «Non capisci chi sei tu, Eva? La maledizione che Dio ha pronunciato sul tuo sesso grava ancora sul mondo. Colpevole, ne devi scontare le conseguenze. Sei la porta del diavolo, hai dissacrato l’albero fatale, hai tradito per prima la legge di Dio, hai sussurrato lusinghe all’uomo contro cui il diavolo non sarebbe riuscito a prevalere con la forza. L’immagine di Dio l’uomo Adamo, l’hai infranta tu, è stato un gioco da ragazzi. Avresti meritato la morte, ma è stato il Figlio di Dio a dover morire!».
Nella Chiesa, purtroppo, c’è tutta una teologia, anzi tutta un’ideologia che prestano il fianco e fanno da supporto ad una cultura ed una politica di destra. I concetti di “Verità”, di “Autorità”, di “Obbedienza”, di “Ordine”, sganciati dal Comando Primo dell’Amore che tutto dovrebbe animare e fermentare, disarcionati dal principio di “Incarnazione” che è il mistero principale della fede cristiana, si prestano benissimo a fare da fondamento ad una mentalità e ad una cultura di destra, che è una cultura di imposizione, di violenza e, quindi, maschilista.
Questi concetti sono elementi che se non sopportati dalla fatica della ricerca e dalla urgenza della testimonianza diventano schegge impazzite che accecano e confondono. Come nel caso di don Piero che confonde vittime e colpevoli, ipostatizzando la figura dell’assassino e quella della vittima in un solo corpo: quello delle donne
E’ urgentemente necessaria un’opera rivoluzionaria a tutto campo.
Le leggi, pur necessarie, non bastano. Necessitiamo di una cultura “Altra” per una prassi alternativa.
Pienamente d’accordo con Caterina Pasolini che il 25 settembre scorso scriveva su La Repubblica: «La femminilità è ancora ostaggio dell’immaginario maschile che vede le donne secondo le categorie di prestazione e di rifugio affettivo. E la vera emancipazione avverrà solo quando le donne riusciranno a vedersi attraverso i loro occhi, non specchiandosi nello sguardo degli uomini».
Aldo Antonelli
Avezzano, li 30 Ottobre 2013