Pd, il disastro romano travolgerà anche l’isola. Ecco perché bisogna fare subito il “Partito dei Sardi”. di Vito Biolchini
20 aprile 2013 alle 00:42 17
Esiste ancora il Pd? Forse no. Bersani paga con il più alto prezzo possibile (le dimissioni e l’esplosione del partito) la folle inversione ad U compiuta pochi giorni fa, quando dopo settimane di chiusura netta a Berlusconi non ha accettato di sostenere la candidatura di Rodotà avanzata dal M5S e ha preferito accordarsi con il centrodestra. Perché lo abbia fatto lo si capisce solo ora, a disastro avvenuto: ad opporsi a Rodotà è stato e continua ad essere Massimo D’Alema.
Bersani paga evidentemente colpe non sue: doveva tenere assieme un partito che invece è solo una sommatoria di leadership, di correnti, di capibastone. E alla fine ci si è messo pure Renzi, con la sua indisponente strategia distruttiva, a dare il colpo di grazia ad un progetto politico a cui hanno creduto di più gli elettori che non i dirigenti.
Cosa succederà adesso è difficile da immaginare. Una cosa è certa: la forza di un partito non sta solo nel numero di voti che riesce a guadagnare ma soprattutto nella sua coesione. Per questo il Pd è un partito inesistente: perché non è riuscito mai a fare sintesi delle sue tante anime.
Nel momento dell’unità il Pd si è mostrato per quello che è: un partito composto da dirigenti egoisti, disposti a battagliare per le proprie carriere e non per una idea comune.
La guerra per bande che ora si scatenerà a Roma presto si sposterà in Sardegna, unica regione dove è ormai imminente l’appuntamento elettorale.
C’è un solo modo per evitare il disastro: abbandonare subito il Pd con le sue ambiguità, dichiarare fallita l’esperienza del centrosinistra e far nascere il Partito dei Sardi. Il processo di dissoluzione dei partiti del centrosinistra sta subendo un’accelerazione improvvisa (l’Idv è sparita, Sel è ai minimi termini, per non dire delle altre formazioni, una più inconsistente dell’altra), perché Grilloha ragione nel dire che i vecchi partiti stanno scomparendo uno dopo l’altro. Bisogna fare in fretta e con coraggio mettere in campo un’alternativa seria. Perché il Pd sardo (già fragile e frammentato di suo, senza leader riconosciuti ma con troppe ambizioni mal riposte in campo) rischia di essere travolto dal disastro romano.
Il consigliere regionale sardista Paolo Maninchedda in queste settimane sta scrivendo articoli molto lucidi e interessanti sulla situazione che la nostra isola sta vivendo, e sta teorizzando la nascita di una nuova formazione in grado di sostenere la sfida che abbiamo davanti (vi segnalo solo l’ultimo post, “Cosa impariamo in Sardegna dall’errore madornale su Marini?”).
Cosa dice Maninchedda?
La Sardegna ha bisogno di un Presidente e di una squadra. Piaccia o non piaccia è più importante la squadra: i sistemi complessi come la Sardegna non si cambiano con l’azione dell’eroe a cavallo che attraversa le folle e bonifica la società. (…).
La squadra deve comporsi nella campagna elettorale, sotto gli occhi di tutti, e in un’esperienza nuova. Questa esperienza nuova io la chiamo “Partito della Sardegna” o “Partito dei sardi”. Fare una nuova esperienza vuol dire creare una nuova gara per chi vuol competere, senza assicurazioni, garanzie e ipoteche, derivabili dalle posizioni acquisite nei partiti tradizionali. Bisogna finirla con le categorie del secolo scorso: cattolici, laici, comunisti frizzi e lazzi e americazzi. Bastano i programmi. Alleanze larghe, programmi chiari e fermi. E tra i programmi deve esserci lo sradicamento di un certo sistema di potere ramificato che ha arricchito famiglie e ambienti ai danni della Sardegna.
Bisogna essere educati ma severi: niente accordi con chi presidia occultamente il bilancio regionale. Basta. Il Presidente deve venir fuori da primarie aperte e trasparenti. Giovani e vecchi, tutti a correre. Salotti e salottini, accordi e accordini, tutti in soffitta. Chi vuole, si candidi con un’idea in testa che superi la sua ambizione e riguardi la Sardegna, e si cerchi i voti.
Il Partito dei Sardi potrebbe dare quelle risposte che il centrosinistra isolano non sa più dare, potrebbe prendere il meglio dell’elaborazione indipendentista, potrebbe coinvolgere tante formazioni politiche schiacciate dal Pd (e penso ai Rossomori), potrebbe dare una risposta a quegli elettori seri e per bene che oggi non si riconoscono più nei partiti moderati.
Il centrosinistra come lo abbiamo conosciuto fino ad oggi è destinato a scomparire e del Pd chissà cosa sarà. Se abbiamo a cuore le sorti della Sardegna, evidentemente non c’è più tempo da perdere.