La tentazione della politica, di Salvatore Cubeddu

Forse non è un colpo del caldo terribile portatoci da Calligola. Dev’essere conseguenza delle pressioni esercitate da politici alla ricerca di nomi credibili tramite i quali restare a galla. Il fatto è che L’Unione Sarda (sabato 28 luglio 2013) è riuscito nello scoop dell’estate: esporre uno dei più conosciuti e stimati sacerdoti della Sardegna – don Ettore Cannavera (nella foto qui accanto) – a rispondere a proposito di un suo interessamento a presentarsi come candidato a presidente della Regione sarda. Riportiamo l’intervista accompagnata dalla presentazione della sua figura di sacerdote. Preceduto da un nostro commento sul merito della candidatura, uscito oggi sullo stesso giornale.

E’ molto meglio nominarlo vescovo (è il titolo del giornale), di Salvatore Cubeddu

Con l’imperversare di Caronte non potrebbe esserci tema più interessante. Un prete a dirigere la Sardegna. Come già ad Haithi. Come un iman in Centro Africa. Situazioni, certo, non esaltanti. Ma niente di strano, se la Sardegna non fosse (con i limiti che conosciamo) dentro il laico Occidente. E, in Italia, da troppo poco tempo i preti, pure indirettamente, hanno smesso di comandare. Una provocazione però utile, quando sta per arrivare il Papa: alla fine da lui dipenderebbe l’autorizzazione.  Un evento internazionale, quindi, materia per i network di tutto il mondo.

Don Ettore Cannavera ha fatto bene ad assecondare il dibattito: in Sardegna, siamo arrivati ad una tale defaillance della politica da doverci rivolgere a un prete? Certo, onesto e preparato come lui lo è, ma digiuno di ciò che fa la politica quando è sul serio se stessa. Quest’arte non si impara, a quel livello, a settant’anni. Solo negli esempi peggiori si può arrivare impreparati a quel ruolo.

Questo penso. Il mio è un parere come un altro, vale uno … Ma discutiamone. Perché don Ettore, prete stimato, coltissimo e generoso, in perfetta forma fisica ed intellettuale, non lo candidiamo a vescovo? Ovvie le ragioni: lo sbocco di un bravo sacerdote è l’episcopato. In Sardegna si danno dei posti vacanti (ad Ozieri, ad esempio, e, tra non molto, anche a Lanusei). Infine: la Chiesa sarda soffre degli stessi problemi della politica sarda. Visti in retrospettiva ne è addirittura all’origine e spesso funziona da modello, a quei problemi.

Atomizzazione delle diocesi e loro difficoltà a riconoscersi come espressione di tutto un popolo credente: è  questa, probabilmente, la ragione dello stato di abbandono del Concilio Plenario Sardo. Parrocchie ridotte a  uffici di gestione sacramentale, carenza di evangelizzazione. E poi, i residui da ancien regime: a  Cagliari, il presule continua a venire da fuori. I giovani preti cagliaritani  vengono formati (?) nelle facoltà romane (chi promette loro la carriera?).  Ruolo residuale del laicato in una Chiesa definita secondo esclusivi schemi clericali (come dappertutto). Quanto lavoro per un buon vescovo dei tempi nuovi di papa Francesco!

Certo: anche la Chiesa sarda agisce sul fronte dei bisogni avanzanti. Dovrebbe, però, mettere in chiaro quanto ci mette di proprio, quanto dell’8/000, quanto delle pubbliche istituzioni. Tante ricchezze, ora immobilizzate nella Chiesa, sono state nei secoli offerte per i poveri. Ritorna attuale la loro destinazione.

Dalle elezioni sarde, me ne accorgo, sono passato a parlare della Chiesa sarda che attende papa Francesco. Don Ettore rappresenta la continuità del messaggio conciliare che ora si ripropone nelle scelte del papa. Perché è il mondo laico ad accorgersi del valore di queste persone e non la Chiesa alla quale loro hanno destinato l’ esistenza? Un tempo anche i fedeli  concorrevano alla elezione dei  loro pastori. Che questa occasione permetta qualche segnalazione non è un fatto da poco.

 

 

L’UNIONE SARDA,  domenica 28 luglio 2013

Cannavera, choc nel centrosinistra

La possibile candidatura del sacerdote divide la coalizione

Dieci anni, quasi esatti: era il 9 agosto 2003 quando Renato Soru si prese il centrosinistra con una lettera ai quotidiani. L’annuncio-choc di don Ettore Cannavera, che ieri sull’Unione Sarda ha ventilato una sua possibile corsa alla presidenza della Regione, provoca reazioni simili a quelle registrate allora: un misto di interesse e diffidenza da parte del ceto politico. Certo, non è detto che la vicenda finisca allo stesso modo. A stoppare il prete di Dolianova potrebbe essere il Vaticano: ma se anziché la scomunica arrivasse un placet , potrebbe davvero concretizzarsi una novità politica clamorosa.
SCHIERAMENTI Cannavera non dice di volersi candidare per il centrosinistra, ma la sua disponibilità chiama in causa soprattutto quello schieramento. Non foss’altro perché l’idea è del sottosegretario alla Salute Paolo Fadda, del Pd. Però sono del Pd anche molti dei probabili candidati alle primarie di settembre. Forse anche per questo la novità suscita alcuni dubbi tra i democratici.
Cannavera riscuote consensi personali unanimi, nessuno ne discute acume e statura morale. Ma qualcuno si chiede se un uomo di Chiesa sappia gestire un ruolo politico così delicato. Chi dice invece di non provare «nessuna diffidenza» è Giampaolo Diana, capogruppo democratico in Consiglio regionale: «La candidatura di don Ettore mi farebbe piacere, lo conosco da una vita e ne ho una stima enorme. È una figura straordinaria, sarebbe un onore se scegliesse noi». Però «nel caso, anche lui dovrebbe passare dalle primarie».
Più distaccato il vicepresidente del Consiglio regionale Mario Bruno: «È una provocazione intelligente, don Ettore è un testimone credibile». Ma «a quale punto è arrivata la politica se, per essere credibili, per incarnare l’attenzione agli ultimi, per parlare di Vangelo e di Costituzione, deve candidarsi un sacerdote? Laicità e valori universali devono andare di pari passo. Dobbiamo rifondare la politica, selezionare meglio la classe dirigente, non improvvisare, trovare risposte serie e non demagogiche».
COMPETENZE Bruno, tra l’altro, è molto vicino a Renato Soru, che pure apprezza Cannavera (nel 2005 si disse che gli avesse proposto la candidatura alla Provincia di Cagliari, poi toccata a Graziano Milia). Nessun commento invece dal segretario del Pd Silvio Lai. Franco Marras, coordinatore della segreteria, a titolo personale dice che «don Ettore, che conosco e ammiro da 25 anni, forse sarebbe più utile al fianco di una persona individuata dalla politica, per aiutarla a seguire la via del bene comune. Sa certamente cosa può servire alla Sardegna; ma non so quanto conosca della macchina amministrativa».
È sulle stesse posizioni il deputato del Centro democratico Roberto Capelli. Due settimane fa, intercettando le voci sul sacerdote, aveva criticato «le proposte per la presidenza che si estendono dal mondo della cultura a quello della Chiesa, dall’impresa al cinema». E ora ribadisce: «Con tutto il rispetto, meglio scegliere i buoni nomi della politica. Non mi farei operare da un ingegnere, o costruire la casa da un medico».
CENTRODESTRA A sorpresa, l’apertura più netta è del deputato dei Riformatori Pierpaolo Vargiu: «Questo è un sasso nello stagno. Il primo, vero elemento di discontinuità, che piomba come un ciclone sulla stagnazione degli scenari politici sardi». Senza entrare in giudizi di merito «e senza che neppure sia noto lo schieramento – aggiunge Vargiu – la candidatura di Cannavera è comunque portatrice di una carica di innovazione che spinge i partiti a uscire dal loro fortino».
Parole di grande rispetto dal Pdl, ma il capogruppo consiliare Pietro Pittalis ricorda: «Abbiamo già un candidato forte, Ugo Cappellacci, che ha anche aperto alla possibilità di primarie se per caso emergessero altri nomi. Ma la priorità è il programma». Ettore Cannavera «è una personalità specchiata, la sua storia parla per lui: non vorrei però vederlo associato a una girandola di nomi del centrosinistra, che mette in secondo piano la discussione dei veri problemi dei sardi».
Giuseppe Meloni

L’UNIONE SARDA,  sabato 27 luglio 2013

Don Ettore: «Politici convertitevi
Io candidato? Ci sto pensando»

di IVAN PAONE
Non succede, ma se succede… Se don Ettore Cannavera, prete a dir poco originale, decide di accettare la proposta che gli hanno fatto alcuni amici, la politica sarda non sarà più la stessa. Don Ettore ci sta pensando e se dal Vaticano arrivasse una sorta di silenzio-assenso, si candiderebbe alle elezioni regionali del prossimo febbraio. «Non guardo né a destra né a sinistra», avverte Cannavera. Semmai in alto. «Interpellerò il mio Maestro», dice alzando gli occhi, e non ci vuole molta fantasia per capire a chi si riferisca.
I primi passi li ha mossi. I suoi sostenitori hanno avuto un colloquio con l’arcivescovo di Cagliari, Arrigo Miglio, che però li ha rimandati alle alte sfere del Vaticano. E così si sono rivolti a monsignor Giovanni Antonio Becciu, vice del segretario di Stato Tarcisio Bertone. «Sono in attesa di un segno», dice don Ettore con un sorriso che ti rapisce.
Don Ettore, come è nata questa pazza idea?
«Mi ha contattato il mio amico Paolo Fadda. Poi ho avuto una sollecitazione anche da parte di altri. Mi hanno fatto riflettere».
Non ci sono precedenti in Sardegna di preti candidati, a livello nazionale Gianni Baget Bozzo finì al Parlamento europeo. Lei ci sta pensando?
«Sì, per la prima volta seriamente. In passato ero stato invitato a candidarmi per la carica di sindaco di Cagliari e di presidente della Provincia. Allora, avevo buttato giù la cornetta prima che l’interlocutore finisse di parlare».
E questa volta?
«Ho ascoltato sino in fondo, perché mi chiedo: ma dove siamo finiti? Forse, la mia missione è di fare qualcosa per la mia terra».
Allora correrà per le Regionali?
«Ci sono tre motivi che mi frenano. Primo: sono un prete. Secondo: devo pensare alla mia comunità La Collina. Terzo: mi mancano le competenze per fare il presidente della Regione».
Vediamoli uno per uno.
«Qualcuno ha chiesto al mio arcivescovo e poi a monsignor Becciu una dispensa. Altrimenti, rischio la sospensione a divinis».
Sarebbe la seconda.
«La prima la ricevetti quando difesi l’uso del preservativo per evitare il diffondersi dell’Aids. Sono pronto a rinunciare a tutto, ma non alla possibilità di dire messa la domenica in carcere, a Buoncammino. Ecco perché, senza il beneplacito del Vaticano, non mi candido».
E poi c’è La Collina.
«Mi hanno detto che ormai è un meccanismo lubrificato, che va da solo. Mi hanno promesso aiuto. Insomma, è un problema superabile. L’importante è che abbia il tempo per la preghiera comunitaria del giovedì».
Niente messa in comunità?
«No, no. Ci sono cattolici e musulmani. Ci ritroviamo in un luogo ibrido, un mix di cappella e moschea. Leggo un passo del Vangelo, uno del Corano e poi li commento».
Straordinario.
«I ragazzi ascoltano, parlano, è un momento di riflessione. Non ci rinuncio».
E siamo alle competenze.
«Che ne so io di come si fa il presidente della Regione? Mi hanno spiegato che si può ovviare con uno staff serio, onesto e competente».
Un lavoro di squadra.
«Sono profondamente convinto che questa sia la strada giusta. Io potrei fare la sentinella, come dice Isaia, dell’onestà e della politica come servizio per il popolo».
Questo è un punto dolente. La politica di adesso è tutt’altra cosa. Condivide?
«Sì. La politica ora è arricchimento, carrierismo e sistemazione dei parenti».
Che cosa propone per cambiare le cose?
«Chi viene eletto percepisca lo stesso stipendio che prendeva prima, non un euro di più. E poi, nessuna assunzione sino al decimo grado di parentela».
Bussare alla sua porta per chiedere una raccomandazione sarebbe problematico.
«Ascolterei tutti, aiuterei tutti ma nei limiti del giusto e della legalità, senza alcuna eccezione».
Tornando alle competenze, lei ne ha infinite nel campo delle politiche sociali. Come potrebbe essere utile?
«Ecco, forse, questa è una strada più percorribile. Se la prossima Giunta regionale mi chiamasse, risponderei presente».
Per fare che cosa?
«Bisogna aiutare gli ultimi, per questo serve la politica. E badate che adesso, con la drammatica crisi che stiamo vivendo, di ultimi ce ne sono moltissimi».
Più in generale, in che modo cambierebbe la Sardegna?
«Primo: lavoro per tutti. Non è solo una questione di stipendio, ma anche di dignità della persona. Sentirsi inutili è drammatico, almeno quanto l’impossibilità di dare da mangiare alla propria famiglia. Puntiamo su agricoltura e turismo, le nostre ricchezze. Secondo: snidare il disagio sociale che non appare. Ci accorgiamo delle devianze, la droga per esempio, ma non della depressione. E ce n’è tanta, soprattutto di questi tempi. Diamo una speranza ai nostri giovani, un senso alla loro vita. Terzo: cultura, scuola e formazione professionale».
A questo proposito, la formazione professionale è un carrozzone.
«Uno spreco di denaro. Ho litigato per rivedere il programma Lav-ora della Regione. Sembrava costruito più per i docenti che per i ragazzi».
Come è andata a finire?
L’assessorato ha accolto le mie richieste».
Lei dialoga con tutti. Ma è di destra o di sinistra?
«È una distinzione che non mi interessa. Sono aperto a tutti. Se scenderò in campo, chi vuole stare con me è il benvenuto. Ma sono importanti i principi».
Tipo?
«Una squadra preparata, un programma serio, nessun compromesso, onestà, trasparenza, altruismo».
I politici non brillano per queste virtù, come riuscirebbe a conviverci?
«Convivo con ladri e assassini, non è questo il problema. In ogni uomo c’è il bene, basta farlo emergere. I politici dovrebbero convertirsi e mettersi al servizio delle persone. Questa è l’essenza del potere: occuparsi dei bisogni della gente».
Lei trova il bene in ciascuno di noi, è il segreto della sua comunità?
«Esatto. La Collina ha una recidività del quattro per cento, il carcere minorile di Quartucciu del settanta. Quindi, che ce li teniamo a fare i ragazzi dietro le sbarre? Io dico che il carcere minorile è il liceo della delinquenza, Buoncammino l’università. Meglio le misure alternative».
Il Governo sta studiando un pacchetto di proposte che vanno in questa direzione.
«Esatto. Torno adesso da Roma, dove per tre giorni ho incontrato il sottosegretario della Giustizia e dell’Interno proprio su questi temi».
Come è andata?
«A parte il fatto che ho dovuto mettere la giacca, bene. Ho spiegato loro come con duecentomila euro all’anno accolgo dodici ragazzi, mentre a Quartucciu lo Stato ne spende ottocentomila per sette».
Questa sì che è spending review.
«Con il recupero fuori dal carcere, lo Stato risparmierebbe e ci sarebbero meno giovani che tornano a delinquere una volta espiata la pena».
Lei ha l’aria di uno che non molla. Quali sono i suoi rapporti con i politici?
«Sono un bel rompiscatole, lo ammetto. Spesso trovo sordi, altre volte persone disponibili. I politici che in famiglia hanno avuto qualche problema di devianza, un figlio, un nipote o anche un conoscente, sono più sensibili».
È vero che lei è attratto dalla Teologia della Liberazione dei preti sudamericani?
«Sì, perchè il Vangelo è liberazione. Non condivido, invece, una certa deriva guerrigliera della Teologia della Liberazione».
Quindi, non è un prete marxista?
«No, ma non ci sono dubbi che tra cristianesimo e marxismo i punti di contatto siano molti».
Che cosa guida la sua opera?
«In una mano tengo il Vangelo e nell’altra la Costituzione, che parla di diritto al lavoro, all’uguaglianza, di libertà, di crescita dell’individuo. Seguendo i principi del Vangelo e della Costituzione repubblicana si potrebbe costruire un’Italia migliore».

CHI È. Ritratto di un religioso che ha deciso di dedicare la vita agli ultimi della Terra

Un prete che canta fuori dal coro

«Ho conosciuto il Vaticano, stavo per lasciare la Chiesa»

Dopo brillanti studi di Teologia, Scienze dell’Educazione, Psicologia e Pedagogia (quattro lauree, tanto per intenderci), don Ettore Cannavera ha iniziato la sua carriera da religioso in Vaticano. «Ero a un passo dall’entrare nella diplomazia della Santa Sede. Poi, mi sono convertito». Di più, stava per lasciare la Chiesa.
Ha visto da vicino impiegati travestiti da preti, affaristi, religiosi dediti al potere. È scappato a gambe levate da Roma e si è rifugiato nel deserto. «In un’oasi vicina al villaggio di Abeni Abec, tremila chilometri a sud di Algeri». Deserto vero, non quello da cartolina raggiungibile in fuoristrada. Ospite dei Piccoli Fratelli, un ordine religioso composto da persone che svolgono i lavori più umili, e solo quelli. «Là ho capito che dovevo dedicare la mia vita ai poveri, agli ultimi della Terra, a chi soffre». E nel 1974, alla periferia di Serdiana ha fondato la comunità la Collina, su un terreno di famiglia, ottenuto grazie alla generosità dei fratelli, che hanno rinunciato alla loro parte.
Difficile dire no a don Ettore. Ti guarda dritto negli occhi, ti sorride, e se gli parli, magari interrompendolo poco urbanamente, si zittisce e ti ascolta sino all’ultima parola. Perché questo prete colto, generoso, inattaccabile sotto ogni punto di vista, ha il grande pregio di saper ascoltare.
Sarebbe curioso vederlo impegnato in campagna elettorale. Che cosa gli rinfaccerebbero i suoi avversari? La sua pensione da millequaranta euro di ex insegnante? La sua decisione di non possedere nulla? La rinuncia alla diaria che viene riconosciuta ai preti? La sua rettitudine morale? Direbbero che è un prete marxista, forse, e che sta a contatto quotidiano con i diseredati e, addirittura, i musulmani.
Certo, non è un prete come tutti gli altri. I matrimoni gay non lo scandalizzano e neanche l’uso del preservativo per evitare le malattie sessualmente trasmissibili (sospensione a divinis). Ah, sì, un peccato ci sarebbe. Quando, ormai molti anni fa, era parroco a Santa Margherita di Pula, il suo amico medico, Franco Oliverio, gli portò in chiesa alcuni tossicodipendenti bisognosi di aiuto per uscire dal tunnel della droga. Egli li accolse e ai parrocchiani scandalizzati disse: «Voi potete andare, loro restano con me».
Iv. P.

 

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