Come vedono l’Italia da fuori, di Roger COHEN (del New York Times)
Due articoli del New York Timese e la postilla di un italiano … sardo (Gianni Mula, selezionatore e traduttore degli articoli americani… lo ringraziamo!).
NyTimes – 22 ottobre 2013
La Grande Disperazione
Roger COHEN
LONDRA – Silvio Berlusconi, l’ex primo ministro italiano, disse una volta che in Italia non si poteva parlare di crisi perché i ristoranti erano pieni e i posti sugli aerei difficili da trovare. Suggerì anche che una delle ragioni per investire in Italia era che “abbiamo bellissime segretarie”. In breve, era un uomo molto poco serio per tempi seri. Eppure è il leader politico italiano che è durato più a lungo dal dopoguerra ed è stato capo del governo per un paio d’anni anche dopo l’inizio della crisi dell’euro.
Come tutto ciò sia stato possibile è veramente difficile da capire, e non lo è certo di meno ora che Berlusconi è stato condannato per frode fiscale, interdetto dai pubblici uffici per due anni, e che, condannato a un anno di carcere, ha chiesto di passare ai servizi sociali, magari per tornare alla sua vita precedente di intrattenitore sulle navi da crociera.
Gli italiani non sono frivoli; ci sono pochi posti dove la gente è più seria o laboriosa di quella che si trova a Torino e a Milano. Forse Berlusconi – miliardario in un momento in cui i super-ricchi segnano con le loro dorate esistenze le cronache internazionali – esprimeva lo spirito del tempo ben al di fuori dell’Italia? Di certo, in un tempo nel quale i politici europei in realtà hanno poco potere, è stato un attore protagonista, un intrattenitore adatto a un’era post-ideologica, una figura che, in un mondo dove l’immagine è tutto, proiettava di sé un’immagine smisurata che conquistava le masse annoiate e drogate dagli show televisivi.
C’è qualcosa che coglie nel segno in tutto questo, perché questa crisi europea è strana, visto che si colgono scorci di disperazione in tutto il continente, ma, a quanto pare, c’è abbastanza pane e una sufficiente varietà di circhi per evitare una rivolta. La gente vuole divertirsi, e la tecnologia serve a questo. C’è rabbia verso i ricchi, ma sotto sotto se ne sente anche il fascino. I centri delle capitali europee rigurgitano di denaro, di mediatori immobiliari e di marche famose. Tra i super-ricchi c’è un mercato persino per le leggi. La vecchia Europa è anche questa.
Nicolas Sarkozy, l’ex presidente francese, non era Berlusconi, ma aveva la stessa attrazione per il denaro (anche se non la stessa ricchezza), la stessa sete per le luci della ribalta, la stessa irruenza, la stessa personalità adrenalinica. I francesi si sono stancati di lui e sono andati all’altro estremo, hanno votato per un “Monsieur Normal”, François Hollande. Ora pare che non se lo perdonino, perché Hollande sembra troppo normale per fornir loro qualche distrazione dalla crisi.
Certo, Berlusconi è un tipico prodotto italiano, ma c’è qualcosa di più. Negli anni ’80, quand’ero corrispondente da Roma per il Wall Street Journal, la politica nazionale italiana era rilevante sul piano internazionale. L’ambasciata USA in via Veneto era affollata di diplomatici (e di agenti) che si agitavano su questioni come il fatto che l’Italia fosse il ventre molle dell’alleanza NATO o la possibilità di consentire che i comunisti italiani andassero al governo per via democratica. Tuttavia la politica nazionale rimaneva un gioco complesso nel quale un sistema bloccato dal clientelismo e dal nepotismo tesseva le sue trame locali entro i limiti stabiliti dal veto americano verso il Partito comunista.
Era difficile prendere Roma sul serio. Una città che non era più protagonista della storia, dopo esserlo stata per tanti secoli, sopportava un pesante fardello che ogni giorno saltava all’occhio vedendo palazzi un tempo famosi ormai destinati ad attività banali e le antichità invase da sciami di turisti giapponesi. Non c’è da meravigliarsi che l’attività principale di Roma fosse il lusso e non il faticoso lavoro quotidiano. Spesso mi è venuto da paragonarla a un trovatello in abiti da serata elegante.
Il che mi porta al capolavoro di Paolo Sorrentino, ” La grande Bellezza “, un film su niente (il suo protagonista è un romanziere col blocco dello scrittore affascinato dalla scoperta che Flaubert voleva scrivere un romanzo su niente) e su quasi tutto, e in particolare mi porta alla debosciata disperazione di una borghesia romana persa nelle proprie illusioni, che gioca al trenino nelle feste di gala, alla quale l’era Berlusconi ha dato carta bianca per esibirsi come sul Titanic (non sono tutte italiane le navi da crociera che affondano?). È un film bellissimo. Nessuno produce bellezza come gli italiani. Ma è anche un ritratto inquietante della crisi dell’Europa, piena di ipocrisie, di menzogne, di amarezza, di crudeltà e di sesso senza appagamento. Ci si risveglia dalla bellezza del film di Sorrentino solo per ritrovarsi ossessionati dalla crisi.
Jep Gambardella, il protagonista del film, sempre vestito impeccabilmente, col fazzoletto nel taschino, chiede a una donna che sta per sedurre che cosa fa. “Sono ricca”. “Ottimo lavoro”, è la risposta. In un’altra scena viene accusato di essere misogino. “Ma quando mai — è la replica — sono un misantropo”. Risposta per la quale riceve congratulazioni: “Quando si tratta di odiare, bisogna puntare in alto!”
Una ragazza getta vernice su una tela bianca che poi graffia (e viene pagata milioni per farlo); un turista giapponese muore di botto; la bella gente si diverte guardando un lanciatore di coltelli; vite umane sbrindellate; fanno la loro apparizione anche una giraffa, delle cicogne, un nano con l’influenza e un aspirante santo di 104 anni (“Ma davvero? Lei sembra più vecchio.”). Il migliore amico di Gambardella, deluso in amore, frustrato perché non riesce a scrivere, decide di lasciare. Il suo verdetto: “Roma mi ha deluso”.
Lo spettacolo è stupendo. Ma con la vaga consapevolezza che in questa “cultura” europea il marcio proviene dall’alto.
(Traduzione di Gianni Mula)
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New York Times – 30 novembre 2010 – ripubblicato integralmente il 13 Ottobre 2013
L’Euro è nudo
Roger COHEN
Forse l’euro dei primi anni del XXI secolo è ciò che la Società delle Nazioni era nel XX secolo: una bella idea ormai diventata politicamente orfana e condannata ad ammetterlo?
Con l’Irlanda che segue la Grecia nel grande domino del salvataggio, e con Portogallo e Spagna che sentono arrivare il proprio turno, l’euro non può più dare per scontata la sua sopravvivenza solo perché un suo collasso sarebbe impensabile.
Certamente il denaro facile consentito da Alan Greenspan [al tempo in cui era governatore della Federal Reserve, la banca centrale USA], l’abolizione negli Stati Uniti di ogni cultura normativa del mercato finanziario, l’idiozia di parlare di “nuovo paradigma” mentre stava crescendo la bolla immobiliare e l’eccitazione della ricchezza facile nel periodo pre-crisi hanno fornito il contesto per le crisi greca e irlandese. Ogni tipo di supervisione era assente ingiustificato.
È anche vero, e qui il cancelliere tedesco Angela Merkel ha ragione, che la zona euro a 16 membri non può continuare in questo modo, socializzando le perdite private del sistema bancario e impegnandosi in una sorta di gioco delle tre carte multi-miliardario in dollari ignorando ogni aspetto morale (OK, gli Stati Uniti hanno fatto in gran parte lo stesso). Dopo che un piano europeo di stabilità finanziaria costato 750 miliardi di dollari non ha portato alcuna stabilità (vedi l’Irlanda), da dove verrà il prossimo piano di salvataggio?
No, dice la Merkel, qualcuno deve darsi una regolata. Lei vuole che nasca una zona euro 2.0 entro il 2013 – e questo fine settimana i funzionari della UE hanno chiarito che con la nuova zona i creditori privati ​​non avrebbero più evitato di pagare lo scotto per speculazioni arrischiate. Nessuno lo dice, ma la Merkel vuole un qualche tipo di unione fiscale che assicuri che gli Stati d’ora in poi o aderiranno a rigide linee guida fiscali o verranno puniti, insieme con gli obbligazionisti che avranno dato loro fiducia.
Ragioni politiche stanno dietro le scelte della Merkel, che cerca di rispondere così agli attacchi del settimanale Bild: “Dovremo pagare per tutta l’Europa”. L’inferno non conosce furia peggiore di quella di un tedesco che non riceve il giusto controvalore per il proprio denaro.
Ma come è misera, meschina e superficiale questa reazione tedesca alla crisi dell’euro!
La Merkel ha ragione di pensare a una zona euro 2.0, ma moralmente è priva di ogni sensibilità Europea, è l’anti-Delors per eccellenza. Per questo sono scettico. Il patto faustiano che la Germania ha accettato in cambio dell’unificazione consisteva nel lasciare il suo amato marco per l’euro. Ora che l’euro è responsabilità di Berlino la Germania deve consumare di più, lamentarsi di meno e pensare più in grande.
Se non lo fa, assisteremo al default della zona euro e all’amputazione di alcune parti della zona che lottano per sopravvivere.
Certo, la Società delle Nazioni è crollata, ma ha portato alle Nazioni Unite. L’euro potrebbe anche sfasciarsi ma l’idea è troppo bella per non tornare con più forza. Tra la Lega e le Nazioni Unite c’è stata la catastrofe della seconda guerra mondiale. Non sembra che la strada per un euro 2.0 possa essere molto meglio.
(Traduzione di Gianni Mula)
Non credevo che mi sarei mai trovato nella condizione di dover scuse pubbliche all’ex-ministro Maria Stella Gelmini, bersaglio di un mio post impietoso sulle sue capacità come Ministro della Pubblica Istruzione (Maria Stella, i neutrini e la scienza). Ma di fronte all’ultima uscita del ministro attuale, Maria Chiara Carrozza, sulla necessità che i professori universitari con più di settant’anni vadano in pensione, c’è da rimanere trasecolati: ma come, perfino un professore universitario, anche con esperienza di rettore (alla Scuola Superiore di S. Anna) ignora che i professori universitari statali vanno già adesso, per legge dello stato, in pensione a 70 anni? Al confronto l’errore della povera Maria Stella scompare, perché un ministro può benissimo non sapere tutto lo scibile umano. Lei non sapeva niente della fisica teorica delle particelle elementari ma non aveva neanche mai sostenuto di conoscerla, e, soprattutto, per fare il ministro, anche della pubblica istruzione e dell’università, saperla è tutt’altro che necessario. Ma cianciare di generosità e onestà che mancherebbero ai professori universitari che vogliono continuare a rimanere in servizio è qualcosa che lascia senza parole. Di qui le mie scuse sincere all’ex-ministro Gelmini e un invito altrettanto sincero al ministro Carrozza perché trovi il coraggio di dimettersi in quanto manifestamente non in grado di svolgere il proprio compito con la dignità e l’onore richiesti dalla Costituzione italiana. Non dubito che il ministro, della cui generosità e onestà non ho alcun motivo per dubitare, non si ostinerà a rimanere come sinora ha fatto il ministro Cancellieri.
L’immagine dell’Italia che vien fuori da queste vicende può essere utilmente integrata da un paio di articoli del New York Times che mostrano con quale stupore guardi al nostro paese anche chi vuol bene all’Italia e agli italiani. Il primo articolo è un ritratto della “buona società” italiana schizzato con rara efficacia da Roger Cohen, caporedattore esteri del New York Times dal 2001, e in precedenza per più di trent’anni corrispondente dall’estero, per varie testate, in una quindicina di paesi tra cui l’Italia. Attualmente Cohen è un editorialista del New York Times molto apprezzato, tanto che il quotidiano ha deciso di ripubblicare invariato, perché ancor oggi estremamente attuale e significativo, un suo post di due anni fa sulle vicende dell’euro. Anche questo secondo articolo viene qui riprodotto in una mia traduzione.
Buona lettura!