Dignità vò cercando…. in mare e (ancora) a Porto Torres.

(La bandiera sarda issata sui pennoni delle navi sarde?).

 

di Salvatore Cubeddu

 

Siamo ancora in campagna elettorale e tutti guardiamo in quella direzione, ma l’occasione è buona per farci poi trovare di fronte al fatto compiuto. E’ già successo durante le elezioni regionali con le decisioni su La Maddalena e il grande furto di Stato! Stavolta è la CIN (compagnia italiana di navigazione, dei tre armatori napoletani Onorato, Aponte e Grimaldi) che minaccia il governo, il sindacato dei marittimi e la regione Campania di rinunciare alla Tirrenia se non verrà loro assicurata l’esclusiva delle tratte marittime e dei relativi finanziamenti tra la Sardegna e il Continente. E l’ultima arma imbracciata l’altra notte: le lotte in corso degli operai della Fincantieri, i cui due cantieri verrebbero salvati dalla CIN in coincidenza della  positiva conclusione della battaglia contro la “flotta sarda”.

 

Non è difficile immaginare le pressioni, i ricatti, le minacce che verranno rivolte alle istituzioni sarde, ai politici e ai sindacati.  L’obiezione più insidiosa nei confronti della Regione sarà quella della prospettiva: cosa farete dopo settembre, siete disponibili a gestire le tratte in passivo? Ma è da attendersi di tutto, l’abitudine a disporre di noi come cosa loro è antica e più che confermata dai fatti che abbiamo sotto gli occhi. La debolezza della Sardegna a Roma non è mai stata così evidente. Quale prospettiva possiamo affidare a una lotta con simili protagonisti, intrapresa quasi fuori tempo massimo, dagli esiti tanto insicuri?

 

Le battaglie più importanti a volte arrivano senza che chi ha l’obbligo di farle le abbia chiamate. Molto spesso quello che da tempo attendevi ti arriva come sorpresa. Il tema della ‘flotta sarda’ dura da secoli, ha conosciuto esperienze gloriose ed esiti dolorosi, rimane uno dei punti risolutivi del nostro agire economico e istituzionale: al momento, con la grave faccenda dell’accordo di Porto Torres, rappresenta la cartina al tornasole della nostra sovranità. La “flotta sarda” è stato il leit motif degli ultimi pubblici discorsi di Mario Melis. E’ stupefacente – comprensibile con l’atteggiamento neo-padronale che in Sardegna si permettono dei forestieri accompagnati da nostri ‘magnaccia’ – la prosopopea con la quale questi ‘signori’ polemizzano con le nostre istituzioni, quelle che, indipendentemente dalle parti politiche, restano comunque i nostri rappresentanti.

Siamo dunque di fronte – come in quasi tutti gli aspetti delle nostre questioni presenti -  a un problema di sovranità. Ci sono i nostri diritti, da far valere per difendere i nostri interessi, i quali domandano a loro volta la forza per poter essere rispettati. Né le istituzioni, né  l’opposizione politica, né le associazioni  economiche e sociali, né i cittadini di quest’Isola possono sottrarsi a una presa di posizione e all’azione conseguente.

 

Abbiamo una qualche possibilità che l’esperienza estiva della flotta sarda possa essere difesa? Può già da oggi programmarsi una sua continuità nel tempo e la sua estensione al ramo delle merci? E’ possibile e previsto il coinvolgimento dei cittadini nell’acquisto di azioni della nuova società? Infatti, solo se il più grande numero di cittadini difenderà, insieme al diritto, anche il proprio concreto interesse  nella costruzione della ‘flotta’, questa potrà assestarsi e crescere.

 

Rifacciamoci un po’ all’esperienza per costruire alcuni scenari: 1°. Il governo rende esplicito il suo appoggio alla CIN e mette tutto il proprio peso per favorirla attraverso un mix di richiami, promesse, ricatti e minacce contro la giunta regionale (mobilitando per l’occasione i canali di partito e, perché no, le stesse centrali sindacali e persino i partiti dell’opposizione) al fine di bloccare l’operazione o, come subordinata, – attraverso una differente tariffazione, accettabile dalla cordata privata – per relegare a esperienza episodica e marginale il nolo delle tre navi durante la stagione estiva. 2°. Il governo assume una posizione di neutralità, lascia ai sardi la soluzione dei trasporti marittimi da e per la Sardegna e risolve prescindendo da noi  la questione Tirrenia  (con le connesse problematiche occupative e territoriali in Campania e Liguria). I sardi, in tal caso, dovranno parare le ritorsioni degli azionisti della CIN sia nel campo dei rimorchiatori (Onorato) sia nella presenza delle navi da crociera  (MSC) e nel porto canale, tutti settori che in vario modo vengono condizionati dalle scelte degli azionisti napoletani. E, però, in questo caso resterebbero anche molte frecce al nostro arco. 3°. La Regione sarda compie una scelta chiara e irrevocabile di autogestione (che non esclude il concorso di privati) del trasporto marittimo a partire dalla necessità dei passeggeri ma nell’ottica di costruire le condizioni indispensabili per risolvere l’insieme delle inconvenienze dell’insularità. Allo scopo affronta le complesse problematiche istituzionali, finanziarie e organizzative. Trasforma la presente azione esemplare in una scelta strutturale e duratura. Vogliamo la sovranità? Assumiamone il diritto e i doveri. Una causa così impostata e determinata merita l’impegno e l’entusiasmo di tutti.

 

Come finirà? Non so, ma le probabilità dello sbocco finale della faccenda mi sembrano nell’ordine appena descritto.

All’inizio del 1945 – a guerra in Italia non ancora conclusa e con i sardi abbandonati come oggi al loro destino – suscitò in Sardegna un grande entusiasmo e ottenne la sottoscrizione di più di quattromila azionisti locali la promozione della società marittima Sardamare. L’esperienza fu così positiva che nel 1947 si passò all’esperimento aeronautico attraverso la costituzione della società l’Airone. Sapete perché la cosa non esiste più e nessuno, probabilmente neanche tra i lettori meno giovani, la ricorda? Perché il ministero dei trasporti tolse all’Airone la tratta Cagliari – Roma, che era la più ricca e appetibile, per affidarla all’Alitalia. E chi divenne presidente dell’Alitalia? Il direttore generale di quel ministero. La destra e la sinistra di allora non parlarono per decenni di quella triste vicenda, poiché avevano rimesso la Sardegna nelle mani del trasporto statale. Alla distanza possiamo dirlo: gli interessi reali dei sardi vennero sacrificati. I sardi persero allora la loro vera battaglia per i trasporti. La questione ritorna oggi sul tappeto in termini molto simili.

 

Post scriptum. Leggo sui giornali di ieri e di oggi e confermo: “l’Eni” con l’ “Enimont” vanno comportandosi come “furat chie beni dae su mare…”, così come abbiamo detto  lo scorso 18 maggio su questo sito. Non so se tutti coloro che -  avant’ieri alla Regione e ieri a palazzo Chigi – hanno firmato il documento condividano l’entusiasmo tutto propagandistico di Cappellacci (fondato sul termine ‘chimica verde’), o se l’abbiano fatto perché solo quello ‘passa il convento’ e non si può affrontare la collera del popolo affamato dopo averne vissuto le attese.  Resto, però, dell’opinione che simili scelte non si debbano accettare perché il ‘popolo ha fame’ ma perché si condivide una proposta che cambia il perverso meccanismo del passato ed ha la capacità di instaurarne uno nuovo.  Abbiamo una lunga esperienza di simili scelte operate in simili condizioni. Sono quelle che ci hanno portato a regalare le miniere ai forestieri, i soldi della rinascita a Rovelli, le coste ai vari patrons, l’eolico a ladri di varia provenienza, e … ad avere oggi questa Ottana, questa Porto Vesme, questa Porto Torres …. Con sempre più numerosi amici continueremo a interrogarci sull’ insostenibilità di quel progetto per almeno tre ragioni: la chimica verde non c’entra con la grande centrale a biomasse che dovrebbe bruciare la spazzatura non si sa di dove; l’utilizzo delle pianure irrigate  della Sardegna per produrre cardi e girasoli occuperà le terre e renderà l’agricoltura sarda del tutto subalterna agli interessi di quelle società; l’utilizzo strumentale dei nostri bisogni renderà il nostro futuro ancora più ‘dipendente’ dai progetti esterni e responsabilizzerà i lavoratori e il sindacato anche di questa rinnovata servitù. Si sa che ci portiamo dal passato ulteriori problemi occupativi e ambientali, ma ben poco del nuovo che ci si propone è in grado di porsi quale soluzione. Semmai i nuovi piani sono in grado di aggravare la situazione. Si allega l’accordo sottoscritto. (vedi protocollo del 25 maggio 2011).

 

 

 

 

 

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