Ci rubano la fonte della vita, di Nicolò Migheli
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Ci rubano la fonte della vita e la chiamano sostenibilità. Mai parola venne così stravolta nel significato. Da quando la giunta di centro destra si è insediata vi è un attacco continuo ai terreni agricoli della Sardegna. Un susseguirsi di iniziative sull’eolico, centrali a biomasse, impianti fotovoltaici, ed infine ricerche di metano ed energia geotermica. Un assalto che interessa tutta l’isola, in particolare la pianura del Campidano, l’ex granaio di Roma che ha prodotto cibo per millenni.
Ultima di queste iniziative una mega centrale da 100 GWh, da realizzare a Vallermosa. Centotrentotto ettari di terreno fertile, 3500 specchi, una torre alta 200 metri su cui verranno convogliati i raggi solari. Una centrale a biomasse da 1 Mgw, un invaso di 31.000 metri cubi d’acqua. Un investimento di 250 milioni di Euro proposto da Sardinian Green Island di Alberto Scanu, presidente della Confindustria Sardegna e l’ASC Cobra di Florentino Pérez presidente del Real Madrid.
Impianto descritto ad “impatto zero” che sorge vicino ad un insediamento nuragico e che dovrebbe contemplare anche un grande uliveto. Ormai però si è capito che la produzione agricola è solo il velo su cui nascondersi. Le campagne sarde sono piene di serre fotovoltaiche che non producono nulla, se non certificati verdi che alimentano i bilanci delle imprese proprietarie. A tutto questo si somma la decisione di coltivare cardi in tutta l’isola per le bioplastiche.
Tutto in assenza di un qualsiasi piano che determini il bisogno energetico della Sardegna per gli anni a venire. Questo in una terra che importa circa l’ottantacinque per cento del proprio fabbisogno alimentare. Un Far West di irresponsabilità, un correre a svendere il terreno agricolo per trenta denari. La fonte della nostra sopravvivenza. Non c’ è più memoria della fame diffusa. Le generazioni nate dopo la II GM, sono le prime che in Sardegna hanno avuto tre pasti al giorno garantiti. Sarà sempre così? Il cibo che ci occorre sarà per sempre disponibile nel primo supermarket sotto casa?
Il finanziere George Soros, quello che con le sue speculazioni fece uscire la lira dallo SME e provocò la crisi della sterlina britannica, negli ultimi anni ha investito i suoi ingenti capitali in terreni sudamericani; dichiara che: “Il miglior investimento al mondo sono i terreni agricoli.” Lui ha lo sguardo lungo. Nel 2050 è previsto che il mondo avrà nove miliardi di abitanti. La FAO dichiara che le produzioni agricole dovranno essere incrementate del settanta per cento. La produzione di cibo è ridiventata un bene strategico, in un mondo in cui le terre fertili diminuiscono costantemente a causa dell’eccessivo sfruttamento, la desertificazione, i mutamenti climatici e la penuria d’acqua dolce. Le prossime guerre verranno combattute anche per il pane. Come è sempre avvenuto nella storia dell’uomo.
Maurice Le Lannou, un geografo francese autore di un testo fondamentale sull’agricoltura sarda, salendo sulla collina di Monastir e guardando al Campidano, ebbe a dire. “Ora capisco fin in fondo il senso della seconda Guerra Punica.” Dal 2000 ad oggi, secondo l’ONG Oxfam (rapporto del 2012), una superficie grande come sette volte l’Italia è diventata, proprietà di gruppi finanziari, multinazionali dell’agribusiness, monarchie arabe, Corea del Sud, Cina, Giappone, India. Tutti soggetti che cercano di garantire cibo alle proprie popolazioni o redditi alti.
Una caccia ai terreni fertili che in Africa a raggiunto una ampiezza pari alla superficie del Kenia. Un furto legalizzato che ha assunto le forme di piaga sociale, con l’espulsione dei contadini locali e la riduzione alla fame di intere popolazioni. I cinesi fanno di più, perché importano persino i propri contadini. Molti di quegli espulsi ce li ritroviamo poi nei barconi della speranza. Land Grabbing, furto di terreni. In maniera non così sfacciata è quello a cui stiamo assistendo qui da noi.
Secondo Oxfam il fenomeno lo sia ha quando vi è: violazione dei diritti umani e dell’eguaglianza delle donne; assenza di consenso libero ed informato; mancanza di valutazione sugli impatti ecologici, economici e sociali; assenza di contratti trasparenti; mancanza di pianificazione condotta in maniera democratica con supervisione imparziale. Eccetto il primo punto, gli altri, nei più dei casi, riguardano anche le iniziative del business energetico sardo. Ad esempio chi dovrà smantellare gli impianti a fine ciclo? Il proprietario del’impresa o quello del fondo? Le centrali a biomasse sono veramente sicure per l’ambiente e la salute delle popolazioni? Tutte domande che vorremmo avessero risposta certa.
Solo che quando le si pone si è accusati di non volere le iniziative che portano il progresso, di essere contro l’industria, quella verde per di più. Non esiste dibattito e quando avviene, come nel caso di Arborea, si scopre che i comitati contro hanno più argomenti dei proponenti l’iniziativa. Il nodo centrale è che il terreno agricolo, fermo restante la proprietà privata, deve essere considerato bene comune. Oggi lo è in parte grazie al PPR, però non essendoci piano energetico si ricade nella contraddizione. La terra è un bene troppo prezioso, per noi e per le generazioni future, per comprometterlo con iniziative sconsiderate.
L’approvvigionamento alimentare diverrà problematico. Pochi controlleranno il cibo del mondo; saranno loro che decideranno a chi darlo e a che prezzo e a quale condizioni. Chi ha responsabilità di governo verrà ricordato per quel che ha fatto oggi. Il centro destra di Cappellacci e la mancata opposizione in Consiglio, resteranno come l’amministrazione che più si è data da fare per svendere il futuro alimentare dei Sardi. Chi verrà eletto prossimamente al governo della Regione dovrà invertire questa tendenza. Ne va della nostra sopravvivenza. Sempre che ci interessi ancora.