Le parole di papa Francesco a Cagliari, quelle dette …

 

INCONTRO CON IL MONDO DEL LAVORO IN VIA ROMA, OMELIA DURANTE LA CELEBRAZIONE EUCARISTICA, AFFIDAMENTO ALLA MADONNA, PRIMA DELL’ANGELUS, INCONTRO CON I POVERI E I DETENUTI IN CATTEDRALE, INCONTRO CON LE SUORE DI CLAUSURA, INCONTRO CON IL MONDO DELLA CULTURA NELLA FACOLTA’ TEOLOGICA, INCONTRO CON I GIOVANI IN VIA ROMA.

 

CAGLIARI 22 SETTEMBRE 2013

 

INCONTRO CON IL MONDO DEL LAVORO

Cari fratelli e sorelle, Buongiorno!

Vi saluto cordialmente: lavoratori, imprenditori, autorità, famiglie presenti, in particolare l’Arcivescovo, Mons. Arrigo Miglio, e i tre di voi che hanno manifestato i vostri problemi, le vostre attese, anche le vostre speranze. Questa Visita – come dicevate – inizia proprio con voi, che formate il mondo del lavoro. Con questo incontro desidero soprattutto esprimervi la mia vicinanza, specialmente alle situazioni di sofferenza: a tanti giovani disoccupati, alle persone in cassa-integrazione o precarie, agli imprenditori e commercianti che fanno fatica ad andare avanti. E’ una realtà che conosco bene per l’esperienza avuta in Argentina. Io non l’ho conosciuta, ma la mia famiglia sì: mio papà, giovane, è andato in Argentina pieno di illusioni a “farsi l’America”. E ha sofferto la terribile crisi degli anni trenta. Hanno perso tutto! Non c’era lavoro! E io ho sentito, nella mia infanzia, parlare di questo tempo, a casa… Io non l’ho visto, non ero ancora nato, ma ho sentito dentro casa questa sofferenza, parlare di questa sofferenza. Conosco bene questo! Ma devo dirvi: “Coraggio!”. Ma anche sono cosciente che devo fare tutto da parte mia, perché questa parola “coraggio” non sia una bella parola di passaggio! Non sia soltanto un sorriso di impiegato cordiale, un impiegato della Chiesa che viene e vi dice: “Coraggio!”. No! Questo non lo voglio! Io vorrei che questo coraggio venga da dentro e mi spinga a fare di tutto come Pastore, come uomo. Dobbiamo affrontare con solidarietà, fra voi – anche fra noi -, tutti con solidarietà e intelligenza questa sfida storica.

Questa è la seconda città che visito in Italia. E’ curioso: tutte e due – la prima e questa – sono isole. Nella prima ho visto la sofferenza di tanta gente che cerca, rischiando la vita, dignità, pane, salute: il mondo dei rifugiati. E ho visto la risposta di quella città, che – essendo isola – non ha voluto isolarsi e riceve quello, lo fa suo; ci dà un esempio di accoglienza: sofferenza e risposta positiva. Qui, in questa seconda città, isola che visito, anche qui trovo sofferenza. Una sofferenza che uno di voi ha detto che “ti indebolisce e finisce per rubarti la speranza”. Una sofferenza – la mancanza di lavoro – che ti porta – scusatemi se sono un po’ forte, ma dico la verità – a sentirti senza dignità! Dove non c’è lavoro, manca la dignità! E questo non è un problema della Sardegna soltanto – ma c’è forte qui! – non è un problema soltanto dell’Italia o di alcuni Paesi di Europa, è la conseguenza di una scelta mondiale, di un sistema economico che porta a questa tragedia; un sistema economico che ha al centro un idolo, che si chiama denaro.

Dio ha voluto che al centro del mondo non sia un idolo, sia l’uomo, l’uomo e la donna, che portino avanti, col proprio lavoro, il mondo. Ma adesso, in questo sistema senza etica, al centro c’è un idolo e il mondo è diventato idolatra di questo “dio-denaro”. Comandano i soldi! Comanda il denaro! Comandano tutte queste cose che servono a lui, a questo idolo. E cosa succede? Per difendere questo idolo si am-mucchiano tutti al centro e cadono gli estremi, cadono gli an-ziani perché in questo mondo non c’è posto per loro! Alcuni parlano di questa abitudine di “eutanasia nascosta”, di non curarli, di non averli in conto… “Sì, lasciamo perdere…”. E cadono i giovani che non trovano il lavoro e la loro dignità. Ma pensa, in un mondo dove i giovani – due generazioni di giovani – non hanno lavoro. Non ha futuro questo mondo. Perché? Perché loro non hanno dignità! E’ difficile avere dignità senza lavorare. Questa è la vostra sofferenza qui. Questa è la preghiera che voi di là gridavate: “Lavoro”, “Lavoro”, “Lavoro”. E’ una preghiera necessaria. Lavoro vuol dire dignità, lavoro vuol dire portare il pane a casa, lavoro vuol dire amare! Per difendere questo sistema economico idolatrico si istaura la “cultura dello scarto”: si scartano i nonni e si scartano i giovani. E noi dobbiamo dire “no” a questa “cultura dello scarto”. Noi dobbiamo dire: “Vogliamo un sistema giusto! un sistema che ci faccia andare avanti tutti”. Dobbiamo dire: “Noi non vogliamo questo sistema economico globalizzato, che ci fa tanto male!”. Al centro ci deve essere l’uomo e la donna, come Dio vuole, e non il denaro!

Io avevo scritto alcune cose per voi, ma, guardandovi, sono venute queste parole. Io consegnerò al Vescovo queste parole scritte come se fossero state dette. Ma ho preferito dirvi quello che mi viene dal cuore guardandovi in questo momento! Guardate è facile dire non perdere la speranza. Ma a tutti, a tutti voi, quelli che avete lavoro e quelli che non avete lavoro, dico: “Non lasciatevi rubare la speranza! Non lasciatevi rubare la speranza!”. Forse la speranza è come le braci sotto la cenere; aiutiamoci con la solidarietà, soffiando sulle ceneri, perché il fuoco venga un’altra volta. Ma la speranza ci porta avanti. Quello non è ottimismo, è un’altra cosa. Ma la speranza non è di uno, la speranza la facciamo tutti! La speranza dobbiamo sostenerla fra tutti, tutti voi e tutti noi che siamo lontani. La speranza è una cosa vostra e nostra. E’ cosa di tutti! Per questo vi dico: “Non lasciatevi rubare la speranza!”. Ma siamo furbi, perché il Signore ci dice che gli idoli sono più furbi do noi. Il Signore ci invita ad avere la furbizia del serpente, con la bontà della colomba. Abbiamo questa furbizia e diciamo le cose col proprio nome. In questo momento, nel nostro sistema economico, nel nostro sistema proposto globalizzato di vita, al centro c’è un idolo e questo non si può fare! Lottiamo tutti insieme perché al centro, almeno della nostra vita, sia l’uomo e la donna, la famiglia, tutti noi, perché la speranza possa andare avanti… “Non lasciatevi rubare la speranza!”.

Adesso vorrei finire pregando con tutti voi, in silenzio, in si-lenzio, pregando con tutti voi. Io dirò quello che mi viene dal cuore e voi, in silenzio, pregate con me.

“Signore Dio guardaci! Guarda questa città, questa isola. Guarda le nostre famiglie.

Signore, a Te, non è mancato il lavoro, hai fatto il falegname, Eri felice.

Signore, ci manca il lavoro.

Gli idoli vogliono rubarci la dignità. I sistemi ingiusti vogliono rubarci la speranza.

Signore, non ci lasciare soli. Aiutaci ad aiutarci fra noi; che dimentichiamo un po’ l’egoismo e sentiamo nel cuore il “noi”, noi popolo che vuole andare avanti.

Signore Gesù, a Te non mancò il lavoro, dacci lavoro e insegnaci a lottare per il lavoro e benedici tutti noi. Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”.

Grazie tante e pregate per me!

 

[A seguire le altre parole che Papa Francesco aveva preparato e che ha consegnato all'Arcivescovo di Cagliari dandole per lette.]

 

Vorrei condividere con voi tre punti semplici ma decisivi.

Il primo: rimettere al centro la persona e il lavoro. La crisi economica ha una dimensione europea e globale; ma la crisi non è solo economica, è anche etica, spirituale e umana. Alla radice c’è un tradimento del bene comune, sia da parte di singoli che di gruppi di potere. È necessario quindi togliere centralità alla legge del profitto e della rendita e ricollocare al centro la persona e il bene comune. E un fattore molto importante per la dignità della persona è proprio il lavoro; perché ci sia un’autentica promozione della persona va garantito il lavoro. Questo è un compito che appartiene alla società intera, per questo va riconosciuto un grande merito a quegli imprenditori che, nonostante tutto, non hanno smesso di impegnarsi, di investire e di rischiare per garantire occupazione. La cultura del lavoro, in confronto a quella dell’assistenzialismo, implica educazione al lavoro fin da giovani, accompagnamento al lavoro, dignità per ogni attività lavorativa, condivisione del lavoro, eliminazione di ogni lavoro nero. In questa fase, tutta la società, in tutte le sue componenti, faccia ogni sforzo possibile perché il lavoro, che è sorgente di dignità, sia preoccupazione centrale! La vostra condizione insulare poi rende ancora più urgente questo impegno da parte di tutti, soprattutto delle istanze politiche ed economiche.

Secondo elemento: il Vangelo della speranza. La Sardegna è una terra benedetta da Dio con tante risorse umane e ambientali, ma come nel resto dell’Italia serve nuovo slancio per ripartire. E i cristiani possono e debbono fare la loro par-te, portando il loro contributo specifico: la visione evangelica della vita. Ricordo le parole del Papa Benedetto XVI nella sua visita a Cagliari del 2008: occorre “evangelizzare il mondo del lavoro, dell’economia, della politica, che necessita di una nuova generazione di laici cristiani impegnati, capaci di cercare con competenza e rigore morale soluzioni di sviluppo sostenibile” (Omelia, 7 settembre 2008). I Vescovi della Sardegna sono particolarmente sensibili a queste realtà, specialmente a quella del lavoro. Voi, cari Vescovi, indicate la necessità di un discernimento serio, realistico, ma orientate anche verso un cammino di speranza, come avete scritto nel Messaggio in preparazione a questa Visita. Questo è importante, questa è la risposta giusta! Guardare in faccia la realtà, conoscerla bene, capirla, e cercare insieme delle strade, con il metodo della collaborazione e del dialogo, vivendo la vicinanza per portare speranza. Mai offuscare la speranza! Non confonderla con l’ottimismo – che dice semplicemente un atteggiamento psicologico – o con altre cose. La speranza è creativa, è capace di creare futuro.

Terzo: un lavoro dignitoso per tutti. Una società aperta alla speranza non si chiude in se stessa, nella difesa degli interessi di pochi, ma guarda avanti nella prospettiva del bene comune. E ciò richiede da parte di tutti un forte senso di responsabilità. Non c’è speranza sociale senza un lavoro dignitoso per tutti. Per questo occorre “perseguire quale priorità l’obiettivo dell’accesso al lavoro o del suo mantenimento per tutti” (Benedetto XVI, Enc. Caritas in veritate, 32).

Ho detto lavoro “dignitoso”, e lo sottolineo, perché purtroppo, specialmente quando c’è crisi e il bisogno è forte, aumenta il lavoro disumano, il lavoro-schiavo, il lavoro senza la giusta sicurezza, oppure senza il rispetto del creato, o senza rispetto del riposo, della festa e della famiglia, il lavorare di domenica quando non è necessario. Il lavoro dev’essere coniugato con la custodia del creato, perché questo venga preservato con responsabilità per le generazioni future. Il creato non è merce da sfruttare, ma dono da custodire. L’impegno ecologico stesso è occasione di nuova occupazione nei settori ad esso collegati, come l’energia, la prevenzione e l’abbattimento delle diverse forme di inquinamento, la vigilanza sugli incendi del patrimonio boschivo, e così via. Custodire il creato, custodire l’uomo con un lavoro dignitoso sia impegno di tutti! Ecologia… e anche “ecologia umana”!

Cari amici, vi sono particolarmente vicino, mettendo nelle mani del Signore e di Nostra Signora di Bonaria tutte le vostre ansie e preoccupazioni. Il Beato Giovanni Paolo II sottolineava che Gesù “ha lavorato con le proprie mani. Anzi, il suo lavoro, che è stato un vero lavoro fisico, ha occupato la maggior parte della sua vita su questa terra, ed è così entrato nell’opera della redenzione dell’uomo e del mondo” (Discorso ai lavoratori, Terni, 19 marzo 1981). E’ importante dedicarsi al proprio lavoro con assiduità, dedizione e competenza, è importante avere l’abitudine al lavoro.

Auspico che, nella logica della gratuità e della solidarietà, si possa uscire insieme da questa fase negativa, affinché sia assicurato un lavoro sicuro, dignitoso e stabile.

Portate il mio saluto alle vostre famiglie, ai bambini, ai giovani, agli anziani. Anch’io vi porto con me, specialmente nella mia preghiera. E imparto di cuore la Benedizione su di voi, sul vostro lavoro e sul vostro impegno sociale.

 

Omelia durante la celebrazione eucaristica

Sa paghe ‘e Nostru Segnore siat sempre chin bois!

Oggi si realizza quel desiderio che avevo annunciato in Piazza San Pietro, prima dell’estate, di poter visitare il Santuario di Nostra Signora di Bonaria.

1. Sono venuto per condividere con voi gioie e speranze, fa-tiche e impegni, ideali e aspirazioni della vostra Isola, e per confermarvi nella fede. Anche qui a Cagliari, come in tutta la Sardegna, non mancano difficoltà, – ce ne sono tante – problemi e preoccupazioni: penso, in particolare, alla mancanza del lavoro e alla sua precarietà, e quindi all’incertezza per il futuro. La Sardegna, questa vostra bella Regione, soffre da lungo tempo molte situazioni di povertà, accentuate anche dalla sua condizione insulare. E’ necessaria la collaborazione leale di tutti, con l’impegno dei responsabili delle istituzioni – anche la Chiesa – per assicurare alle persone e alle famiglie i diritti fondamentali, e far crescere una società più fraterna e solidale. Assicurare il diritto al lavoro, il diritto a portare pane a casa, pane guadagnato col lavoro! Vi sono vicino! Vi sono vicino, vi ricordo nella preghiera, e vi incoraggio a perseverare nella testimonianza dei valori umani e cristiani così profondamente radicati nella fede e nella storia di questo territorio e della popolazione. Mantenete sempre accesa la luce della speranza!

2. Sono venuto in mezzo a voi per mettermi con voi ai piedi della Madonna che ci dona il suo Figlio. So bene che Maria, nostra Madre, è nel vostro cuore, come testimonia questo Santuario, dove molte generazioni di Sardi sono salite – e continueranno a salire! – per invocare la protezione della Madonna di Bonaria, Patrona Massima dell’Isola. Qui voi portate le gioie e le sofferenze di questa terra, delle sue famiglie, e anche di quei figli che vivono lontani, spesso partiti con grande dolore e nostalgia per cercare un lavoro e un futuro per sé e per i loro cari. Oggi, noi tutti qui riuniti, vogliamo ringraziare Maria perché ci è sempre vicina, vogliamo rinnovare a Lei la nostra fiducia e il nostro amore.

La prima Lettura che abbiamo ascoltato ci mostra Maria in preghiera, nel Cenacolo, insieme agli Apostoli. Maria prega, pre-ga insieme alla comunità dei discepoli, e ci insegna ad avere piena fiducia in Dio, nella sua misericordia. Questa è la potenza della preghiera! Non stanchiamoci di bussare alla porta di Dio. Portiamo al cuore di Dio, attraverso Maria, tutta la nostra vita, ogni giorno! Bussare alla porta del cuore di Dio!

Nel Vangelo invece cogliamo soprattutto l’ultimo sguardo di Gesù verso sua Madre (cfr Gv 19,25-27). Dalla croce Gesù guarda sua Madre e le affida l’apostolo Giovanni, dicendo: Questo è tuo figlio. In Giovanni ci siamo tutti, anche noi, e lo sguardo di amore di Gesù ci affida alla custodia materna della Madre. Maria avrà ricordato un altro sguardo di amore, quando era una ragazza: lo sguardo di Dio Padre, che aveva guardato la sua umiltà, la sua piccolezza. Maria ci insegna che Dio non ci abbandona, può fare cose grandi anche con la nostra debolezza. Abbiamo fiducia in Lui! Bussiamo alla porta del suo cuore!

3. E il terzo pensiero: oggi sono venuto in mezzo a voi, anzi siamo venuti tutti insieme per incontrare lo sguardo di Maria, perché lì è come riflesso lo sguardo del Padre, che la fece Madre di Dio, e lo sguardo del Figlio dalla croce, che la fece Madre nostra. E con quello sguardo oggi Maria ci guarda. Abbiamo bisogno del suo sguardo di tenerezza, del suo sguardo materno che ci conosce meglio che chiunque altro, del suo sguardo pieno di compassione e di cura. Maria, oggi vogliamo dirti: Madre, donaci il tuo sguardo! Il tuo sguardo ci porta a Dio, il tuo sguardo è un dono del Padre buono, che ci attende ad ogni svolta del nostro cammino, è un dono di Gesù Cristo in croce, che carica su di sé le nostre sofferenze, le nostre fatiche, il nostro peccato. E per incontrare questo Padre pieno di amore, oggi le diciamo: Madre, donaci il tuo sguardo! Lo diciamo tutti insieme: “Madre, donaci il tuo sguardo!”. “Madre, donaci il tuo sguardo!”.

Nel cammino, spesso difficile, non siamo soli, siamo in tanti, siamo un popolo, e lo sguardo della Madonna ci aiuta a guardarci tra noi in modo fraterno. Guardiamoci in modo più fraterno! Maria ci insegna ad avere quello sguardo che cerca di accogliere, di accompagnare, di proteggere. Impariamo a guardarci gli uni gli altri sotto lo sguardo materno di Maria! Ci sono persone che istintivamente consideriamo di meno e che invece ne hanno più bisogno: i più abbandonati, i malati, coloro che non hanno di che vivere, coloro che non conoscono Gesù, i giovani che sono in difficoltà, i giovani che non trovano lavoro. Non abbiamo paura di uscire e guardare i nostri fratelli e sorelle con lo sguardo della Madonna, Lei ci invita ad essere veri fratelli. E non permettiamo che qualcosa o qualcuno si frapponga tra noi e lo sguardo della Madonna. Madre, donaci il tuo sguardo! Nessuno ce lo nasconda! Il nostro cuore di figli sappia difenderlo da tanti parolai che promettono illusioni; da coloro che hanno uno sguardo avido di vita facile, di promesse che non si possono compiere. Non ci rubino lo sguardo di Maria, che è pieno di tenerezza, che ci dà forza, che ci rende solidali tra noi. Tutti diciamo: Madre, donaci il tuo sguardo! Madre, donaci il tuo sguardo! Madre, donaci il tuo sguardo!

Nostra Segnora ‘e Bonaria bos acumpanzet sempre in sa vida.

 

AFFIDAMENTO ALLA MADONNA

Beatissima Vergine e Nostra Signora di Bonaria, a te, con tanta fiducia, consacro ognuno dei tuoi figli. Tu ci conosci e noi sappiamo che ci vuoi molto bene. Oggi, dopo aver adorato il tuo Figlio Gesù Cristo, nostro fratello maggiore e nostro Dio, ti chiedo di volgere il tuo sguardo su tutti e su ognuno.

Ti prego per ogni famiglia di questa città e di questa Regione.

Ti invoco per i fanciulli e per i giovani; per gli anziani e per gli ammalati; per quelli che sono soli e per quelli che sono in carcere; per quelli che hanno fame e per coloro che non hanno lavoro; per quelli che hanno perso la speranza e per coloro che non hanno fede. Ti supplico anche per i governanti e per gli educatori.

Madre nostra, custodisci tutti con tenerezza, e donaci la tua forza e tanta consolazione. Siamo tuoi figli. Ci poniamo sotto la tua protezione. Non lasciarci soli nel momento del dolore e della prova. Confidiamo nel tuo cuore materno e ti consacriamo tutto ciò che siamo e possediamo. E, soprattutto, Madre dolcissima, mostraci Gesù; e insegnaci a fare sempre e solo quello che Lui ci dirà. Amen.

 

PRIMA DELL’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle,

prima di concludere questa celebrazione, vi saluto con affetto, in particolare i miei confratelli Vescovi della Sardegna, che ringrazio. Qui, ai piedi della Madonna, vorrei ringraziare tutti e ciascuno di voi, cari fedeli, i sacerdoti, i religiosi e le religiose, le Autorità e in modo speciale quanti hanno collaborato per organizzare questa visita. Soprattutto voglio affidarvi a Maria, Nostra Signora di Bonaria. Ma in questo mo-mento penso a tutti i numerosi santuari mariani della Sardegna: la vostra terra ha un legame forte con Maria, un legame che esprimete nella vostra devozione e nella vostra cultura. Siate sempre veri figli di Maria e della Chiesa, e dimostratelo con la vostra vita, seguendo l’esempio dei santi!

A questo proposito, ricordiamo che ieri, a Bergamo, è stato proclamato Beato Tommaso Acerbis da Olera, frate Cappuccino, vissuto tra i secoli sedicesimo e diciassettesimo. Rendiamo grazie per questo testimone dell’umiltà e della carità di Cristo!

Ora recitiamo insieme la preghiera dell’Angelus.

Parole finali

Vi auguro buona domenica e buon pranzo!

 

INCONTRO CON I POVERI E I DETENUTI IN CATTEDRALE

Cari fratelli e sorelle,

Grazie a tutti per essere qui, oggi. Nei vostri volti vedo fatica, ma vedo anche speranza. Sentitevi amati dal Signore, e anche da tante persone buone, che con le loro preghiere e con le loro opere aiutano ad alleviare le sofferenze del prossimo. Io mi sento a casa, qui. E anche spero che voi vi sentiate a casa in questa Cattedrale: come si dice in America Latina, “questa casa è la vostra casa”, è la vostra casa.

Qui sentiamo in modo forte e concreto che siamo tutti fratelli. Qui l’unico Padre è il Padre nostro celeste, e l’unico Maestro è Gesù Cristo. Allora la prima cosa che volevo condividere con voi è proprio questa gioia di avere Gesù come Mae-stro, come modello di vita. Guardiamo a Lui! Questo ci dà tanta forza, tanta consolazione nelle nostre fragilità, nelle nostre miserie e nelle nostre difficoltà. Tutti noi abbiamo difficoltà, tutti. Tutti noi che siamo qui abbiamo difficoltà. Tutti noi che siamo qui – tutti – abbiamo miserie e tutti noi che siamo qui abbiamo fragilità. Nessuno qui è migliore dell’altro. Tutti siamo uguali davanti al Padre, tutti!

1. E guardando Gesù noi vediamo che Lui ha scelto la via dell’umiltà e del servizio. Anzi, Lui stesso in persona è questa via. Gesù non è stato indeciso, non è stato “qualunquista”: ha fatto una scelta e l’ha portata avanti fino in fondo. Ha scelto di farsi uomo, e come uomo di farsi servo, fino alla morte di croce. Questa è la via dell’amore: non c’è un’altra. Perciò vediamo che la carità non è un semplice assistenzialismo, e meno un assistenzialismo per tranquillizzare le coscienze. No, quello non è amore, quello è negozio, quello è affare. L’amore è gratuito. La carità, l’amore è una scelta di vita, è un modo di essere, di vivere, è la via dell’umiltà e della solidarietà. Non c’è un’altra via per questo amore: essere umili e solidali. Questa parola, solidarietà, in questa cultura dello scarto – quello che non serve si butta fuori – per rimanere soltanto quelli che si sentono giusti, che si sentono puri, che si sentono puliti. Poveretti! Questa parola, solidarietà, rischia di essere cancellata dal dizionario, perché è una parola che dà fastidio, dà fastidio. Perché? Perché ti obbliga a guardare all’altro e darti all’altro con amore. E’ meglio cancellarla dal dizionario, perché da fastidio. E noi no, noi diciamo: questa è la via, l’umiltà e la solidarietà. Perché? L’ab-biamo inventata noi preti? No! E’ di Gesù: Lui l’ha detto! E vogliamo andare per questa strada. L’umiltà di Cristo non è un moralismo, un sentimento. L’umiltà di Cristo è reale, è la scelta di essere piccolo, di stare con i piccoli, con gli esclusi, di stare fra noi, peccatori tutti. Attenzione, non è un’ideologia! E’ un modo di essere e di vivere che parte dall’amore, parte dal cuore di Dio.

Questa è la prima cosa, e mi piace tanto parlarne con voi. Guardiamo Gesù: Lui è la nostra gioia, ma anche la nostra forza, la nostra certezza, perché è la via sicura: umiltà, solidarietà, servizio. Non c’è un’altra via. Nella statua di Nostra Signora di Bonaria, Cristo appare tra le braccia di Maria. Lei, come buona madre, ce Lo indica, ci dice di avere fiducia in Lui.

2. Ma non basta guardare, bisogna seguire! E questo è il secondo aspetto. Gesù non è venuto nel mondo a fare una sfilata, per farsi vedere. Non è venuto per questo. Gesù è la via, e una via serve per camminare, per percorrerla. Allora io voglio anzitutto ringraziare il Signore per il vostro impegno nel seguirlo, anche nella fatica, nella sofferenza, tra le mura di un carcere. Continuiamo ad avere fiducia in Lui, donerà al vostro cuore speranza e gioia! Voglio ringraziarlo per tutti voi che vi dedicate generosamente, qui a Cagliari e in tutta la Sardegna, alle opere di misericordia. Desidero incoraggiarvi a continuare su questa strada, ad andare avanti insieme, cercando di conservare anzitutto la carità tra di voi. Questo è molto importante. Non possiamo seguire Gesù sulla via della carità se non ci vogliamo bene prima di tutto tra noi, se non ci sforziamo di collaborare, di comprenderci a vicenda e di perdonarci, riconoscendo ciascuno i propri limiti e i propri sbagli. Dobbiamo fare le opere di misericordia, ma con misericordia! Con il cuore lì. Le opere di carità con carità, con tenerezza, e sempre con umiltà! Sapete? A volte si trova anche l’arroganza nel servizio ai poveri! Sono sicuro che voi l’avete vista. Quell’arroganza nel servizio a quelli che hanno bisogno del nostro servizio. Alcuni si fanno belli, si riempiono la bocca con i poveri; alcuni strumentalizzano i poveri per interessi personali o del proprio gruppo. Lo so, questo è umano, ma non va bene! Non è di Gesù, questo. E dico di più: questo è peccato! E’ peccato grave, perché è usare i bisognosi, quelli che hanno bisogno, che sono la carne di Gesù, per la mia vanità. Uso Gesù per la mia vanità, e questo è peccato grave! Sarebbe meglio che queste persone rimanessero a casa!

Dunque: seguire Gesù sulla via della carità, andare con Lui alle periferie esistenziali. «La carità di Gesù è un’urgenza!», diceva Paolo (cfr 2 Cor 5,14). Per il buon Pastore ciò che è lontano, periferico, ciò che è sperduto e disprezzato è oggetto di una cura maggiore, e la Chiesa non può che far sua questa predilezione e questa attenzione. Nella Chiesa, i primi sono quelli che hanno più necessità, umana, spirituale, materiale, più necessità.

3. E seguendo Cristo sulla via della carità, noi seminiamo speranza. Seminare speranza: questa è la terza convinzione che mi piace condividere con voi. La società italiana oggi ha molto bisogno di speranza, e la Sardegna in modo particolare. Chi ha responsabilità politiche e civili ha il proprio compito, che come cittadini bisogna sostenere in modo attivo. Alcuni membri della comunità cristiana sono chiamati ad impegnarsi in questo campo della politica, che è una forma alta di carità, come diceva Paolo VI. Ma come Chiesa abbiamo tutti una responsabilità forte che è quella di seminare la speranza con opere di solidarietà, sempre cercando di collaborare nel modo migliore con le pubbliche istituzioni, nel rispetto delle rispettive competenze. La Caritas è espressione della comunità, e la forza della comunità cristiana è far crescere la società dall’interno, come il lievito. Penso alle vostre iniziative con i detenuti nelle carceri, penso al volontariato di tante associazioni, alla solidarietà con le famiglie che soffrono di più a causa della mancanza di lavoro. In questo vi dico: coraggio! Non lasciatevi rubare la speranza e andate avanti! Che non ve la rubino! Al contrario: seminare speranza! Grazie, cari amici! Vi benedico tutti, insieme con le vostre famiglie. E grazie a tutti voi!

[saluto dopo il Padre Nostro]

Il Signore vi benedica tutti: le vostre famiglie, i vostri problemi, le vostre gioie, le vostre speranze. In nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. E, per favore, vi chiedo di pregare per me: ne ho bisogno!

 

INCONTRO CON LE SUORE DI CLAUSURA

Alle suore di clausura un saluto speciale, perché voi siete il sostegno della Chiesa, il sostegno spirituale della Chiesa. Andate avanti con questa certezza. Il Signore vi ha chiamate per sostenere la Chiesa, con la preghiera, con la grande preghiera. Vi benedico tutte: in nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Pregate per me e grazie tante.

 

INCONTRO CON IL MONDO DELLA CULTURA

Cari amici, buon pomeriggio!

Rivolgo a tutti il mio saluto cordiale. Ringrazio il Padre Preside e i Rettori Magnifici per le loro parole di accoglienza, e auguro ogni bene per il lavoro delle tre Istituzioni. Mi piace aver sentito che lavorano insieme, come amici: e questo è buono! Ringrazio e incoraggio la Pontificia Facoltà Teologica, che ci ospita, in particolare i Padri Gesuiti, che vi svolgono con generosità il loro prezioso servizio, e l’intero Corpo Accademico. La preparazione dei candidati al sacerdozio rimane un obiettivo primario, ma anche la formazione dei laici è molto importante.

Non voglio fare una lezione accademica, anche se il contesto e voi che siete un gruppo qualificato forse lo richiederebbero. Preferisco offrire alcune riflessioni a voce alta che partono dalla mia esperienza di uomo e di Pastore della Chiesa. E per questo mi lascio guidare da un brano del Vangelo, facendone una lettura “esistenziale”, quello dei discepoli di Emmaus: due discepoli di Gesù che, dopo la sua morte, se ne vanno da Gerusalemme e tornano al paese. Ho scelto tre parole chiave: disillusione, rassegnazione, speranza.

1. Questi due discepoli portano nel cuore la sofferenza e il disorientamento per la morte di Gesù, sono delusi per come sono andate a finire le cose. Un sentimento analogo lo ritroviamo anche nella nostra situazione attuale: la delusione, la disillusione, a causa di una crisi economico-finanziaria, ma anche ecologica, educativa, morale, umana. E’ una crisi che riguarda il presente e il futuro storico, esistenziale dell’uomo in questa nostra civiltà occidentale, e che finisce poi per interessare il mondo intero. E quando dico crisi, non penso ad una tragedia. I cinesi, quando vogliono scrivere la parola cri-si, la scrivono con due caratteri: il carattere del pericolo e il carattere dell’opportunità. Quando parliamo di crisi, parliamo di pericoli, ma anche di opportunità. Questo è il senso in cui io utilizzo la parola. Certo, ogni epoca della storia porta in sé elementi critici, ma, almeno negli ultimi quattro secoli, non si sono viste così scosse le certezze fondamentali che costituiscono la vita degli esseri umani come nella nostra epoca. Penso al deterioramento dell’ambiente: questo è pericoloso, pensiamo un po’ avanti, alla guerra dell’acqua che viene; agli squilibri sociali; alla terribile potenza delle armi – ne abbiamo parlato tanto, in questi giorni; al sistema economico-finanziario, il quale ha al centro non l’uomo, ma il denaro, il dio denaro; allo sviluppo e al peso dei mezzi di informazione, con tutta la loro positività, di comunicazione, di trasporto. E’ un cambiamento che riguarda il modo stesso in cui l’umanità porta avanti la sua esistenza nel mondo.

2. Di fronte a questa realtà quali sono le reazioni? Ritorniamo ai due discepoli di Emmaus: delusi di fronte alla morte di Gesù, si mostrano rassegnati e cercano di fuggire dalla realtà, lasciano Gerusalemme. Gli stessi atteggiamenti li possiamo leggere anche in questo momento storico. Di fronte alla crisi ci può essere la rassegnazione, il pessimismo verso ogni possibilità di efficace intervento. In un certo senso è un “chiamarsi fuori” dalla stessa dinamica dell’attuale tornante storico, denunciandone gli aspetti più negativi con una mentalità simile a quel movimento spirituale e teologico del II secolo dopo Cristo che viene chiamato “apocalittico”. Noi ne abbiamo la tentazione, pensare in chiave apocalittica. Questa concezione pessimistica della libertà umana e dei processi storici porta ad una sorta di paralisi dell’intelligenza e della volontà. La disillusione porta anche ad una sorta di fuga, a ricercare “isole” o momenti di tregua. E’ qualcosa di simile all’atteggiamento di Pilato, il “lavarsi le mani”. Un atteggiamento che appare “pragmatico”, ma che di fatto ignora il grido di giustizia, di umanità e di responsabilità sociale e porta all’individualismo, all’ipocrisia, se non ad una sorta di cinismo. Questa è la tentazione che noi abbiamo davanti, se andiamo per questa strada della disillusione o della delusione.

3. A questo punto ci chiediamo: c’è una via da percorrere in questa nostra situazione? Dobbiamo rassegnarci? Dobbia-mo lasciarci oscurare la speranza? Dobbiamo fuggire dalla realtà? Dobbiamo “lavarci le mani” e chiuderci in noi stessi? Penso non solo che ci sia una strada da percorrere, ma che proprio il momento storico che viviamo ci spinga a cercare e trovare vie di speranza, che aprano orizzonti nuovi alla nostra società. E qui è prezioso il ruolo dell’Università. L’U-niversità come luogo di elaborazione e trasmissione del sapere, di formazione alla “sapienza” nel senso più profondo del termine, di educazione integrale della persona. In questa direzione, vorrei offrire alcuni brevi spunti su cui riflettere.

a. L’Università come luogo del discernimento. E’ importante leggere la realtà, guardandola in faccia. Le letture ideologiche o parziali non servono, alimentano solamente l’illusione e la disillusione. Leggere la realtà, ma anche vivere questa realtà, senza paure, senza fughe e senza catastrofismi. Ogni crisi, anche quella attuale, è un passaggio, il travaglio di un parto che comporta fatica, difficoltà, sofferenza, ma che porta in sé l’orizzonte della vita, di un rinnovamento, porta la forza della speranza. E questa non è una crisi di “cambio”: è una crisi di “cambio di epoca”. E’ un’epoca, quella che cambia. Non sono cambiamenti epocali superficiali. La crisi può diventare momento di purificazione e di ripensamento dei nostri modelli economico-sociali e di una certa concezione del progresso che ha alimentato illusioni, per recuperare l’umano in tutte le sue dimensioni. Il discernimento non è cieco, né improvvisato: si realizza sulla base di criteri etici e spirituali, implica l’interrogarsi su ciò che è buono, il riferimento ai valori propri di una visione dell’uomo e del mondo, una visione della persona in tutte le sue dimensioni, soprattutto in quella spirituale, trascendente; non si può considerare mai la persona come “materiale umano”! Questa è forse la proposta nascosta del funzionalismo. L’Università come luogo di “sapienza” ha una funzione molto importante nel formare al discernimento per alimentare la speranza. Quando il viandante sconosciuto, che è Gesù Risorto, si accosta ai due discepoli di Emmaus, tristi e sconsolati, non cerca di nascondere la realtà della Crocifissione, dell’apparente sconfitta che ha provocato la loro crisi, al contrario li invita a leggere la realtà per guidarli alla luce della sua Risurrezione: «Stolti e lenti di cuore… Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella gloria?» (Lc 24,25-26). Fare discernimento significa non fuggire, ma leggere seriamente, senza pregiudizi, la realtà.

b. Un altro elemento: l’Università come luogo in cui si elabora la cultura della prossimità, cultura della prossimità. Questa è una proposta: cultura della vicinanza. L’isolamento e la chiusura in se stessi o nei propri interessi non sono mai la via per ridare speranza e operare un rinnovamento, ma è la vicinanza, è la cultura dell’incontro. L’isolamento, no; vicinanza, sì. Cultura dello scontro, no; cultura dell’incontro, sì. L’Università è luogo privilegiato in cui si promuove, si insegna, si vive questa cultura del dialogo, che non livella indiscriminatamente differenze e pluralismi – uno dei rischi della globalizzazione è questo -, e neppure li estremizza facendoli diventare motivo di scontro, ma apre al confronto costruttivo. Questo significa comprendere e valorizzare le ricchezze dell’altro, considerandolo non con indifferenza o con timore, ma come fattore di crescita. Le dinamiche che regolano i rapporti tra persone, tra gruppi, tra Nazioni spesso non sono di vicinanza, di incontro, ma di scontro. Mi richiamo ancora al brano evangelico. Quando Gesù si avvicina ai due discepoli di Emmaus, condivide il loro cammino, ascolta la loro lettura della realtà, la loro delusione, e dialoga con loro; proprio in questo modo riaccende nei loro cuori la speranza, apre nuovi orizzonti che erano già presenti, ma che solo l’incontro con il Risorto permette di riconoscere. Non abbiate mai paura dell’incontro, del dialogo, del confronto, anche tra Università. A tutti i livelli. Qui siamo nella sede della Facoltà Teologica. Permettetemi di dirvi: non abbiate timore di aprirvi anche agli orizzonti della trascendenza, all’incontro con Cristo o di approfondire il rapporto con Lui. La fede non riduce mai lo spazio della ragione, ma lo apre ad una visione integrale dell’uomo e della realtà, e difende dal pericolo di ridurre l’uomo a “materiale umano”.

c. Un ultimo elemento: l’Università come luogo di formazione alla solidarietà. La parola solidarietà non appartiene solo al vocabolario cristiano, è una parola fondamentale del vocabolario umano. Come ho detto oggi, è una parola che in questa crisi rischia di essere cancellata dal dizionario. Il discernimento della realtà, assumendo il momento di crisi, la promozione di una cultura dell’incontro e del dialogo, orientano verso la solidarietà, come elemento fondamentale per un rinnovamento delle nostre società. L’incontro, il dialogo tra Gesù e i due discepoli di Emmaus, che riaccende la speranza e rinnova il cammino della loro vita, porta alla condivisione: lo riconobbero nello spezzare il pane. E’ il segno del-l’Eucaristia, di Dio che si fa così vicino in Cristo da farsi presenza costante, da condividere la sua stessa vita. E questo dice a tutti, anche a chi non crede, che è proprio in una solidarietà non detta, ma vissuta, che i rapporti passano dal considerare l’altro come “materiale umano” o come “numero”, al considerarlo come persona. Non c’è futuro per nessun Pae-se, per nessuna società, per il nostro mondo, se non sapremo essere tutti più solidali. Solidarietà quindi come modo di fare la storia, come ambito vitale in cui i conflitti, le tensioni, anche gli opposti raggiungono un’armonia che genera vita. In questo, pensando a questa realtà dell’incontro nella crisi, ho trovato nei politici giovani un’altra maniera di pensare la politica. Non dico migliore o non migliore ma un’altra maniera. Parlano diversamente, stanno cercando… la musica loro è diversa dalla musica nostra. Non abbiamo paura! Sentia-moli, parliamo con loro. Loro hanno un’intuizione: apriamoci alla loro intuizione. E’ l’intuizione della vita giovane. Dico i politici giovani perché è quello che ho sentito, ma i giovani in genere cercano questa chiave diversa. Per aiutarci all’incontro, ci aiuterà sentire la musica di questi politici, “scientifici”, pensatori giovani.

Prima di concludere, permettetemi di sottolineare che a noi cristiani la fede stessa dona una speranza solida che spinge a discernere la realtà, a vivere la vicinanza e la solidarietà, perché Dio stesso è entrato nella nostra storia, diventando uomo in Gesù, si è immerso nella nostra debolezza, facendosi vicino a tutti, mostrando solidarietà concreta, specialmente ai più poveri e bisognosi, aprendoci un orizzonte infinito e sicuro di speranza.

Cari amici, grazie per questo incontro e per la vostra attenzione; la speranza sia la luce che illumina sempre il vostro studio e il vostro impegno. E il coraggio sia il tempo musicale per andare avanti! Che il Signore vi benedica!

 

INCONTRO CON I GIOVANI

Cari giovani di Sardegna!

Sembra che ci siano alcuni giovani, no? Alcuni! Alcuni o tanti? Ce ne sono tanti!

Grazie di essere venuti in tanti a questo incontro! E grazie ai “portavoce”. Vedervi mi fa pensare alla Giornata Mondiale della Gioventù di Rio de Janeiro: alcuni di voi erano là, ma molti sicuramente hanno seguito con la televisione e internet. E’ stata un’esperienza molto bella, una festa della fede e della fraternità, che riempie di gioia. La stessa gioia che proviamo oggi.

Ringraziamo il Signore e la Vergine Maria, Nostra Signora di Bonaria: è lei che ci ha fatti incontrare qui. Pregatela spesso, è una buona mamma, ve lo assicuro! Alcune delle vostre “pregunte”, delle domande… ma, anche io parlo un dialetto, qui! Alcune delle vostre domande sono sulla stessa direzione. Io penso al Vangelo sulla riva del lago di Galilea, dove vivevano e lavoravano Simone – che poi Gesù chiamerà Pietro – e suo fratello Andrea, insieme con Giacomo e Giovanni, anch’essi fratelli, tutti pescatori. Gesù è circondato dalla folla che vuole ascoltare la sua parola; vede quei pescatori accanto alle barche mentre ripuliscono le reti. Sale sulla barca di Simone e gli chiede di allontanarsi un po’ dalla riva, e così, stando seduto sulla barca, parla alla gente; Gesù, sulla barca, parla alla gente. Quando ha terminato, dice a Simone di prendere il largo e gettare le reti. Questa richiesta è una prova per Simone – sentite bene la parola: una “prova” – perché lui e gli altri erano appena rientrati da una notte di pesca andata male.

Simone è un uomo pratico e sincero, e dice subito a Gesù: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla».

Questo è il primo punto: l’esperienza del fallimento. Nelle vostre domande c’era questa esperienza: il Sacramento della Cresima – come si chiama, questo Sacramento? La Cresima …no! E’ cambiato il nome: “Sacramento dell’addio”.

Fanno questo e se ne vanno dalla Chiesa: è vero o no? Questa è un’esperienza di fallimento. L’altra esperienza di fallimento: i giovani che non ci sono nella parrocchia: avete parlato di questo, voi. Questa esperienza del fallimento, qualcosa che va storto, una delusione. Nella giovinezza si è proiettati in avanti, ma a volte capita di vivere un fallimento, una frustrazione: è una prova, ed è importante! E adesso io voglio fare una domanda a voi, ma non rispondete a voce, ma in silenzio. Ognuno nel suo cuore pensi, pensate alle esperienze di fallimento che voi avete sperimentato, pensate. E’ certo: tutti noi ne abbiamo, tutti noi ne abbiamo.

Nella Chiesa facciamo tante volte questa esperienza: i sacerdoti, i catechisti, gli animatori si affaticano molto, spendono tante energie, ce la mettono tutta, e alla fine non vedono risultati sempre corrispondenti ai loro sforzi. Lo hanno detto anche i vostri “portavoce”, nelle prime due domande. Facevano riferimento alle comunità dove la fede appare un po’ sbiadita, non molti fedeli partecipano attivamente alla vita della Chiesa, si vedono dei cristiani a volte stanchi e tristi, e molti ragazzi, dopo aver ricevuto la Cresima, se ne vanno. Il Sacramento del congedo, dell’addio, come ho detto io. E’ un’esperienza di fallimento, un’esperienza che ci lascia vuoti, ci scoraggia. E’ vero o no? [Sì, rispondono i giovani] E’ vero o no? [Sì, rispondono ancora]

2. Di fronte a questa realtà, giustamente voi vi chiedete: che cosa possiamo fare? Certamente una cosa da non fare è quella di lasciarsi vincere dal pessimismo e dalla sfiducia. Cristiani pessimisti: è brutto questo! Voi giovani non potete e non dovete essere senza speranza, la speranza fa parte del vostro es-sere. Un giovane senza speranza non è giovane, è invecchiato troppo presto! La speranza fa parte della vostra giovinezza! Se voi non avete speranza, pensate seriamente, pensate seriamente… Un giovane senza gioia e senza speranza è preoccupante: non è un giovane. E quando un giovane non ha gioia, quando un giovane sente la sfiducia della vita, quando un giovane perde la speranza, dove va a trovare un po’ di tranquillità, un po’ di pace? Senza fiducia, senza speranza, senza gioia? Voi sapete, questi mercanti di morte, quelli che vendono morte ti offrono una strada per quando voi siete tristi, senza speranza, senza fiducia, senza coraggio! Per favore, non vendere la tua gioventù a questi che vendono morte! Voi mi capite di che cosa sto parlando! Tutti voi lo capite: non vendere!

Ritorniamo alla scena del Vangelo: Pietro, in quel momento critico, gioca se stesso. Che cosa avrebbe potuto fare? Avrebbe potuto cedere alla stanchezza e alla sfiducia, pensando che è inutile e che è meglio ritirarsi e andare a casa. Invece che cosa fa? Con coraggio, esce da se stesso e sceglie di fidarsi di Gesù. Dice: «Mah, sta bene: sulla tua parola getterò le reti». Attenzione! Non dice: sulle mie forze, sui miei calcoli, sulla mia esperienza di esperto pescatore, ma “Sulla tua parola”, sulla parola di Gesù! E il risultato è una pesca incredibile, le reti si riempiono, tanto che quasi si rompevano.

Questo è il secondo punto: fidarsi di Gesù, fidarsi di Gesù. E quando dico questa cosa, io voglio essere sincero e dirvi: io non vengo qui a vendervi un’illusione. Io vengo qui a dire: c’è una Persona che può portarti avanti: fidati di Lui! E’ Gesù! Fidati di Gesù! E Gesù non è un’illusione! Fidarsi di Gesù. Il Signore è sempre con noi. Viene sulla riva del mare della nostra vita, si fa vicino ai nostri fallimenti, alla nostra fragilità, ai nostri peccati, per trasformarli. Non smettete mai di rimettervi in gioco, come dei buoni sportivi – alcuni di voi lo sanno bene per esperienza – che sanno affrontare la fatica dell’allenamento per raggiungere dei risultati! Le difficoltà non devono spaventarvi, ma spingervi ad andare oltre. Sentite rivolte a voi le parole di Gesù: Prendete il largo e calate le reti, giovani di Sardegna! Prendete il largo! Siate sempre più docili alla Parola del Signore: è Lui, è la sua Parola, è il seguirlo che rende fruttuoso il vostro impegno di testimonianza. Quando gli sforzi per risvegliare la fede tra i vostri amici sembrano inutili, come la fatica notturna dei pescatori, ricordatevi che con Gesù tutto cambia. La Parola del Signore ha riempito le reti, e la Parola del Signore rende efficace il lavoro missionario dei discepoli. Seguire Gesù è impegnativo, vuol dire non accontentarsi di piccole mete, del piccolo cabotaggio, ma puntare in alto con co-raggio!

Non è buono – non è buono – fermarsi al «non abbiamo preso nulla», ma andare oltre, andare al «prendi il largo e getta le reti» di nuovo, senza stancarci! Gesù lo ripete a ciascuno di voi. Ed è Lui che darà la forza! C’è la minaccia del lamento, della rassegnazione. Questi li lasciamo a quelli che seguono la “dea lamentela”! E voi, seguite la “dea lamentela”? Vi lamentate continuamente, come in una veglia funebre? No, i giovani non possono fare quello! La “dea lamentela” è un inganno: ti fa prendere la strada sbagliata.

Quando tutto sembra fermo e stagnante, quando i problemi personali ci inquietano, i disagi sociali non trovano le dovute risposte, non è buono darsi per vinti. La strada è Gesù: farlo salire sulla nostra “barca” e prendere il largo con Lui! Lui è il Si-gnore! Lui cambia la prospettiva della vita. La fede in Gesù conduce a una speranza che va oltre, a una certezza fondata non soltanto sulle nostre qualità e abilità, ma sulla Parola di Dio, sull’invito che viene da Lui. Senza fare troppi calcoli umani e non preoccuparsi di verificare se la realtà che vi circonda coincide con le vostre sicurezze. Prendete il largo, uscite da voi stessi; uscire dal nostro piccolo mondo e aprirci a Dio, per aprirci sempre più anche ai fratelli. Aprirci a Dio ci apre agli altri! Aprirsi a Dio e aprirsi agli altri. Fare qualche passo oltre noi stessi, piccoli passi, ma fateli. Piccoli passi, uscendo da voi stessi verso Dio e verso gli altri, aprendo il cuore alla fraternità, all’amicizia, alla solidarietà.

3. Terzo – e finisco: è un poco lungo! -: «Gettate le vostre reti per la pesca» (v. 4). Cari giovani sardi, la terza cosa che voglio dirvi, e così rispondo alle altre due domande, è che anche voi siete chiamati a diventare “pescatori di uomini”. Non esitate a spendere la vostra vita per testimoniare con gioia il Vangelo, specialmente ai vostri coetanei.

Io voglio raccontarvi un’esperienza personale. Ieri ho fatto il 60° anniversario del giorno in cui ho sentito la voce di Gesù nel mio cuore. Ma questo lo dico non perché facciate una torta, qui, no, non lo dico per quello. Ma è un ricordo: 60 anni da quel giorno. Non lo dimentico mai. Il Signore mi ha fatto sentire fortemente che dovevo andare per quella strada. Avevo 17 anni. Sono passati alcuni anni prima che questa decisione, questo invito, fosse concreto e definitivo. Dopo sono passati tanti anni con alcuni successi, di gioia, ma tanti anni di fallimenti, di fragilità, di peccato… 60 anni sulla strada del Signore, dietro a Lui, accanto a Lui, sempre con Lui. Soltanto vi dico questo: non mi sono pentito! Non mi sono pentito! Ma perché? Perché io mi sento Tarzan e sono forte per andare avanti? No, non mi sono pentito perché sempre, anche nei momenti più bui, nei momenti del peccato, nei momenti della fragilità, nei momenti di fallimento, ho guardato Gesù e mi sono fidato di Lui, e Lui non mi ha lasciato da solo. Fidatevi di Gesù: Lui sempre va avanti, Lui va con noi! Ma, sentite, Lui non delude mai. Lui è fedele, è un compagno fedele. Pensate, questa è la mia testimonianza: sono felice di questi 60 anni con il Signore. Ma una cosa di più: andate avanti.

Ho parlato troppo a lungo? [No, rispondono i giovani] Restiamo uniti nella preghiera. E andare in questa vita con Gesù: lo hanno fatto i Santi.

I Santi sono così: non nascono già perfetti, già santi! Lo diventano perché, come Simon Pietro, si fidano della Parola del Signore e “prendono il largo”. La vostra terra ha dato tante testimonianze, anche recenti: le Beate Antonia Mesina, Gabriella Sagheddu, Giuseppina Nicoli; i Servi di Dio Edvige Carboni, Simonetta Tronci e Don Antonio Loi. Sono persone comuni, che invece di lamentarsi hanno “gettato le reti per la pesca”. Imitate il loro esempio, affidatevi alla loro intercessione, e siate sempre uomini e donne di speranza!

Niente lamentele! Niente scoraggiamento! Niente buttarsi giù, niente andare a comprare consolazione di morte: niente! Andare avanti con Gesù! Lui non fallisce mai, Lui non delude, Lui è leale!

Pregate per me!  E la Madonna vi accompagni.

 

Prima della Benedizione Papa Francesco ha aggiunto queste parole:

Cari giovani,

prima di dare la Benedizione io volevo dirvi un’altra cosa. Quando io dicevo di andare avanti con Gesù, è per costruire, per fare cose buone, per portare avanti la vita, aiutare gli altri, per costruire un mondo migliore e di pace. Ma ci sono scelte sbagliate, scelte sbagliate, perché ci sono scelte di distruzione. Oggi, in Pakistan, per una scelta sbagliata, di odio, di guerra, è stato fatto un attentato e sono morte 70 persone. Questa strada non va, non serve. Soltanto la strada della pace, che costruisce un mondo migliore! Ma se non lo fate voi, se non lo fate voi, non lo farà un altro! Questo è il problema, e questa è la domanda che io vi lascio: “Sono disposto, sono disposta a prendere una strada per costruire un mondo migliore?”. Soltanto questo. E preghiamo un Padre Nostro per tutte queste persone che sono morte in questo attentato del Pakistan.

Padre Nostro…

Che la Madonna ci aiuti sempre a lavorare per un mondo migliore, a prendere la strada della costruzione, la strada della pace, e mai la strada della distruzione e la strada della guerra.

Vi benedica Dio Onnipotente, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo.

Per favore, pregate per me. E arrivederci!

 

 

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