Eleonora ed i diritti umani nella città, di Davide Zaru

Eleonora ed i diritti umani nella città, di D. Zaru

Cos’hanno in comune i seguenti Comuni: Carbonia, Mamoiada, Monserrato, Nuoro, Quartu Sant’Elena, Samassi e Sassari? Non si tratta del modo di cucinare i ravioli né dell’orientamento politico della loro giunta. Tutti questi Enti Locali (e, in aggiunta, la Provincia di Cagliari) sono membri del Coordinamento nazionale degli Enti Locali per i diritti umani, un’associazione di comuni e province italiane con sede a Perugia. Questo coordinamento ha un obiettivo principale: individuare modelli di politiche e di azioni pubbliche al livello locale sui diritti umani, scambiare buone prassi, spingere all’emulazione.

Quando si parla di violazioni dei diritti umani vengono in mente gli abusi commessi dallo Stato centrale contro i suoi cittadini. Un esempio: l’uso di sproporzionato della forza da parte delle forze di polizia nei confronti di partecipanti a manifestazioni pacifiche. Ora, per il momento a Cagliari non si vedono insurrezioni di popolo (nonostante la rotonda di via Cadello alle 19 ricordi vagamente l’atmosfera delle barricate del Cairo). Ma non si sa mai.

Le violazioni dei diritti umani che avvengono, quotidianamente, nelle nostre città e nei nostri paesi, sono probabilmente di natura diversa. Afferiscono in buona parte ai diritti economici e sociali. Ma esistono. Le nostre città non sono esenti da atteggiamenti razzisti (nei mezzi di trasporto, negli spazi pubblici), dal lavoro minorile e dalla violenza nei confronti dei più vulnerabili.

Al di là di una questione di competenze e di adeguatezza del bilancio degli Enti Locali, è importante anzitutto riconoscere il ruolo, se non altro morale, che gli amministratori locali rivestono al fine di prevenire tali abusi ed evitarne il ripetersi.

Immaginando una politica diritti umani per la propria comunità, gli amministratori locali fanno un investimento sulla propria carriera politica. Il principale reportage del settimanale “The Economist” di questa settimana, prendendo spunto dal caso Turchia, osserva come le violazioni dei diritti umani siano una causa primaria dell’erosione del patto sociale tra governanti e governati, della disillusione nei confronti della politica. Prima di “The Economist” lo avevano capito sardi eccellenti, da Eleonora d’Arborea (“pro conservari sa Justicia, et pacificu, tranquillu, et bonu istadu dessu pobulu dessu Rennu nostru predittu… faghimus sas Ordinacionis”) a Francesco Ignazio Mannu (“Procurade ‘e moderare, Barones, sa tirannia, ca si no, pro vide mia, torrades a pe’ in terra!”).

Alcuni amministratori locali potrebbero tuttavia osservare di avere già impostato la propria azione politica a favore dei propri cittadini, senza per questo dover scomodare i diritti umani. Qual è dunque il valore aggiunto di una specifica politica sui diritti umani al livello locale? A mio avviso, il linguaggio e la metodologia dei diritti umani offrono un vantaggio importante. Poiché tutti i diritti umani sono interdipendenti (il famoso esempio del diritto al voto strettamente legato al diritto alla zuppa), pensare in termini di diritti umani permette di assicurare che le politiche pubbliche siano orientate al servizio dei cittadini, soprattutto dei più vulnerabili, in maniera sistematica, rigorosa, coerente attraverso i vari settori d’intervento pubblico, nonché misurabile.

Il rischio per gli amministratori locali, spesso, è quello sì di condurre una vita politica al servizio dei cittadini, ma in maniera, per cosi dire, ‘selettiva’: domani visito il campo nomadi, ma dopodomani mi schiero a favore di un progetto industriale non discusso adeguatamente con i cittadini.

Il discorso sin qui può sembrare elegante ma vagamente teorico. Tuttavia, il sito del Coordinamento nazionale degli Enti Locali per i diritti umani (www.entilocalipace.it) offre una valanga di esempi pratici su come promuovere un’agenda locale per i diritti umani. Si spazia da attività a costo zero (il sindaco pubblica un editoriale sul giornale locale promettendo di astenersi da comunicati razzisti; gli uffici amministrativi hanno istruzioni precise sul non dare priorità alle pratiche degli amici), ad azioni poco costose (consultazioni pubbliche per discutere le priorità in termini di bilancio e dimostrare ai cittadini, in termini NON burocratici, perché l’amministrazione ha bisogno delle piste ciclabili ma meno di alloggi popolari), sino a strumenti che richiedono un minimo impegno di bilancio (l’istituzione di un difensore civico al livello di comune e provincia, ossia di una sorta di mediatore incaricato di ricevere denunce su casi di cattiva amministrazione e trovare rimedi a favore dei cittadini, senza dover ricorrere alla Magistratura). Oltre duecento Enti Locali in Italia stanno sperimentando forme di politica locale orientate ai diritti umani. A volte basta copiare. Eleonora, credo, sarebbe d’accordo.

 

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