Furat chie benit dae su mare (?). Quello che Novamont propone per Porto Torres.
di Salvatore Cubeddu
In Sardegna ci sono progetti che finiscono perché superati, idee e fatti che mancano, proposte che invece premono per imporsi. L’industria (sarda ?) è stata superata nel 1978 in forza di convenienze italo-internazionali, ma oggi è destinata a chiudere a motivo della non competitività degli impianti e del costo dell’energia. Gli imprenditori sardi si buttano nel mattone e nel turismo ma si organizzano nelle sedi pagate dalla Saras, dall’Eni e dall’Enel. Infine, in tanti da fuori si impegnano a progettare da padroni il nostro futuro, come se noi non fossimo in casa nostra: l’eolico e quel che ci aspetta a Porto Torres fa parte dei fenomeni che ci vogliono imporre.
La classe dirigente sarda difende da più di trent’anni questa industria, in questi poli industriali, con queste produzioni. “Non si sbaracca niente finché non ci sono alternative!”, è il refrain di una trincea che retrocede sempre più a nostro sfavore. Le alternative vengono continuamente enunciate ma nessuno è stato in grado di produrle. L’unica vera proposta in tutto questi lunghi tre decenni è stata Tiscali e il polo nautico ad Arbatax, possibile apripista di nuove produzioni secondo altre logiche, quelle non difese né diffuse in questi ultimi due anni di ritorno e di conferma dell’ancien regime.
Intanto le lotte operaie risultano sempre più espressive di un diritto (al lavoro) ma ogni giorno si fanno più deboli nelle loro ragioni (tenersi questa industria vecchia e ‘ir-ragionevole’, dannosa). Le proposte che si impongono, invece, confermano il dilagare nella nostra terra di interessi esterni che uccidono le nostre ragioni e ipotecano, o distruggono già da ora, qualsiasi nostra prospettiva di successo (il silenzio a proposito di un ‘eolico’ promosso e gestito dall’ente regionale dell’energia ne è un esempio clamoroso). L’esito – lo ripetiamo, più che trentennale – di questa situazione è la conferma del ruolo di “servizio” all’economia italiana ed europea affidato alle nostre zone industriali, non più però solo quale base delle prime lavorazioni chimiche e metallurgiche, ma quale ultima manipolazione e deposito dei loro scarti: a Sarroch con gli impianti di bruciatura della pece incredibilmente pagati con sostanziosi premi ecologici, alla Portovesme s.r.l. con varie forme di agevolazioni concesse per riciclare e fissare nelle caverne sulcitane le trecentomila tonnellate annue dei fumi di acciaieria europei. Isola – “muntonarzu”, insomma.
La proposta Eni/Novamont in arrivo a Portotorres contiene pericoli altrettanto gravi: un impianto per bruciare spazzatura e l’invasione delle nostre scarse pianure del ‘cardo’ che si mangerà con le nostre terre migliori qualsiasi speranza di una diversa agricoltura e pastorizia. Il tutto all’interno della conferma per il sito turritano del centro di stoccaggio e di combustione di eventuali rifiuti speciali, tipo FOK, prodotti altrove.
Ho davanti il ‘riservatissimo’ documento dello scorso 22 aprile 2011 formato dal protocollo d’intesa per la chimica verde a Porto Torres, dal piano industriale generale e dal piano industriale del sito. Il tutto si conclude con una paginetta firmata dalla forze istituzionali, sociali ed economiche del Nord Sardegna datata a Sassari il 21 aprile 2011. Questo documento mi è giunto da fonte anonima e da nessuno di coloro, e sono tanti, che conosco tra i firmatari. Che non siglano (attenzione!) l’accettazione dei progetti dell’ENI (la società-killer, prima delle miniere, poi della metallurgia e quindi della chimica in Sardegna!) ma si incamminano nella direzione di accettarli laddove scrivono di “avere espresso estremo interesse e condivisione della proposta di insediamento di un polo di chimica verde nell’area industriale di Porto Torres da parte di Eni/Novamont”.
Le obiezioni successive alla lettura sono tre: 1, non siamo solo di fronte a un piano di “chimica verde”; 2, le conseguenze di questo piano riguardano non solo l’industria ma anche l’agricoltura sarda; e, pertanto, 3, i soggetti abilitati a trattare non sono solo i sindacati industriali, né tantomeno i soli chimici del Nord Sardegna, ma semmai la decisione riguarda l’insieme dei sindacati (principalmente le organizzazioni agricole) e i responsabili dell’economia sarda. E quindi tutte le istituzioni, in primis la Giunta e il Consiglio regionali, e la pubblica opinione.
Perché, allora, tanti segreti? Un risposta è ipotizzabile: perché nessuno vuole sapere. Meglio: è bene che non si sappia che cosa si sta decidendo. Nessuno, cioè, vuole avere in mano la patata bollente di una decisione che è meglio contrastare quando sarà impossibile tornare indietro. Tant’è: quasi tutti i parlamentari sardi sono stati avvicinati dalla lobbying degli emissari dell’Eni/Novamont. Tra di essi anche l’opposizione in Consiglio e in Parlamento. Nel PD si parla di un eventuale convegno, nel mentre la società insiste a concludere l’accordo lasciando filtrare sulla stampa l’avviso-minaccia che, altrimenti, ci sono altre province e regioni pronte a ricevere il ‘dono’. Noi sardi ci troviamo come prima dell’uscita dall’obiettivo 1, quando i pochi, che sapevano e nascondevano, ci fecero perdere diecimila miliardi per lasciare considerare la produzione della Saras interna al PIL sardo. E come nell’altra situazione (e altri circa diecimila miliardi rubati!), allorché lo Stato non ci restituiva i crediti delle tasse versate e chi doveva non li esigeva (finché non è arrivato quel rompi-scatole di Soru… ).
Chi ha interesse, voglia e tempo, pretenda la pubblicazione di quei documenti e, in ogni caso, chi deve ci risponda se si debba o no – come bisognerebbe – essere preoccupati. Per quanto ci riguarda, ci interesserebbe una risposta alle seguenti domande:
- Nel documento si scrive della “realizzazione di una nuova centrale elettrica alimentata a biomasse”, indicata nella capacità a volta di 100 MWe, altre volte di 40, che secondo la legge del 2003 può trattare la spazzatura urbana: sarà il terminale dei rifiuti sardi e/o di quelli esterni? Risponde alle nostre necessità tutta questa energia e perché dobbiamo prenderci noi l’inquinamento dell’energia degli altri? Quale piano energetico e con quale rapporto di esso con il piano dei rifiuti?
- L’Eni/Novamont intende partire subito nel mettere a coltura agricola i più di mille ettari di terreni non inquinati o facilmente disinquinabili della zona industriale di Porto Torres. Perché li si dovrebbe affidare a loro? A quali condizioni? E con quali conseguenze per le aree destinate all’eventuale nuova industrializzazione?
- In vari passi si sostiene che la bontà del progetto si fonda sull’insieme della filiera, per cui in Sardegna si produrrebbe dal ‘cardo’ alla “borsa per la spesa” ecologica. Non lo si dice, per cui lo chiediamo noi: a quante migliaia di ettari ammonterebbe la richiesta dei terreni? Con quale ciclo nelle rotazioni produttive? Quanta parte delle pianure irrigate in Sardegna verrebbe occupata da queste produzioni?
- E’ possibile che, almeno in un primo tempo, la nuova società farebbe ponti d’oro agli agricoltori che produrranno la materia prima. Non è neanche esclusa che parta pure una campagna di acquisto dei terreni. Ma, una volta che essa divenisse l’unica acquirente del prodotto (economicamente: fosse in condizioni di ‘monopsonio’) si comporterebbe come i caseari romani cento anni fa: pagando un alto prezzo per il latte di pecora ne promossero l’aumento della quantità e delle greggi. Allorché nei loro caseifici divennero i principali acquirenti del latte, decisero dei prezzi stracciati e portarono i pastori alla fame. Ecco perché è essenziale porsi la domanda: da dove arriveranno a Porto Torres le materie prime? Come ci si rapporta alla nostra agricoltura? Quali spazi agricoli verranno occupati nel tempo? Cosa ne sarà delle nostre pianure dopo venti-trenta anni di queste coltivazioni intensive?
- Verranno utilizzate sementi geneticamente modificate?
- Sia che si tratti di spazzatura che arriva dall’esterno (da Napoli?) o che si lavorino biomasse residue, si porrà il problema dell’adeguatezza dei trasporti marittimi: si è fatto il calcolo dell’incidenza e degli effetti ambientali e sanitari della bruciatura e della movimentazione di simili prodotti?
- Ci si trova quasi certamente di fronte alla più impegnativa operazione economica (e quindi politica) degli ultimi trent’anni in Sardegna, i cui effetti condizioneranno per un lungo periodo l’economia sarda nell’industria, nell’agricoltura e nei trasporti, con evidenti conseguenze sul turismo: non sarà il caso di fermarci un po’ a riflettere? Ma: ci conviene? Il tutto avviene perché ci ricattano con cinquecento posti di lavoro e con la difficoltà delle nostre istituzioni a rispondere al problema occupativo: ma non è forse nello stesso modo che nel passato la Sardegna è stata derubata delle miniere, ci siamo beccati l’industria di base, vediamo altri venire dall’esterno per appropriarsi sia del turismo che delle energie alternative che potrebbero essere parte delle nostre ricchezze?
L’ultima non è una domanda, ma una precisa e ovvia richiesta. Ci troviamo di fronte – come in altre occasioni di questi tempi – a un problema di sovranità sul nostro territorio e sulle nostre risorse la cui responsabilità e cura spettano alle più alte istituzioni della Sardegna, visto che le associazioni sono inevitabilmente condizionate dalla rappresentanza degli interessi particolari. La Giunta e il Consiglio regionali sono chiamate ad affrontare pubblicamente la questione e a decidere ‘coram populo’. Con tutte le conseguenze.