Se il Conclave aprisse le porte alla primavera della Chiesa, di HANS KUNG

(Hans Kiing è professore emerito di teologia ecumenica presso l’Uni­versità di Tubinga e autore del libro di prossima pubblicazione dal titolo «La Chiesa può ancora essere salva­ta»). Da la Repubblica 02-03-2013

 

La primavera araba ha scosso dalle fondamenta una serie di regimi autocratici. Le dimissioni di papa Bene­detto XVI apriranno la strada a qualcosa di simile nella Chiesa cat­tolica: una Primavera Vaticana. Ovviamente il sistema della Chiesa cattolica più che alla Tunisia o all’Egitto assomiglia a una monar­chia assoluta come l’Arabia Saudi­ta. In tutt’e due i casi non è stata fat­ta nessuna riforma autentica, solo concessioni minori. In tutt’e due i casi l’assenza di riforme viene giu­stificata con il rispetto della tradi­zione: in Arabia Saudita la tradizio­ne risale solo a due secoli fa, per il papato è vecchia di duemila anni.

Ma è autentica, questa tradizio­ne? In realtà per un millennio la Chiesa andò avanti senza un papa­to assolutista come quello che co­nosciamo oggi.

Fu solo nell’XI secolo che una «rivoluzione dall’alto», la Riforma gregoriana avviata da papa Gregorio VII, intro­dusse i tre aspetti perduranti del si­stema cattolico: un papato centrali­sta e assolutista, un clericalismo for­zato all’obbligo del celibato per i pre­ti e altri membri laici del clero. Gli sforzi dei concili riformatori del XV secolo, la Riforma protestante del XVI secolo, l’Illuminismo e la Rivo­luzione Francese nel XVII e XVIII se­colo e il liberalismo del XIX secolo ebbero un successo solo parziale. Perfino il Concilio Vaticano II, dal 1962 al 1965, fu frenato dal potere della Curia. Ancora oggi la Curia, che nella sua forma attuale sembra un prodotto dell’XI secolo, è l’ostacolo principale a qualsiasi tentativo di riforma generale della Chiesa catto­lica, a qualsiasi intesa ecumenica sincera con le altre Chiese cristiane e le altre religioni mondiali, e a qual­siasi atteggiamento critico costrut­tivo nei confronti del mondo mo­derno.

Nel 2005, in una delle sue poche iniziative audaci, papa Benedetto ebbe per quattro ore un’amichevole conversazione con il sottoscritto, nella sua residenza estiva di Castel Gandolfo. Ero stato suo collega al­!’Università di Tubinga, e anche il suo critico più severo. Per 22 anni, a causa della revoca della mia autoriz­zazione all’insegnamento ecclesia­stico per aver criticato l’infallibilità papale, non avevamo avuto il mini­mo contatto. Prima dell’incontro, avevamo deciso di mettere da parte le nostre divergenze e di discutere di argomenti su cui potevamo trovare un’intesa: il rapporto positivo fra la fede cristiana e la scienza, il dialogo fra religioni e civiltà e il consenso eti­co fra fedi e ideologie diverse.

Per me, e per !’intero mondo cat­tolico, quell’incontro fu un segnale di speranza. Purtroppo, però, il pon­tificato di Benedetto XVI è stato ca­ratterizzato da disastri e decisioni sbagliate. Papa Ratzinger ha fatto ir­ritare le Chiese protestanti, gli ebrei, i musulmani, gli indios latino ameri­cani, le donne, i teologi riformisti e tutti i cattolici progressisti. I grandi scandali intervenuti durante il suo pontificato sono ben noti: il ricono­scimento della Società di San Pio X, l’organizzazione dell’ arcivescovo ultraconservatore Marcel Lefebvre, ferocemente contrario al Concilio Vaticano II, e del vescovo negazioni­sta Richard WIlliamson. Poi ci sono stati i tanti abusi sessuali a danni di bambini e ragazzi perpetrati da membri del clero, di cui il Papa por­ta gravi responsabilità per averli in­sabbiati quando era cardinale. E poi c’è stato l’affaire VatiIeaks che sem­bra sia una delle ragioni che hanno maggiormente contribuito a spin­gere Benedetto XVI alle dimissioni.

Il primo caso di dimissioni papa­li in quasi settecento anni mette a nudo la crisi di fondo che incombe da tempo su una Chiesa fossilizzata. E ora il mondo intero si chiede: il prossimo Papa potrebbe riuscire, nonostante tutto, a inaugurare una nuova primavera per la Chiesa cat­tolica? Le disperate necessità della Chiesa non possono essere ignora­te. C’è una catastrofica carenza di preti, in Europa, in America Latina e in Africa. Tantissime persone hanno lasciato la Chiesa o hanno effettuato un’emigrazione interna», special­mente nei Paesi industrializzati. Dietro la facciata, il palazzo si sta sgretolando.

In questa drammatica situazione la Chiesa ha bisogno di un Papa che non viva intellettualmente nel Me­dioevo, che non si faccia portaban­diera di teologie, liturgie o costitu­zioni della Chiesa che risalgono a quell’epoca. Ha bisogno di un Papa aperto alle problematiche poste dalla Riforma, dalla modernità. Un Papa che sostenga la libertà della Chiesa nel mondo non solo impartendo sermoni, ma combattendo con le parole e con i fatti per la libertà e i diritti umani all’interno della Chiesa, per i teologi, per le donne, per tutti i cattolici che vogliono esprimere la verità apertamente. Un

Papa che non costringa più i vescovi a sottomettersi a una linea reazionaria, che metta in pratica una democrazia vera nella Chiesa, modellata su quella del cristianesimo degli albori. Un Papa che non si lasci in­fluenzare da un «Papa-ombra-stanziato in Vaticano, quale sarà Bene­detto XVI con i suoi fedeli seguaci.

Il Paese di origine del nuovo Papa non ha molta importanza Sfortuna­tamente, dai tempi di Giovanni Pao­lo II èi n uso un questionario per co­stringere tutti i vescovi a seguire la dottrina ufficiale della Chiesa catto­lica sulle questioni controverse, una procedura suggellata da un voto di obbedienza incondizionata al Papa. Per questo finora non c’è stato nes­sun dissenso pubblico fra i vescovi. Eppure la gerarchia cattolica è a co­noscenza della distanza che la sepa­ra dalla gente comune su questioni importanti. In un recente sondag­gio, in Germania, è venuto fuori che 1’85 per cento dei cattolici è favore­vole a eliminare il celibato dei preti, il 79 per cento è favorevole a con­sentire che le persone divorziate possano risposarsi in Chiesa e il 75 per cento è favorevole al sacerdozio femminile. In molti altri Paesi pro­babilmente le percentuali sono si­mili.

Queste problematiche devono essere discusse pubblicamente, pri­ma e durante il conclave, senza im­bavagliare i cardinali come successe nel 2005, per tenerli in riga. Io, che sono l’ultimo teologo ancora in atti­vità (oltre a Benedetto XVI) ad aver preso parte al Concilio Vaticano II, mi chiedo se non ci sarà all’inizio del conclave, come ci fu all’inizio del Concilio, un gruppo di cardinali co­raggiosi disposto ad affrontare a vi­so aperto la fazione intransigente della Chiesa, e pretendere un candi­dato che sia disposto ad avventurar­si lungo strade nuove, magari con un nuovo Concilio riformatore o, me­glio ancora, con un’assemblea rap­presentativa di vescovi, preti e gen­te comune? Se il prossimo conclave dovesse eleggere un Papa che andrà avanti per la stessa vecchia strada, la Chiesa non conoscerà mai una nuo­va primavera: al contrario, precipi­terà in una nuova era glaciale e cor­rerà il pericolo di ridursi a una setta sempre più irrilevante.

 

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