L’ultima domenica da Papa.
In otto anni di pontificato Benedetto XVI ha dato alle stampe tre volumi che presentano la figura di Gesù Cristo. Ha scelto di presentare il messaggio del fondatore del cristianesimo prima che governare la Chiesa. Nella settimana nella quale il Papa ha deciso di scomparire nel silenzio, può risultare utile presentare l’ultima sua opera, sull’infanzia di Gesù, così come viene come presentata da biblisti con differenti opinioni:
I vangeli dell’infanzia: racconti credibili, non miti. Il nuovo libro di Benedetto XVI sulla nascita di Gesù, ANDREA TORNIELLI – CITTÀ DEL VATICANO – (vaticaninsider.lastampa.it)
Quando Gesù era bambino, di Gianfranco Ravasi – in “Il sole 24 Ore” del 25 novembre 2012
Il Bambin Gesù del Papa, di Vito Mancuso – in “la Repubblica” del 21 novembre 2012
I vangeli dell’infanzia: racconti credibili, non miti
Il nuovo libro di Benedetto XVI sulla nascita di Gesù
ANDREA TORNIELLI – CITTÀ DEL VATICANO – (vaticaninsider.lastampa.it)
I racconti dell’infanzia di Gesù, contenuti nei primi capitoli dei vangeli di Matteo e di Luca, non sono leggende né ricostruzioni fantasiose. E non sono neanche un «midrash», cioè un’interpretazione della Scrittura mediante narrazioni tipica della letteratura ebraica. Sono «storia, storia reale, avvenuta, certamente storia interpretata e compresa in base alla Parola di Dio». Lo scrive Benedetto XVI nel libro «L’infanzia di Gesù» (Rizzoli-Libreria Editrice Vaticana, pp. 174), il terzo volume ratzingeriano dedicato al Nazareno. Il Papa torna a fare il teologo e l’esegeta, e completa con la parte dedicata alla venuta al mondo di Cristo quell’opera che aveva in animo di scrivere da tanti anni e che ha scritto nonostante il conclave riunitosi dopo la morte di Giovanni Paolo II l’abbia eletto
Le fonti di Luca e Matteo
Da dove «conoscono Matteo e Luca la storia da loro raccontata?», si chiede Ratzinger. Il Papa ricorda che «in Luca sembra esservi alla base un testo ebraico». E alla domanda risponde: si tratta evidentemente di tradizioni di famiglia. Luca «a volte accenna al fatto che Maria stessa era una delle sue fonti», quando scrive: «Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore». «Solo lei – osserva Ratzinger – poteva riferire l’evento dell’Annunciazione». Il Papa ammette che l’esegesi «critica» moderna considera «ingenui» collegamenti del genere, ma si chiede: «Perché Luca dovrebbe aver inventato l’affermazione circa il custodire delle parole e degli eventi nel cuore di Maria, se per questo non c’era alcun riferimento concreto?». E spiega che l’apparire tardivo «soprattutto delle tradizioni mariane trova la sua spiegazione nella discrezione» della Madonna: finché lei stessa era ancora in vita «non potevano diventare tradizione pubblica».
Maria «donna coraggiosa»
«Il suo regno non avrà fine», dice l’angelo Gabriele a Maria riferendosi al Figlio. Certo, commenta Benedetto XVI «resta sempre vera anche la parola che Gesù disse a Pilato: “il mio regno non è di quaggiù”. A volte – osserva Ratzinger – nel corso della storia, i potenti di questo mondo lo attraggono a sé; ma proprio allora esso è in pericolo: essi vogliono collegare il loro potere con il potere di Gesù, e proprio così deformano il suo regno, lo minacciano».
A proposito della reazione della Madonna di fronte all’inaudito annuncio dell’angelo – dal turbamento al confronto interiore con la Parola ricevuta – il Papa scrive: «Maria appare una donna coraggiosa, che anche di fronte all’inaudito, mantiene l’autocontrollo. Al tempo stesso, è presentata come donna di grande interiorità, che tiene insieme il cuore e la ragione e cerca di capire il contesto, l’insieme del messaggio di Dio».
Giuseppe il giusto
Descrivendo la decisione di Giuseppe, promesso sposo di Maria, il quale dopo aver saputo che era rimasta incinta decide di ripudiarla in segreto, il Papa scrive: «Dopo la scoperta che Giuseppe ha fatto, si tratta di interpretare ed applicare la legge in modo giusto. Egli lo fa con amore: non vuole esporre Maria pubblicamente all’ignominia. Le vuole bene, anche nel momento della grande delusione. Non incarna quella forma di legalità esteriorizzata… Egli vive la legge come vangelo, cerca la via dell’unità tra diritto e amore. E così è interiormente preparato al messaggio nuovo, inatteso e umanamente incredibile, che gli verrà da Dio».
Il parto verginale. Mito o verità?
Benedetto XVI mostra di non credere affatto al parallelismo proposto dalla storia delle religioni tra «la nascita verginale di Gesù» e i racconti mitologici delle unioni tra divinità e uomini. «Non si può parlare di veri paralleli. Nei racconti dei Vangeli rimangono pienamente conservate l’unicità dell’unico Dio e l’infinita differenza tra Dio e la creatura. Non esiste alcuna confusione, non c’è alcun semidio… Le narrazioni in Matteo e Luca non sono miti ulteriormente sviluppati» e quanto al loro «contenuto concreto provengono dalla tradizione familiare, sono una tradizione trasmessa che conserva l’accaduto». Quindi, conclude Ratzinger, alla domanda se è vero «ciò che diciamo nel Credo», sulla nascita del Figlio concepito di Spirito Santo e nato da Maria Vergine, «la risposta senza riserve è sì». Nella storia di Gesù ci sono due punti nei quali l’operare di Dio interviene immediatamente nel mondo materiale: «la nascita dalla Vergine e la resurrezione». Due punti che «sono uno scandalo per lo spirito moderno».
Il discusso censimento
Il Papa chiude in pochi paragrafi la questione del censimento di cui parla Luca nel suo vangelo e la controversia su quando questo sia avvenuto, dato che in presenza del governatore Quirinio (citato dall’evangelista) ne è documentato ma nell’anno 6 dopo Cristo, troppo tardi perché si tratti di quello avvenuto in concomitanza con la nascita di Gesù. Ratzinger spiega che il censimento si realizzava in due tappe, «innanzitutto nella registrazione dell’intera proprietà terriera e immobiliare e poi – in un secondo momento – nella determinazione delle imposte da pagare di fatto». La prima tappa avvenne al tempo della nascita di Gesù, la seconda negli anni successivi. «I contenuti essenziali dei fatti riferiti da Luca – scrive il Papa – rimangono, nonostante tutto, storicamente credibili: egli decise – come dice nella premessa del suo Vangelo – “di fare ricerche accurate in ogni circostanza”. Questo ovviamente con i mezzi a sua disposizione. Egli era pur sempre più vicino alle fonti e agli eventi di quanto noi, malgrado tutta l’erudizione storica, possiamo pretendere».
Per questo, osserva, «Gesù appartiene ad un tempo esattamente databile e ad un ambiente geografico esattamente indicato». E «se ci atteniamo alle fonti, rimane chiaro che Gesù è nato a Betlemme ed è cresciuto a Nazaret».
La storicità della grotta di Betlemme
Il Papa nel libro spiega che proprio la trasformazione da parte dei romani della grotta di Betlemme in un luogo di culto a Tammuz-Adone, «intendo evidentemente sopprimere la memoria cultuale dei cristiani, conferma l’antichità di tale luogo di culto… Spesso le tradizioni locali sono una fonte più attendibile che le notizie scritte».
Gesù segno di contraddizione
Commentando l’episodio della presentazione di Gesù al Tempio, Benedetto XVI spiega: «Noi tutti sappiamo quanto Cristo oggi sia segno di una contraddizione che, in ultima analisi, ha di mira Dio stesso. Sempre di nuovo, Dio stesso viene visto come limite della nostra libertà, un limite da eliminare affinché l’uomo possa essere totalmente se stesso. Dio, con la sua verità, si oppone alla molteplice menzogna dell’uomo, al suo egoismo ed alla sua superbia. Dio è amore. Ma l’amore può anche essere odiato, laddove esige che si esca da se stessi per andare al di là di se stessi».
I magi e la loro inquietudine
Descrivendo la figura del «mago», e della varia gamma di significati che la parola aveva, il Papa ne sottolinea l’ambivalenza: «La religiosità può diventare una via verso la vera conoscenza, una via verso Gesù Cristo. Quando, però, di fronte alla presenza di Cristo, non si apre a Lui e si pone contro l’unico Dio e Salvatore, essa diventa demoniaca e distruttiva». Ma i «magi» di cui parla Matteo «non erano soltanto astronomi», erano «sapienti», rappresentavano la dinamica «dell’andare al di là di sé, intrinseca alle religioni – una dinamica che è ricerca della verità».
Nasce Gesù, finisce l’astrologia
Quando alla stella che guidò i magi nel racconto di Matteo, Benedetto XVI ricorda che «a cavallo tra l’anno 7 e il 6 avanti a.C. – che oggi viene considerato l’anno verosimile della nascita di Gesù – si è verificata una congiunzione di pianeti Giove, Saturno e Marte». A questa, secondo il grande astronomo Giovanni Keplero si era aggiunta una supernova, della quale sembra esservi traccia «in tavole cronologiche cinesi» relative all’anno 4 a.C.
Citando Gregorio Nazianzeno, il Papa scrive che «nel momento stesso in cui i Magi si prostrarono davanti a Gesù, sarebbe giunta la fine dell’astrologia, perché da quel momento le stelle avrebbero girato nell’orbita stabilita da Cristo». Una demitizzazione, «una svolta antropologica», perché, spiega Ratzinger, «l’uomo assunto da Dio – come qui si mostra nel Figlio unigenito – è più grande di tutte le potenze del mondo materiale e vale più dell’universo intero».
La strage degli innocenti
È vero, osserva Benedetto XVI, che «da fonti non bibliche non sappiamo nulla su questo avvenimento, ma considerando tutte le crudeltà di cui Erode si è reso colpevole, questo non dimostra che tale misfatto non sia avvenuto». Il Papa condivide l’opinione dell’autore ebreo Abraham Schalit: «Il despota sospettoso percepiva dappertutto tradimento e ostilità, e una vaga voce, arrivata al suo orecchio, poteva facilmente aver suggerito alla sua mente malata l’idea di uccidere i bambini nati nell’ultimo periodo». Insomma, anche se il racconto dei magi e della strage degli innocenti «potrebbe essere una creazione di Matteo», come ritengono alcuni esegeti contemporanei, Ratzinger si dice convinto che «si tratti di avvenimenti storici, il cui significato è stato teologicamente interpretato dalla comunità giudeo-cristiana e da Matteo». E «contestare per puro sospetto la storicità di questo racconto va al di là di ogni immaginabile competenza di storici».
Libertà in famiglia
Infine, il Papa si sofferma sull’episodio, raccontato solo da Luca, di Gesù dodicenne ritrovato nel Tempio di Gerusalemme dai genitori che lo avevano perso di vita durante il viaggio di ritorno del pellegrinaggio della Pasqua. Maria e Giuseppe si accorgono della sua assenza dopo un giorno di viaggio. «In base alla nostra immaginazione, forse troppo gretta, della Santa Famiglia, questo fatto stupisce. Ci mostra, però, in modo molto bello che nella Santa Famiglia libertà e obbedienza erano ben conciliate l’una con l’altra. Il dodicenne era lasciato libero di decidere se mettermi insieme con coetanei e amici e rimanere durante il cammino in loro compagnia».
Ai genitori preoccupati, a Maria che lo rimprovera, Gesù ritrovato ad ammaestrare i dottori del Tempio risponde, spiega Benedetto XVI: «Mi trovo proprio là dove è il mio posto – presso il Padre, nella sua casa… Non è Giuseppe mio padre, ma un Altro – Dio stesso. A Lui appartengo, presso di Lui mi trovo. Può forse essere espressa più chiaramente la figliolanza divina di Gesù?».
Parole da non ridurre…
Infine, Ratzinger ricorda che «sempre di nuovo le parole di Gesù sono più grandi della nostra ragione. Sempre di nuovo superano la nostra intelligenza. La tentazione è di ridurle, di manipolarle per farle entrare nella nostra misura, è comprensibile. Fa parte dell’esegesi giusta proprio l’umiltà di rispettare questa grandezza che, con le sue esigenze, spesso ci supera».
Quando Gesù era bambino
di Gianfranco Ravasi – in “Il sole 24 Ore” del 25 novembre 2012
Pochi sanno che l’ultimo libro a essere messo all’Indice – prima della sua abolizione voluta da Paolo VI – fu una Vie de Jésus (1959) di un noto biblista francese, Jean Steinmann e la motivazione riguardava il capitolo dedicato ai cosiddetti «Vangeli dell’infanzia», interpretati sostanzialmente come parabole teologiche senza agganci storici verificabili. Si tratta di 180 versetti distribuiti in quattro capitoli, due posti in apertura al Vangelo di Matteo e due sulla soglia di quello di Luca.
Pagine che hanno generato un ininterrotto filo d’oro artistico, letterario, musicale e che sono state assediate da una vera e propria selva bibliografica esegetica. Racconti che si muovono sul binario della narrazione, dotata di uno straordinario montaggio quasi filmico, e su quello della teologia, tant’è vero che sottese a esse incontriamo due nuclei capitali della professione di fede cristiana: da un lato, la discendenza storica davidica e, quindi, messianica di Gesù di Nazaret e, d’altro lato, la sua concezione verginale per opera dello Spirito Santo e, di conseguenza, la divinità filiale dello stesso Cristo.
A questi «Vangeli dell’infanzia» Joseph Ratzinger-Benedetto XVI ha dedicato la terza e ultima tavola del suo trittico su Gesù di Nazaret. Nella premessa egli ci propone una metafora descrittiva per definire questa sua analisi dell’infanzia di Gesù: siamo come nella «sala d’ingresso» di quella solenne architettura già perlustrata nei due volumi precedenti che mettevano in scena la vita pubblica di Cristo e la sua morte con l’approdo alla gloria della risurrezione. Benedetto XVI apre il suo libro con la tecnica quasi cinematografica dell’anticipazione: nella «sala d’ingresso» fa risuonare una domanda che echeggerà più oltre sotto le volte del pretorio romano di Gerusalemme, quando il governatore Pilato interpellerà l’imputato Gesù: «Di dove sei tu?» (Giovanni 19,9). Questa domanda dal sapore meramente anagrafico si riveste per il quarto Vangelo di un ammiccamento trascendente ulteriore. Ebbene, l’interrogativo ha la sua risposta proprio in questi 180 versetti che ora il Papa perlustra in un itinerario quasi narrativo nelle loro tappe principali: l’annunciazione e la nascita sia di Giovanni Battista, il Precursore, sia di Gesù, e la scena dei Magi con la successiva fuga in Egitto e ritorno in Galilea.
Noi ora vorremmo soltanto individuare alcuni fili interpretativi che Benedetto XVI dipana all’interno della sua lettura di quei testi. Il primo e fondamentale è quello che fa ruotare in interazione storia e fede, sulla base anche dell’asserto centrale del cristianesimo: il Logos eterno e infinito che è Cristo Dio diviene anche sarx, «carne», contingenza, temporalità, finitudine, mortalità, umanità. Eccoci, quindi, di fronte alla domanda di base: «Si tratta veramente di storia avvenuta, o è soltanto una meditazione teologica espressa in forma di storia?». Ogni quadro dell’infanzia di Gesù è sottoposto, perciò, dal Papa a un’essenziale verifica di storicità, anche perché molti esegeti hanno optato, non di rado, per una chiave «midrashica» per cui saremmo in presenza di una sorta di narrazione parabolica (l’ebraico midrash) attorno a temi, tesi, testi biblici e cristiani, ossia una specie di drammatizzazione narrativa di verità teologiche.
L’interpretazione di Benedetto XVI è diversa: si tratta di «avvenimenti storici il cui significato è stato teologicamente interpretato dalla comunità cristiana e dai Vangeli». E ancora: «Gesù non è nato e comparso in pubblico nell’imprecisato “una volta” del mito. Egli appartiene a un tempo esattamente databile e a un ambiente geografico esattamente indicato: l’universale e il concreto si toccano a vicenda». Non per nulla nei testi abbondano i rimandi alle coordinate geopolitiche, destinate a far esercitare l’acribia dell’esegesi storico-critica, da Betlemme a Nazaret, da Augusto a Erode, dal tempio di Gerusalemme col suo culto al censimento imperiale di Quirinio. E a sostegno di questa storicità egli propone la suggestiva classificazione dei racconti sotto il genere delle «tradizioni familiari», vero e proprio «fondamento giudaico-cristiano proveniente dalla tradizione della famiglia di Gesù».
Nell’antico Vicino Oriente questi memoriali storici clanico-familiari avevano un rilievo tale da essere considerati simili a patrimoni, custoditi con fedeltà nelle pagine vive della fertile memoria semitica. C’è, però, di più: in questi eventi storici strutturali si incrocia anche il trascendente e questo contatto fa scattare scintille a livello di interpretazione. In una pagina molto potente il Papa rimanda al grande teologo protestante Karl Barth il quale definiva nettamente i due punti in cui Dio interviene nel mondo materiale: la nascita di Gesù dalla Vergine e la sua risurrezione dal sepolcro. E commenta: «Questi due punti sono uno scandalo per lo spirito moderno. A Dio viene concesso di operare sulle idee e sui pensieri, nella sfera spirituale, ma non nella materia… Ma se Dio non ha anche potere sulla materia, allora egli non è Dio». Come è chiaro, divino e storico s’incontrano in un unico crocevia e, quindi, queste pagine esigono un’interpretazione congiunta tra teologia e storia.
C’è un secondo filo interpretativo adottato da Ratzinger ed è quello del nesso tra storia e profezia: è noto, infatti, che Matteo costruisce il suo edificio narrativo dell’infanzia di Gesù su una sequenza di citazioni bibliche. Si crea, così, un contrappunto tra profezia ed evento. Ratzinger usa una suggestiva formula: chiama gli annunci profetici «parole in attesa» di ricevere la loro decifrazione piena, il loro “protagonista”. Quelle parole in sé germinali, sbocciano in Cristo, come nel celebre caso dell’oracolo di Isaia (7,14) sulla “giovane”/”vergine” che genera l’Emmanuele. Perciò, «nella storia di Gesù, le parole antiche diventano realtà… e la storia di Gesù proviene dalla Parola di Dio, sostenuta e tessuta da essa».
Si può anche allargare questo sguardo retrospettivo oltre le profezie bibliche e – come fa Benedetto XVI – applicarlo analogicamente alla famosa IV Ecloga di Virgilio con le sue immagini generazionali spesso rilette in chiave cristiana, e persino – sia pure per superamento – si può rimandare all’iscrizione augustea di Priene (9 a.C.) ove ci si imbatte in un lessico riletto dal cristianesimo («salvatore, pace, ecumene, vangelo»): forse «i sogni segreti e confusi dell’umanità di un nuovo inizio si sono realizzati nell’avvenimento di Cristo, in una realtà come solo Dio poteva creare». La figura dei Magi diventa, al riguardo, emblematica: «essi rappresentano l’incamminarsi dell’umanità verso Cristo, inaugurano una processione che percorre l’intera storia».
C’è, infine, un ultimo suggerimento che papa Ratzinger attinge all’attuale (ma anche tradizionale) narratologia: in azione sono due attori, l’autore e il lettore. Soprattutto di fronte a testi performativi e non meramente informativi come sono quelli religiosi, il puro movimento «centripeto» («che cosa essi dicono in sé») deve coniugarsi con un percorso «centrifugo» che giunge fino all’oggi («che cosa essi dicono per me»). È su questa base che le pagine di Benedetto XVI sono costantemente intarsiate di interpellanze rivolte al lettore. Così, tanto per esemplificare, il rapporto tra fede e politica è ripreso nel suo duplice profilo: «A volte, nel corso della storia, i potenti di questo mondo attraggono a sé il regno di Dio; ma proprio allora esso è in pericolo: essi vogliono collegare il loro potere col potere di Gesù, e proprio così deformano il suo regno, lo minacciano. Oppure esso è sottoposto all’insistente persecuzione da parte dei dominatori che non tollerano alcun regno e desiderano eliminare il re senza potere, il cui potere misterioso, tuttavia, essi temono».
Una nota finale a margine. A differenza di molti teologi che si avvolgono nel manto dell’autoreferenzialità linguistica, striata di oscurità esoterica e oracolare, invalicabile alla «gente che non conosce la Legge» (Giovanni 7,49), Ratzinger adotta un linguaggio sempre limpido, essenziale, incisivo, persino umile («una spiegazione pienamente convincente di questo finora non l’ho trovata…»). Ratzinger mette in pratica quel principio che Wittgenstein aveva coniato (ma poco seguito) nel suo Tractatus logico-philosophicus: «Tutto quello che si può dire, si può dire chiaramente», e già quel grande oratore che era san Bernardino da Siena ammoniva che «colui che parla chiaro, ha chiaro l’animo suo». Questa virtù, per altro, è richiesta dall’oggetto stesso di quei 180 versetti, che hanno al centro un Bambino che nasce da «una giovane donna ignota, in una piccola città ignota, in un’ignota casa privata. Il segno della Nuova alleanza è l’umiltà, il nascondimento».
Il Bambin Gesù del Papa
di Vito Mancuso – in “la Repubblica” del 21 novembre 2012
Con il volume intitolato L’infanzia di Gesù che arriva oggi in libreria nei principali paesi del mondo si conclude l’opera complessiva di quasi mille pagine in tre volumi dedicata da Joseph Ratzinger a Gesù di Nazaret. Con essa egli intende far tornare i cattolici a identificare narrazione evangelica e storia reale come avveniva fino a qualche decennio fa, prima dello sviluppo della moderna esegesi storico-critica. Raggiunge l’autore il suo obiettivo? A mio avviso no, perché si tratta di una mission impossible.
Tutti amiamo il Natale con la sua atmosfera di gioia e di pace, e questo nuovo libro del Papa è di grande aiuto nel viverne la spiritualità. L’oggetto sono i primi due capitoli del Vangelo di Matteo e del Vangelo di Luca, i cosiddetti “vangeli dell’infanzia”. Per secoli essi sono stati letti come reali resoconti storici, ma oggi l’esegesi biblica storico-critica è pressoché unanime nel dichiarare il contrario. L’obiettivo del Papa è che i vangeli dell’infanzia possano tornare a essere letti come storicamente fondati.
Il suo avversario di conseguenza non può che essere l’esegesi che, privilegiando la filologia e la storiografia, evidenzia la problematica storicità di molte narrazioni evangeliche. Con questo gli esegeti non intendono dire che i Vangeli sono falsi, ma solo che sulla loro base non si può ricostruire con certezza la storia di Gesù, tanto meno quella della sua nascita, e che occorre leggerli sapendo che la finalità è teologico-spirituale e non storiografica. Nei Vangeli vi sono dati storicamente certi accanto a elaborazioni simboliche storicamente inattendibili e il compito dell’esegesi storico-critica consiste nel distinguere le due dimensioni. L’inevitabile conseguenza però è che il Gesù dei Vangeli non coincide con il Gesù della storia, cioè l’esatto contrario dell’intento programmatico di Ratzinger dichiarato nel primo volume: “Presentare il Gesù dei Vangeli come il Gesù reale, come il Gesù storico in senso vero e proprio”. E precisamente per questo anche nel nuovo libro, come già nei precedenti, il Papa rivolge ricorrenti attacchi all’esegesi storico-critica (cf. per esempio le pagine 25, 60, 62, 78, 123).
Ma, come tutti coloro che prima di lui hanno tentato di armonizzare i racconti evangelici, anche Ratzinger sorvola sulle contraddizioni tra i resoconti di Matteo e di Luca. Sono esse a rendere impossibile una storia dell’infanzia di Gesù degna di questo nome, come ritengono studiosi del calibro di Brown, Sanders, Meier, Dunn, Barbaglio, Fabris, Maggioni, Jossa, Ortensio da Spinetoli, Pesce e molti altri.
Certo tra Matteo e Luca vi sono elementi comuni: l’identità dei genitori, l’annuncio angelico, il concepimento di Maria senza rapporti sessuali con il marito, la nascita a Betlemme sotto il regno di Erode, il trasferimento a Nazaret. Ma vi sono anche discordanze che non possono essere armonizzate: prima della nascita di Gesù, Maria e Giuseppe o risiedevano a Nazaret (Luca) o risiedevano a Betlemme (Matteo); il loro viaggio da Nazaret a Betlemme o ci fu (Lc) o non ci fu (Mt); Gesù nacque o in casa dei genitori (Mt) o in una mangiatoia (Lc); la strage dei bambini di Betlemme o accadde (Mt) o non accadde (Lc); i genitori o fuggirono in Egitto per salvare il bambino dai soldati di Erode (Mt) o andarono al tempio di Gerusalemme per la circoncisione senza che i soldati di Erode si curassero del bambino (Lc); la famiglia da Betlemme o tornò subito a casa a Nazaret di Galilea (Lc), oppure si recò a Nazaret solo dopo essere stata in Egitto e per la prima volta (Mt).
Opposta è inoltre l’atmosfera complessiva che avvolge la nascita di Gesù, regale e tragica in Matteo, semplice e bucolica in Luca: a chi dare credito? Nella mente dei fedeli i due racconti si mescolano senza distinguere gli elementi dell’uno e dell’altro, e il Papa promuove questa tradizionale mescolanza acritica, ma l’esigenza storiografica non lo consente, i dati stanno o come li presenta Matteo o come li presenta Luca, oppure né in un modo né nell’altro, in ogni caso non sono armonizzabili. Quindi se fosse vero, come scrive Ratzinger, che Matteo e Luca “volevano scriverestoria, storia reale, avvenuta” (p. 26), ci troveremmo davvero in un bel guaio, perché uno dei due evangelisti sicuramente sarebbe in errore.
C’è inoltre la questione di come la notizia del concepimento verginale sia giunta agli evangelisti. Il Papa propende per la “tradizione familiare” (p. 65), nel senso che sarebbe stata Maria a comunicare ai discepoli lo straordinario evento di aver concepito il figlio senza rapporti sessuali. Ma se fosse stato davvero così, non si spiegherebbe la scarsa attenzione del Nuovo Testamento per Maria, compreso il libro degli Atti degli apostoli scritto proprio da Luca che la menziona solo una volta e quasi di sfuggita, mentre dà molto più spazio non solo a Pietro e a Paolo ma persino a personaggi secondari come Lidia la commerciante di porpora. È forse credibile che Luca, sapendo direttamente da Maria del concepimento straordinario di Gesù, negli Atti la trascuri completamente, senza scrivere nulla su dove viveva, cosa faceva, come finì la sua vicenda terrena, e senza averle mai dato neppure una volta la parola? Tutto ciò porta a dubitare molto di quanto sostiene il Papa.
La realtà è che i Vangeli dell’infanzia presentano un profilo storico complessivo abbastanza improbabile. Il dato storico sicuro (la nascita di Gesù) è circondato da una serie di particolari incerti se non improbabili, a cominciare dal luogo della nascita, che per il Papa è ovviamente la tradizionale Betlemme, mentre “la maggioranza degli studiosi dubita che Gesù nacque a Betlemme” (The Cambridge Companion to Jesus, p. 22) e un esegeta cattolico come Raymond Brown è giunto a parlare di “prove positive a favore di Nazaret”.
I Vangeli sono quindi inaffidabili? No, sono degni di fiducia, ma solo a patto di distinguervi diversi livelli di storicità, cioè dati storicamente sicuri, dati probabili e dati improbabili. In particolare i vangeli dell’infanzia sono un’interpretazione del significato esistenziale di Gesù, per manifestare il quale il racconto della sua nascita è stato arricchito di una serie di elementi simbolici, com’era normale nell’antichità per i grandi personaggi. Tutto ciò lungo i secoli è servito ad attrarre l’attenzione su Gesù, perché nel passato l’umanità identificava la presenza del divino con i miracoli e lo straordinario. Oggi però avviene il contrario. Oggi i miracoli e lo straordinario sono più di danno che di aiuto all’autentica comunicazione spirituale. Siamo giunti a una visione del mondo più pacata, più disincantata, più realistica, ai fregi del barocco si preferisce l’austera semplicità del romanico.
Questa maggiore maturità si riflette nel lavoro dell’esegesi biblica mediante il metodo storicocritico, un lavoro serio e altamente qualificato come mai prima d’ora nella storia era avvenuto, un lavoro dal respiro internazionale e interconfessionale i cui risultati si offrono alla coscienza senza forzature dogmatiche. Ratzinger però non ama il metodo storico-critico, lo ritiene dannoso per la fede e forse per questo nel suo libro neppure menziona l’autore dello studio più importante sui vangeli dell’infanzia, il già citato Raymond Brown, sacerdote cattolico, a lungo membro della Pontificia Commissione Biblica. Brown conclude così la sua opera monumentale sui vangeli dell’infanzia: “Qualsiasi tentativo di armonizzare le narrazioni fino a farne una storia coerente è destinato al fallimento” (La nascita del Messia, Assisi 1981, p. 677). Ratzinger neppure menziona Brown, ma proprio per questo la sua opera, nonostante alcune belle pagine di taglio spirituale, va incontro al destino prefigurato dal grande biblista americano.