Passaparola – L’economia della felicità, di Helena Norberg-Hodge
Un articolo e un’intervista.
Helena Norberg-Hodge è considerata tra i 10 ambientalisti più influenti al mondo. Linguista, antropologa, ha fondato l’International society for Ecology and future per studiare le cause della crisi sociale e ecologica a livello globale. Il suo docu-film “L’economia della felicità” parla di un altro mondo possibile, di una strada per affrontare e uscire dalla crisi.
Passaparola – L’economia della felicità, di Helena Norberg-Hodge
DAL BLOG DI BEPPE GRILLO, 18 giugno 2013
“Ogni governo ha sostenuto le grandi banche, i grandi business e le corporation internazionali a scapito delle economie nazionali, regionali e locali. Questo principio è il cuore di quello che io penso sia sbagliato. Le grandi corporation e le grandi banche straniere non possono rispondere ai bisogni delle persone del Paese e del territorio. Abbiamo bisogno di cambiare direzione per agire a favore sia delle imprese che delle banche entro i confini della nostre politiche, entro quelle strutture visibili, dove facciamo business responsabile e che quindi possono essere regolate. Abbiamo bisogno che la società operi dal basso!” Helena Norberg-Hodge
Il Passaparola di Helena Norberg-Hodge, fondatrice e direttrice del ”International Society for Ecology and Culture” (ISEC) e vincitrice del Right Livelihood Award
“Sono veramente onorata di essere associata al MoVimento 5 Stelle in Italia. Questo MoVimento sta diventando un’ispirazione per tutto il mondo. Da un giorno all’altro voi state mostrando cosa può fare il potere della gente, se ci concentriamo a lavorare insieme piuttosto che agire isolati secondo il comportamento consumistico con cui noi dovremmo “salvare l’economia”, “salvare l’ambiente”, “salvare posti di lavoro“. Possiamo fare davvero tanto a livello locale e se cominciamo a creare collegamenti in tutto il Paese possiamo cambiare il corso della Storia. Il MoVimento 5 Stelle sta ispirando tutto il mondo.
Dal mio punto di vista, e dal punto di vista del mio Istituto ISEC, è cruciale diffondere quella che io chiamo alfabetizzazione economica. Questa è la chiave per comprendere che ogni governo ha sostenuto le grandi banche, i grandi business e le corporation internazionali a scapito delle economie nazionali, regionali e locali. Quasi dall’inizio dell’economia moderna percorriamo questa strada basata sul principio dei vantaggi competitivi ossia: “non è nel tuo interesse produrre per i bisogni del tuo paese o della tua regione, invece è nel tuo interesse specializzarti per le esportazioni”. Questo principio è il cuore di quello che io penso sia sbagliato. Credo che ci sia stata buona fede, ma cieca, una cieca buona fede.
Le grandi corporation e le grandi banche straniere non possono rispondere ai bisogni delle persone del Paese e del territorio. Abbiamo bisogno di cambiare direzione per agire a favore sia delle imprese che delle banche entro i confini della nostre politiche, entro quelle strutture visibili, dove facciamo business responsabile e che quindi possono essere regolate. Questa è una distinzione molto importante perché possiamo andare sia oltre il socialismo e il comunismo, sia oltre il capitalismo delle corporation. C’è un sentiero dove la creatività, la creazione di profitto, gli interessi, possono funzionare in modo giusto e creativo purché queste strutture siano più a misura d’uomo, responsabili e visibili.
Abbiamo bisogno che la società operi dal basso, secondo quello che noi chiamiamo il principio di sussistenza per cui ogni Regione dovrebbe produrre la maggior parte del grano, del latte, del formaggio, delle verdure. I principali alimenti base del fabbisogno quotidiano devono essere localizzati e decentralizzati. Per facilitare la localizzazione del business responsabile e visibile, è molto importante anche studiare il movimento per il cibo locale che è cresciuto rapidamente, in particolare in America, Inghilterra, Australia. In molti casi i contadini hanno passato la loro vita a produrre un solo prodotto per mercati lontani vendendo a supermercati. C’era intensa pressione per produrre solo una o due cose ma per avere dimensioni standard, forme standard, prodotti standardche si adattino alle macchine per il raccolto, per il trasporto, per l’imballaggio, che si adattino agli scaffali dei supermercati. E ogni volta l’ingegneria genetica con i semi ibridi assicurano che l’obiettivo è il profitto per gli investitori stranieri, e non sul cibo salutare e nutriente per le persone.
Il risultato finale è stata l’economia del cibo più inefficiente che si possa immaginare. Oggi abbiamo una situazione in cui, in tutto il mondo, il latte e il burro dell’altra parte del mondo costa meno del latte e del burro locale. Questo è un trend universale. I governi hanno incoraggiato, a causa del principio del vantaggio competitivo, la costruzione di una infrastruttura globale a spese delle infrastrutture locali, una deregolamentazione del movimento globale delle merci e dei capitali, mentre hanno sovra-regolamentato a livello nazionale e locale. Gli attori locali non hanno possibilità di competere con questi monopoli di fatto che ricevono soldi delle nostre tasse e fanno profitti con il cibo proveniente da lontano mentre noi “uccidiamo” i nostri contadini. L’intera infrastruttura locale, tutte le persone coinvolte nell’economia del cibo vengono distrutte. La stessa cosa accade con i materiali da costruzione: quasi ovunque si trovano materiali prefabbricati altamente tossici. Alluminio e plastica hanno sostituito il legno, la pietra, il fango, cioè i materiali da costruzione che abbiamo impiegato per migliaia di anni. E ci viene detto che questi nuovi materiali sono meno costosi. Ma non lo sono! Ci costano tantissimo in termini di estrazione dei minerali, dell’enorme quantità di energia che richiedono e di trasporto, dato che sono prefabbricati da grandi industrie e trasportati per mare in tutto il mondo. Nel frattempo gli stili architettonici con cui le persone costruivano la casa a seconda che ci fosse molta pioggia, o neve, freddo, o caldo, stanno scomparendo a vantaggio dei blocchi di cemento con plastica e alluminio, materiali prefabbricati. Queste non sono economie di scala, sono economie in cui prevale l’egemonia del grande e del globale, a discapito delle economie locali e nazionali di tutto il mondo. Perciò, il lavoro, i mestieri, la conoscenza che permette di costruire le case e coltivare cibo in maniera legata al clima e alla produzione diversificata, la pesca, la silvicoltura, il modo con cui otteniamo i nostri tessuti, tutto questo è stato distrutto anche dalla maniera in cui noi istruiamo i nostri giovani a lavorare, ad essere individui economicamente produttivi.
Il punto di forza del movimento per l’economia locale è che dobbiamo iniziare a osservare da due punti di vista: da quello delle iniziative delle comunità e da quello dei cambiamenti politici. Se cominciamo a muovere alcune delle nostre tasse e a riformare i regolamenti verso un cambiamento di direzione, vedremo un cambiamento molto velocemente. Lavoreremo con i bisogni delle persone che ovunque vorrebbero avere le capacità per fare un lavoro produttivo, risponderemo al bisogno di riconnetterci alle nostre comunità, alle nostre regioni, ricostruire quel senso di interdipendenza e identità comunitaria. Ricostruire quel senso di identità è infatti la maniera più importante per ridurre la rabbia, la violenza, frustrazione, lo stress, la depressione epidemica che sta crescendo in tutto il mondo. Questa è la strategia vincente e spero che il MoVimento 5 Stelle si unirà alla nostra battaglia per la localizzazione.
Per noi la localizzazione è l’economia della felicità perché aiuta il nostro sé interiore, la nostra interiorità psicologica e spirituale, e ci permette di riconnetterci con il mondo vivente attorno a noi. Per non essere isolati in alte torri a guardare schermi, senza sapere nulla del terreno sotto i nostri piedi, delle piante attorno a noi, per riconnettersi con la vita. E’ stato dimostrato in innumerevoli terapie che le persone dei Paesi industrializzati soffrono di alcolismo, violenza, abusi, droga. La costruzione di comunità e la consapevole connessione con la natura, con gli animali, con le piante, la vita, questo è ciò che porta di nuovo gioia e felicità.
Una transizione economica verso la localizzazione è il percorso strutturale verso un’economia della felicità. “ Helena Norberg-Hodge
Guarda il trailer del documentario di Helena Norberg-Hodge”L’economia della felicità“
Helena Norberg-Hodge è considerata tra i 10 ambientalisti più influenti al mondo. Linguista, antropologa, ha fondato l’International society for Ecology and future per studiare le cause della crisi sociale e ecologica a livello globale. Il suo docu-film “L’economia della felicità” parla di un altro mondo possibile, di una strada per affrontare e uscire dalla crisi. L’abbiamo incontrata allaIII Conferenza internazionale sulla decrescita di Venezia.
Ci insegni l’economia della felicità, se esiste: ne abbiamo bisogno.
“Dobbiamo imparare a riconoscere e contrastare gli effetti più nefasti della globalizzazione che sta distruggendo il pianeta e ci mette in una condizione di continua competizione per il lavoro e le risorse, che ci viene detto sono sempre più scarsi. Ma chiediamoci perché c’è meno lavoro e perché le risorse scarseggiano. Che senso ha importare ed esportare lo stesso quantitativo di patate o mele? Ma quanto ci costa dal punto di vista dell’energia fossile? E’ una follia. Inoltre i sussidi al commercio internazionale e la deregulation dell’economia sono i punti chiave. La localizzazione è una soluzione”.
Perché tornare a produrre localmente? Come possiamo competere, per esempio, con i prodotti cinesi?
“Viviamo nel paradosso che in Inghilterra il burro locale costa più di quello proveniente dalla Nuova Zelanda che pure ha viaggiato per 20mila chilometri. E questo vale per molti altri tipi di merci, in quasi tutti i Paesi. Nella realtà il cibo locale costerebbe davvero meno se venissero aboliti tutti i sussidi più o meno nascosti. L’agricoltura di grande scala, i carburanti, i trasporti sono sussidiati dai governi con le nostre tasse. Inoltre le grandi corporation, grazie alla de-regolamentazione dei mercati, sono libere di fare ciò che vogliono mentre al contrario i piccoli produttori, agricoli e non, sono oberati di regole che ne limitano fortemente l’attività. Quindi occorre regolamentare il grande business e lasciare più liberi i piccoli imprenditori locali. Il che non vuol dire, chiaramente, bloccare il commercio internazionale, ma mettere nuove regole. Dobbiamo dire chiaramente che non vogliamo più pagare tasse che vanno a favore solo di grandi imprese e banche e non della popolazione. E’ anche un problema di crisi della democrazia”.
Lei ha studiato paesi e culture diverse in tutto il mondo. Che effetti ha la globalizzazione sulla vita delle donne?
“Nei paesi in via di sviluppo, ma non solo, le donne sono sottoposte ad un doppio tipo di pressione: le più povere per la ricerca di un lavoro, mentre quelle di classe media, che non hanno bisogno di lavorare, sono succubi della società dei consumi e la pressione psicologica è molto forte. Ho studiato per 25 anni la cultura del Ladak, il Piccolo Tibet, dove le donne hanno sempre avuto molto potere nelle decisioni e ho potuto constatare che l’impatto con la cultura occidentale ha immediatamente creato modelli completamente avulsi dalla realtà: le donna-Barbie e l’uomo-Rambo, con evidenti problemi di conflitto di genere. Pensiamo anche all’educazione dei bambini: in Asia si è innescata una competizione sfrenata per la conquista del lavoro, per l’ascesa sociale. Così si impone ai bambini di stare a scuola fino alle 9 di sera, di imparare l’inglese a partire dai 3 anni, anche a rinnegare la propria cultura. Saranno felici questi bambini, e queste madri?”.
La ricerca del lavoro è una necessità per (quasi) tutti.
“Certo, ma la scarsità del lavoro non è dovuta alla crescita demografica, ma al fatto che l’uomo si è messo in competizione con le macchine. Che senso ha far raccogliere le mele ad una macchina? Che ne sa la macchina di una mela matura? Quante ne lascia sull’albero? Siamo sicuri che sia così efficiente? Siamo sicuri che vogliamo mettere i nostri bambini davanti ad un computer per imparare a scrivere? Siamo sicuri di volere infermieri-robot? Dobbiamo tornare in molti campi ad attività ad alta intensità di lavoro non solo per garantire occupazione ma anche per guadagnare in efficienza. E’ dimostrato, per esempio, che piccole-medie aziende agricole che praticano l’agricoltura biologica producono più cibo, per unità di superficie, dei colossi dell’agri-business”.
Le donne possono aiutare il processo di de-globalizzazione?
“Nei movimenti ambientalisti le donne sono ovunque di gran lunga più numerose degli uomini, ma difficilmente diventano leader. Le donne sono particolarmente dotate nella comunicazione orale, però privilegiano i rapporti personali, rapporti di comunità nei piccoli gruppi. Vivono il potere come separazione, e questo alle donne non piace”.
Lei è stata invitata all’inaugurazione di una Conferenza sulla decrescita. Cosa pensa dell’idea di non inseguire il modello della crescita economica?
“Mi sento in perfetta sintonia con il pensiero di Serge Latouche. La decrescita e l’economia della felicità sono un po’ la stessa cosa, intendono determinare una svolta che ci allontana dal globale. Mi piace in particolare l’espressione “decrescita felice” perché fornisce una visione positiva della vita”.