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Furat chie benit dae su mare (?). Quello che Novamont propone per Porto Torres.
Posted By cubeddu On 20 maggio 2011 @ 09:06 In Blog,Economia sarda,Editoriali,Industria | Comments Disabled
di Salvatore Cubeddu
In Sardegna ci sono progetti che finiscono perché superati, idee e fatti che mancano, proposte che invece premono per imporsi. L’industria (sarda ?) è stata superata nel 1978 in forza di convenienze italo-internazionali, ma oggi è destinata a chiudere a motivo della non competitività degli impianti e del costo dell’energia. Gli imprenditori sardi si buttano nel mattone e nel turismo ma si organizzano nelle sedi pagate dalla Saras, dall’Eni e dall’Enel. Infine, in tanti da fuori si impegnano a progettare da padroni il nostro futuro, come se noi non fossimo in casa nostra: l’eolico e quel che ci aspetta a Porto Torres fa parte dei fenomeni che ci vogliono imporre.
La classe dirigente sarda difende da più di trent’anni questa industria, in questi poli industriali, con queste produzioni. “Non si sbaracca niente finché non ci sono alternative!”, è il refrain di una trincea che retrocede sempre più a nostro sfavore. Le alternative vengono continuamente enunciate ma nessuno è stato in grado di produrle. L’unica vera proposta in tutto questi lunghi tre decenni è stata Tiscali e il polo nautico ad Arbatax, possibile apripista di nuove produzioni secondo altre logiche, quelle non difese né diffuse in questi ultimi due anni di ritorno e di conferma dell’ancien regime.
Intanto le lotte operaie risultano sempre più espressive di un diritto (al lavoro) ma ogni giorno si fanno più deboli nelle loro ragioni (tenersi questa industria vecchia e ‘ir-ragionevole’, dannosa). Le proposte che si impongono, invece, confermano il dilagare nella nostra terra di interessi esterni che uccidono le nostre ragioni e ipotecano, o distruggono già da ora, qualsiasi nostra prospettiva di successo (il silenzio a proposito di un ‘eolico’ promosso e gestito dall’ente regionale dell’energia ne è un esempio clamoroso). L’esito – lo ripetiamo, più che trentennale – di questa situazione è la conferma del ruolo di “servizio” all’economia italiana ed europea affidato alle nostre zone industriali, non più però solo quale base delle prime lavorazioni chimiche e metallurgiche, ma quale ultima manipolazione e deposito dei loro scarti: a Sarroch con gli impianti di bruciatura della pece incredibilmente pagati con sostanziosi premi ecologici, alla Portovesme s.r.l. con varie forme di agevolazioni concesse per riciclare e fissare nelle caverne sulcitane le trecentomila tonnellate annue dei fumi di acciaieria europei. Isola – “muntonarzu”, insomma.
La proposta Eni/Novamont in arrivo a Portotorres contiene pericoli altrettanto gravi: un impianto per bruciare spazzatura e l’invasione delle nostre scarse pianure del ‘cardo’ che si mangerà con le nostre terre migliori qualsiasi speranza di una diversa agricoltura e pastorizia. Il tutto all’interno della conferma per il sito turritano del centro di stoccaggio e di combustione di eventuali rifiuti speciali, tipo FOK, prodotti altrove.
Ho davanti il ‘riservatissimo’ documento dello scorso 22 aprile 2011 formato dal protocollo d’intesa per la chimica verde a Porto Torres, dal piano industriale generale e dal piano industriale del sito. Il tutto si conclude con una paginetta firmata dalla forze istituzionali, sociali ed economiche del Nord Sardegna datata a Sassari il 21 aprile 2011. Questo documento mi è giunto da fonte anonima e da nessuno di coloro, e sono tanti, che conosco tra i firmatari. Che non siglano (attenzione!) l’accettazione dei progetti dell’ENI (la società-killer, prima delle miniere, poi della metallurgia e quindi della chimica in Sardegna!) ma si incamminano nella direzione di accettarli laddove scrivono di “avere espresso estremo interesse e condivisione della proposta di insediamento di un polo di chimica verde nell’area industriale di Porto Torres da parte di Eni/Novamont”.
Le obiezioni successive alla lettura sono tre: 1, non siamo solo di fronte a un piano di “chimica verde”; 2, le conseguenze di questo piano riguardano non solo l’industria ma anche l’agricoltura sarda; e, pertanto, 3, i soggetti abilitati a trattare non sono solo i sindacati industriali, né tantomeno i soli chimici del Nord Sardegna, ma semmai la decisione riguarda l’insieme dei sindacati (principalmente le organizzazioni agricole) e i responsabili dell’economia sarda. E quindi tutte le istituzioni, in primis la Giunta e il Consiglio regionali, e la pubblica opinione.
Perché, allora, tanti segreti? Un risposta è ipotizzabile: perché nessuno vuole sapere. Meglio: è bene che non si sappia che cosa si sta decidendo. Nessuno, cioè, vuole avere in mano la patata bollente di una decisione che è meglio contrastare quando sarà impossibile tornare indietro. Tant’è: quasi tutti i parlamentari sardi sono stati avvicinati dalla lobbying degli emissari dell’Eni/Novamont. Tra di essi anche l’opposizione in Consiglio e in Parlamento. Nel PD si parla di un eventuale convegno, nel mentre la società insiste a concludere l’accordo lasciando filtrare sulla stampa l’avviso-minaccia che, altrimenti, ci sono altre province e regioni pronte a ricevere il ‘dono’. Noi sardi ci troviamo come prima dell’uscita dall’obiettivo 1, quando i pochi, che sapevano e nascondevano, ci fecero perdere diecimila miliardi per lasciare considerare la produzione della Saras interna al PIL sardo. E come nell’altra situazione (e altri circa diecimila miliardi rubati!), allorché lo Stato non ci restituiva i crediti delle tasse versate e chi doveva non li esigeva (finché non è arrivato quel rompi-scatole di Soru… ).
Chi ha interesse, voglia e tempo, pretenda la pubblicazione di quei documenti e, in ogni caso, chi deve ci risponda se si debba o no – come bisognerebbe – essere preoccupati. Per quanto ci riguarda, ci interesserebbe una risposta alle seguenti domande:
L’ultima non è una domanda, ma una precisa e ovvia richiesta. Ci troviamo di fronte – come in altre occasioni di questi tempi – a un problema di sovranità sul nostro territorio e sulle nostre risorse la cui responsabilità e cura spettano alle più alte istituzioni della Sardegna, visto che le associazioni sono inevitabilmente condizionate dalla rappresentanza degli interessi particolari. La Giunta e il Consiglio regionali sono chiamate ad affrontare pubblicamente la questione e a decidere ‘coram populo’. Con tutte le conseguenze.
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