IL SOGNO DI CHAVEZ, di Gianni Minà

Da il manifesto 07 -03-2013

«[, .. ) il presidente Chàvez sarà ricordato per la sua audace ricerca di indipendenza per i paesi latinoamericani, per le sue formidabili capaci­tà comunicative e per il rapporto che stabiliva con chi lo seguiva, tanto nel suo Paese, come all'estero. A questi trasmetteva loro speranza e fiducia nelle proprie capacità. Nei 14 anni del suo governo, Chàvez si è unito con alcuni leader dell'America Latina e dei Caraibi per creare nuove fonti di integrazione e ha ridotto della metà la povertà nel suo Paese», Jimmy Carter, ex presidente degli Stati Uniti, nel  messaggio al popolo venezuelano.

 

 

Qualunque sia la valutazio­ne politica che la storia da­rà a Hugo Chàvez, presi­

den del Venezuela appena scom­parso, non c’è dubbio, se si è in buona fede, che il suo rapido pas­saggio in questo mondo non sia stato un evento banale. Per que­sto credo stia suscitando una com­mozione collettiva in tutta l’Ameri­ca Latina, anche in quelle nazioni meno abituate ad approvare le strategie di cambiamento di que­sto seguace di Bolivar che sogna­va un continente affratellato.

Mentre scrivo sono già arrivati a Caracas i presidenti di Argentina, Bolivia e Umguaye pare stia per arrivare perfino Iuan Manuel San­tos (il presidente della Colombia succeduto all’inquietante Uribe) che, nel rispetto dell’utopia pro­prio della «Patria Grande», aveva deciso di imbastire un nuovo rap­porto con Chàvez. Non c’è dubbio che questa realtà quasi rivoluzio­naria abbia potuto mettersi in marcia perché in pochi anni si è evoluto il molo del Venezuela e si è affermata, nel continente, una politica di hermanidad spinta dal colonnello dal basco rosso, certo di poter affermare i suoi sogni di unità latinoamericana.

Paradossalmente, però, è questo il sen­timento che proprio non riescono a ca­pire molti media europei. Non solo perché nazioni latinoamericane come l’Argen­tina, la Bolivia e l’Ecuador hanno deciso di re­cuperare, nazìonalizzandole, alcune delle pro­prie ricchezze saccheggiate nel tempo dal “de­mocratico” mondo occidentale; ma perché, per la prima volta nei secoli più recenti è con i paesi dell’America Latina che bisogna fare i conti e, a sorpresa, non con gli Stati Uniti o con le nazioni un tempo colonizzatrici.

Questa situazione però, secondo alcuni ana­listi europei e del nord del mondo, risulta scan­dalosa e inaccettabile. Perché, oltretutto, met­te in crisi le certezze delle agenzie di rating, del­la finanza speculativa, di tutti coloro insomma convinti che il mondo è sempre andato così e non può cambiare.

Eppure basterebbe considerare che cosa, in questi anni, ha fatto il Venezuela, oltre ad af­frontare e vincere salvo in un caso, 15 consulta­zioni elettorali o referendum. Se non è demo­crazia questa, non sappiamo che altro valore dargli.

Quando Chàvez ha ereditato il governo del Paese dal presunto socialista Carlos Andrés Péres, c’erano cinque milioni di esseri umani che vivevano nelle villas miserias dove i bambi­ni non andavano a scuola perché i padri non erano nemmeno registrati all’anagrafe. Insomma, cinque milioni di “inesistenti”, in una na­zione di 24 milioni di abitanti seduta su uno dei giacimenti petroliferi più importanti al mondo. Era il “Venezuela Saudita”, dove i proventi del petrolio restavano nelle tasche di po­chi e di un pugno di multinazionali e dove Car­los Andrés Péres, .. un giorno, dette perfino l’or­dine di sparare su un corteo di cittadini esausti proprio per le politiche del Fondo monetario, massacrando più di mille persone. Ora, nel Ve­nezuela bolivariano del «caudillo populista», gli indigenti sono meno della metà di allora, 49,21 % invece del 70%.

Ma all’ opposizione non è bastato: “Con qua­le criterio Chàvez continuava a usare le entrate del petrolio in opere sociali invece di investire sul petrolio stesso?».

Non si tratta di rispettare una logica econo­mica, ma di far prevalere un diritto morale. Chi ha stabilito, per esempio, che l’economia neoliberale, anche quando procura disastri co­me in questa epoca, è la via maestra da conti­nuare a seguire? E non è un problema di ideolo­gia, ma di etica. Lo affermano anche personali­tà della cultura nordamericana come Sean Penn e Oliver Stone. Jimmy Carter, l’ex presi­dente degli Stati Uniti, ha inviato per esempio questo  messaggio al popolo venezuelano: «[, .. ) il presidente Chàvez sarà ricordato per la sua audace ricerca di indipendenza per i paesi latinoamericani, per le sue formidabili capaci­tà comunicative e per il rapporto che stabiliva con chi lo seguiva, tanto nel suo Paese, come all’estero. A questi trasmetteva loro speranza e fiducia nelle proprie capacità. Nei 14 anni del suo governo, Chavez si è unito con alcuni leader dell’America Latina e dei Caraibi per creare nuove fonti di integrazione e ha rìdotto della

metà la povertà nel suo Paese».

Così, quando leggo queste dichiarazioni di stima del più etico fra gli ultimi Presidenti de­gli Stati Uniti, mi domando quale sia il concet­to di democrazia dei nostri media. Ho visto che non si sono nemmeno dati la pena, dopo aver sostenuto che non c’è libertà di stampa in Venezuela, di informare – come hanno fatto lgnacio Ramonet di Le Monde diplomatique e il politico francese Iean-Luc Mélenchon – che dei 111 canali televisivi esistenti in Venezuela, solo 13 sono di proprietà dello Stato e con au­dience di solo il 5,4%. Purtroppo, i nostri intre­pidi cronisti si rifanno, per raccontare l’Ameri­ca Latina, quasi esclusivamente al mitico quoti­diano spagnolo El Pais, che, proprio l’altra set­timana  con assoluto disprezzo delle regole del nostro mestiere, aveva pubblicato in prima pa­gina (evidentemente augurandoselo) una foto di Chàvez intubato e morente risultata però fal­sa. Il prestigioso quotidiano spagnolo aveva do­vuto chiedere scusa pubblicamente e ritirare al­l’alba tutte le copie già stampate e distribuite.

La verità è che in poco più di dieci anni, l’America Latina è stata capace di dotarsi, per l’intuizione di uomini politici come Lula o lo stesso Chavez, di strumenti capaci di farla com­petere con realtà come la stessa Comunità Eu­ropea. Basti pensare al Mercosur é al Banco del Sur (lanciato nel 2007 con una capitalizza­zione di 7 bilioni di dollari da 7 membri: Ve­nezuela, Argentina, Bolivia, Brasile, Ecuador, Uruguay e Paraguay) una scommessa che ha reso più autonoma e indipendente gran parte dell’America Latina. Ma la prova tangibile dei meriti di Chàvez e della sua politica, pur fra er­rori e qualche esagerazione, è forse TeleSur, la televisione satellitare del continente che, l’al­tra notte, in una diretta no-stop, ha mostrato un dolore collettivo non solo di un Paese, il Ve­nezuela, ma di quella che Ernesto Che Gueva­ra definiva «nuestra Grande America».

«Io non sono io – ha detto una volta Hugo Chàvez parlando dei suoi sogni – ma un popo­lo unito».

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